È morto il criminale svedese Clark Olofsson, che partecipò alla rapina che diede il nome alla “sindrome di Stoccolma”

Clark Olofsson, a destra, insieme agli ostaggi durante la rapina alla Kreditbanken di Stoccolma (AP Photo, File)
Clark Olofsson, a destra, insieme agli ostaggi durante la rapina alla Kreditbanken di Stoccolma (AP Photo, File)

È morto a 78 anni Clark Olofsson, criminale svedese noto per aver partecipato a una rapina compiuta nel 1973 a una banca di Stoccolma che diede il nome alla “sindrome di Stoccolma”: la tendenza irrazionale e apparentemente paradossale delle persone che subiscono un abuso a stabilire un legame con chi le costringe in quella situazione e a empatizzare con loro, giustificandole o diventando loro complici.

La rapina alla Kreditbanken cominciò il 23 agosto del 1973 e fu compiuta da Jan-Erik Olsson, un 32enne che era uscito grazie a un permesso temporaneo dal carcere di Kalmar, dove stava scontando una pena di tre anni per furto aggravato. Quando la polizia arrivò sul posto e iniziò una trattativa con Olsson, quest’ultimo chiese che nella banca fosse fatto portare Clark Olofsson, che aveva 26 anni e che aveva conosciuto in carcere, dove era detenuto a causa di una condanna per rapina a mano armata. La polizia decise di soddisfare quest’ultima richiesta e fece liberare Olofsson, che diceva di non avere niente a che fare con l’ideazione della rapina, promettendogli uno sconto di pena in cambio della sua collaborazione per risolvere la situazione. A quel punto Olsson liberò tutte le persone che erano presenti nella banca ma tenne in ostaggio quattro dipendenti, tre donne e un uomo.

Olsson e Olofsson si rinchiusero con gli ostaggi nel caveau della banca, e per giorni la polizia tentò di negoziare il rilascio, ma invano. La rapina si concluse il 29 agosto, quando la polizia fece pompare del gas lacrimogeno nel caveau, costringendo Olsson e Olofsson ad arrendersi senza opporre resistenza.

Le registrazioni fatte con alcuni microfoni dall’esterno e le successive testimonianze su quelle ore avrebbero poi portato la polizia a sostenere che tra le persone prese in ostaggio e Olsson e Olofsson si fosse creato un legame di fiducia e complicità. L’ipotesi deriva soprattutto da alcune accortezze che il rapinatore e il suo amico avevano avuto nei confronti degli ostaggi. Dalle ricostruzioni emerse per esempio che Olsson aveva asciugato le lacrime di una di loro, e diviso tre pere che aveva con sé in parti uguali per darne un po’ a tutti; Olofsson invece consolò un’altra impiegata perché aveva provato a contattare i suoi genitori usando il telefono del caveau ma non li aveva trovati.