L’origine del nostro linguaggio c’entra col modo buffo in cui parliamo ai neonati?
Tra i primati siamo gli unici a sbizzarrirci nei vari “gu-gu-tata-pa”, quello che in inglese si chiama baby talk

Quando comunichiamo con i neonati e i bambini molto piccoli facciamo quasi sempre versi e suoni che non useremmo con le persone adulte, senza esprimere necessariamente frasi di senso compiuto. Questo modo di esprimerci tipico della specie umana, che viene definito “baby talk”, è secondo una nuova ricerca pressoché assente nelle numerose altre specie di primati non umani che hanno condiviso una parte importante della nostra storia evolutiva. Scimpanzé, bonobo, oranghi e gorilla raramente producono versi e vocalizzi indirizzati ai loro piccoli, e questo potrebbe avere condizionato in tempi remoti la capacità o meno di sviluppare un linguaggio verbale vero e proprio.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances e si inserisce nell’ampio filone di ricerche sulla comunicazione nei primi anni di vita tra gli umani, che anticipa quella più strutturata del linguaggio verbale. Da tempo ci sono diverse teorie su come facciamo a imparare a parlare, ma molte si concentrano proprio intorno al “baby talk”: è comune a culture molto diverse tra loro e si ritiene che aiuti ad attirare l’attenzione del bambino, oltre che a rinforzare il legame con i suoi adulti di riferimento.
Un gruppo di ricerca tra Svizzera, Francia, Germania e Stati Uniti ha provato ad approfondire le differenze tra primati umani e non umani nella comunicazione con la loro prole nei primi anni di vita, cercando di colmare lacune che finora avevano reso difficile la conferma di alcune teorie legate al “baby talk”. In diverse parti del mondo, come Repubblica Democratica del Congo, Uganda e Repubblica Centrafricana, il gruppo ha osservato il comportamento dei primati non umani, concentrandosi in particolare sulla frequenza con cui questi comunicavano con i loro piccoli utilizzando versi e vocalizzi.
Confrontando i propri dati con quelli di ricerche svolte in passato, il gruppo di ricerca ha notato una differenza significativa tra il nostro modo di comunicare con i più piccoli e quello delle scimmie: raramente i primati non umani adulti indirizzano vocalizzi verso i loro neonati. Il fenomeno è comune alla maggior parte delle specie, comprese quelle note per emettere numerosi versi e vocalizzi come gli scimpanzé, che dallo studio sembra indirizzino qualche verso ai loro piccoli in media appena una volta al giorno.
La differenza è marcata rispetto all’esperienza dei neonati e dei bambini piccoli degli umani, che ricevono costantemente attenzioni verbali da parte dei genitori e degli altri adulti che hanno intorno. In una giornata un bambino arriva a ricevere fino a 70 volte gli stimoli verbali osservati in alcuni scimpanzé, mentre nel caso dei bonobo si arriva a quasi 400 volte. La maggiore frequenza comunicativa tra gli umani è diffusa in culture anche molto diverse tra loro, da quelle nei paesi industrializzati ai luoghi più remoti e isolati, come per alcune popolazioni dell’Amazzonia.
Da queste osservazioni è difficile trarre conclusioni specifiche sul piano evolutivo, ma i ricercatori possono comunque fare qualche ipotesi. È probabile che alcuni degli elementi che avvicinarono al linguaggio verbale strutturato fossero presenti nei nostri antenati comuni, che vissero milioni di anni fa e che portarono poi alle specie di primati che conosciamo oggi. I piccoli degli umani impiegano più tempo per rendersi minimamente autonomi rispetto a quelli di numerose altre specie di primati e dipendono più a lungo dagli adulti. Questo prolungato periodo di assistenza potrebbe avere esposto i nostri lontani antenati a più versi e vocalizzi da parte dei loro genitori, favorendo la trasmissione e l’evoluzione del linguaggio.
Una migliore comprensione di ciò che i primati non umani dicono ai loro piccoli potrebbe aiutare a offrire nuovi elementi per capire come siamo arrivati a sviluppare il nostro linguaggio. I vocalizzi sembrano avere caratteristiche chiare e distinguibili, ma non sappiamo ancora che cosa uno scimpanzé o un bonobo dica effettivamente ai propri piccoli.



