Quest’anno Glastonbury è diventato un caso politico
I messaggi pro Palestina e contro Israele al festival musicale più importante d'Europa non sono piaciuti al governo britannico

Domenica alla Worthy Farm di Pilton, in Inghilterra, si è concluso il festival di Glastonbury, l’evento musicale più famoso d’Europa e uno dei più noti e seguiti al mondo. L’edizione di quest’anno ha attirato una grande attenzione soprattutto per le numerose prese di posizione pro Palestina e contro Israele espresse da alcuni gruppi musicali e tra il pubblico, al centro di un dibattito che è arrivato a coinvolgere il primo ministro Keir Starmer. La polizia britannica ha avviato un’indagine su due delle band più discusse durante l’evento, Kneecap e Bob Vylan.
Già prima dell’inizio del festival, associazioni ebraiche e politici britannici vicini alle posizioni del governo israeliano avevano criticato gli organizzatori del Glastonbury per via della presenza dei Kneecap, trio hip hop nordirlandese noto per le sue posizioni di sinistra e per il suo sostegno esplicito alla causa palestinese, da loro descritta come una «resistenza anticoloniale» contro lo stato di Israele. A maggio uno dei loro membri, Liam Óg Ó hAnnaidh, era stato formalmente accusato di terrorismo per aver urlato «Viva Hamas, viva Hezbollah» e per aver esposto una bandiera di Hezbollah durante un concerto a Londra.
La scorsa settimana il primo ministro britannico Keir Starmer aveva definito la partecipazione dei Kneecap a Glastonbury «non appropriata». Gli organizzatori avevano deciso di farli esibire comunque, ma c’erano state altre polemiche quando la BBC, l’emittente ufficiale del festival, aveva detto che non avrebbe trasmesso in diretta il loro concerto, e che lo avrebbe caricato su YouTube solo in un secondo momento.
Sabato, durante l’esibizione, il cantante dei Kneecap, Ó hAnnaidh, conosciuto come Mo Chara, si è esibito indossando una kefiah, copricapo simbolo della lotta palestinese, mentre un altro componente del gruppo, DJ Próvai, aveva una maglietta con la scritta «We are all Palestine Action», un riferimento a un’organizzazione britannica che recentemente il governo ha proposto di sciogliere sulla base delle leggi antiterrorismo, attirando molte critiche.
I tre hanno anche avviato un coro «fuck Keir Starmer!» per aver cercato di far annullare il loro concerto, e ringraziato gli organizzatori di Glastonbury per aver permesso loro di esibirsi.
Poco prima del loro concerto, il duo punk rap londinese dei Bob Vylan aveva invitato il pubblico a unirsi al coro «morte alle IDF», riferendosi all’esercito israeliano. Bobby Vylan, il cantante del gruppo, aveva anche criticato esplicitamente l’emittente del festival, BBC, accusandola di schierarsi con la linea del governo israeliano. «Le Nazioni Unite lo hanno definito un genocidio, BBC lo definisce un “conflitto”», aveva urlato dal palco.
La BBC è stata criticata da diverse figure istituzionali per non aver interrotto la diretta del concerto dei Bob Vylan sulla sua piattaforma di streaming, iPlayer. Durante l’esibizione aveva mostrato un avviso in sovrimpressione («Questa esibizione contiene contenuti politici»), che però è stato giudicato troppo vago e inadeguato da alcuni esponenti del governo, tra cui la ministra delle Competenze e delle Pari opportunità Jacqui Smith.
Anche Starmer ha criticato l’emittente per la scelta di continuare a trasmettere il concerto di Vylan nonostante i cori anti-israeliani, mentre la ministra della Cultura Lisa Nandy ha chiesto al direttore generale della BBC Tim Davie di fornire spiegazioni sull’accaduto. Dopo queste critiche, il video del concerto dei Bob Vylan è stato rimosso da iPlayer.

Il concerto dei Bob Vylan a Glastonbury, 28 giugno 2025 (Leon Neal/Getty Images)
Sempre sabato la cantante inglese Nilufer Yanya si era esibita con uno sfondo su cui era scritto «Free Free Palestine» («Liberate la Palestina»), e aveva fatto srotolare sul palco uno striscione in sostegno della popolazione civile di Gaza.
Altri musicisti, pur non prendendo direttamente posizione sul palco, hanno difeso la libertà dei loro colleghi di esprimere le proprie posizioni contro la guerra a Gaza. «Mi piace il dibattito: secondo me, la miglior forma d’arte è quella che divide, che provoca, che mette in discussione […] non quella che è solo “carina”, immediata, comprensibile da tutti e, alla fine, facile da dimenticare», ha scritto per esempio la cantante pop inglese Charli XCX, autrice di uno dei dischi più apprezzati dello scorso anno.
Durante i cinque giorni del festival, anche una parte consistente del pubblico ha reso molto visibile il suo appoggio alla causa palestinese sventolando bandiere, indossando kefiah e mostrando cartelli con messaggi a sostegno della popolazione di Gaza. In alcuni casi, cori e slogan pro Palestina sono partiti spontaneamente dalla folla, dimostrando che il clima di dissenso non era limitato ai musicisti sul palco ma condiviso anche da una parte rilevante degli spettatori. Le immagini sono circolate ampiamente online, contribuendo a rendere ancora più evidente la politicizzazione di questa edizione del Glastonbury.
L’ambasciata israeliana nel Regno Unito ha accusato gli organizzatori di Glastonbury di promuovere l’odio, e la polizia ha annunciato che esaminerà i filmati del festival per accertare eventuali reati. «È inevitabile che sui nostri palchi si esibiscano musicisti di cui non condividiamo le opinioni, e la presenza di un musicista qui non dovrebbe mai essere vista come una tacita approvazione delle loro opinioni e convinzioni» ha detto Emily Eavis, una delle organizzatrici del Glastonbury, che tuttavia si è detta «inorridita» per le parole di Vylan.
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