Volare tra le guerre costa

Le compagnie aeree devono studiare deviazioni e rotte più lunghe per i loro voli, tra ritardi, cancellazioni, aumenti dei biglietti e più inquinamento

(Flightradar24)
(Flightradar24)
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Lunedì lo spazio aereo in Qatar è stato chiuso per diverse ore in seguito al lancio di alcuni missili da parte dell’Iran, diretti verso la più grande base militare degli Stati Uniti in Medio Oriente. Centinaia di voli hanno subìto ritardi o cancellazioni all’aeroporto qatarino di Doha, uno dei principali snodi internazionali del Medio Oriente. Verso sera lo spazio è stato nuovamente aperto, ma con ripercussioni per migliaia di viaggiatori e per molte compagnie aeree, che devono ormai fare sempre più spesso i conti con guerre e conflitti regionali che ostacolano o rendono poco sicure molte delle loro rotte.

La chiusura degli spazi aerei su determinati paesi, o la forte riduzione dei voli che li attraversano per il rischio di essere colpiti e abbattuti intenzionalmente o accidentalmente, ha spesso conseguenze non solo su scala locale, ma anche globale. Oltre a essere molto esteso, il Medio Oriente è un’area pressoché irrinunciabile per le compagnie aeree che dall’Europa offrono rotte verso l’Asia e l’Oceania. Per evitare alcuni dei cieli più a rischio, gli aerei di linea compiono lunghe deviazioni, allungando i tempi di percorrenza, consumando più carburante e inquinando di più.

Gestire voli più lunghi significa un aumento dei costi per le compagnie aeree, in uno dei settori più complicati che esistano sia dal punto di vista organizzativo sia della gestione economica. I margini di ogni volo sono risicati e spesso sono sufficienti poche variabili, come imprevisti tecnici o improvvisi aumenti del costo del petrolio (e quindi del carburante), per portare in perdita il trasporto di qualche centinaio di passeggeri. La maggiore durata dei voli si riflette spesso sul costo del biglietto, ma non sempre le compagnie aeree applicano maggiorazioni, per non correre il rischio di perdere clienti che potrebbero poi spendere altro denaro per gli extra a bordo.

L’aviazione civile si è sempre dovuta confrontare con le guerre, e forse non esisterebbe se non fosse stato per i progressi ottenuti nella prima parte del Novecento con l’industria bellica, ma negli ultimi anni le difficoltà sembrano essere aumentate. Come mostra chiaramente una recente mappa di Flightradar24, uno dei principali servizi per tenere traccia del traffico aereo, tra Europa e Asia ci sono interi ed estesi paesi che le compagnie aeree preferiscono evitare, o che non possono proprio attraversare per via delle limitazioni imposte dalle autorità locali o da quelle della sicurezza del volo.

In Europa non si vola sull’Ucraina, dove da tre anni c’è la guerra, e nemmeno su una parte importante della Russia. In Medio Oriente vengono evitati Siria, Iraq e Iran per citarne alcuni, mentre più a est ci sono deviazioni su parte del Pakistan e dell’India. Il risultato è che un volo da Helsinki, in Finlandia, a Tokyo, in Giappone, dura fino a tre ore e mezza in più rispetto a quanto durasse qualche anno fa.

Una ricerca ha segnalato che alcune rotte tra l’Europa e l’Asia richiedono deviazioni tali da comportare un aumento dei costi compreso tra il 19 e il 39 per cento a seconda dei casi. La maggiore durata si riflette anche sulle emissioni di anidride carbonica stimate, con un aumento tra il 18 e il 40 per cento a seconda dei modelli di aeroplano. Il settore aereo è altamente inquinante e da tempo si discute sulle possibilità per ridurre il suo impatto, attraverso lo sviluppo di aeroplani più efficienti, ma anche di rotte che riducano le emissioni. Qualche progresso era stato raggiunto, ma le difficoltà nel pianificare alcune rotte potrebbero vanificare parte degli impegni assunti nel settore.

Il pericolo principale che le compagnie aeree vogliono evitare è di sorvolare aree dove sono in corso combattimenti che coinvolgono missili, droni e sistemi di contraerea. Soprattutto in zone dove si utilizzano sistemi più rudimentali, c’è il rischio che un aereo di linea venga scambiato per un aereo nemico e colpito.

Dal 2000 a oggi è successo diverse volte: nel 2001 un aereo con 78 persone a bordo fu abbattuto mentre sorvolava il Mar Nero a causa di un’esercitazione militare in Crimea; nel 2014 il volo MH17 con 298 persone a bordo fu colpito e abbattuto mentre sorvolava l’Ucraina da un gruppo separatista filorusso; nel 2020 l’Iran ha accidentalmente abbattuto un aereo di linea con 176 persone a bordo, scambiandolo per un missile statunitense, e a fine 2024 un aereo con 67 persone a bordo è stato colpito mentre sorvolava il Kazakistan.

In circa un secolo di aviazione civile, decine di aerei di piccole o grandi dimensioni sono state abbattute intenzionalmente o accidentalmente in diverse parti del mondo. È un’eventualità altamente ridotta e gli strumenti odierni, sia di navigazione sia di controllo, hanno reso ulteriormente più sicuro volare e tempestive le indicazioni per i piloti nel caso in cui debbano evitare alcune aree. I sistemi di localizzazione satellitare, come il GPS, permettono agli aerei di avere molte più informazioni sulla loro posizione rispetto a un tempo, ma per quanto sofisticati devono comunque confrontarsi con la possibilità di interferenze.

Nelle aree di guerra si usano sempre più di frequente sistemi di jamming e di spoofing, cioè per disturbare il segnale GPS o sostituirlo con segnali falsi, così da ridurre le possibilità di orientamento sia per le forze che si spostano sul territorio sia per i sistemi di geolocalizzazione dei missili, dei droni e in generale degli aerei. Le interferenze possono però disturbare anche le strumentazioni degli aerei di linea, che utilizzano i segnali come il GPS non solo per ricostruire la propria posizione geografica, ma anche per avere un ulteriore controllo sull’altitudine a cui stanno volando.

In rosso le aree di alta interferenza del segnale GPS (Flightradar24)

Come ha raccontato di recente un pilota al Guardian, può accadere che a causa dello spoofing gli strumenti indichino una quota diversa, oppure che avvisino per errore che ci si è avvicinati troppo a una montagna. In un’occasione, ha detto, «il nostro sistema di allerta per la prevenzione della collisione con il suolo si è attivato, avvisandoci che stavamo andando a schiantarci su un terreno montuoso». L’equipaggio sapeva che si trattava di un falso allarme e lo ha ignorato, ma secondo il pilota se ci si abitua a ignorare degli avvisi si rischia di sottovalutarne altri che potrebbero essere importanti.

Fare stime sulla diffusione dello spoofing non è semplice, ma è stato calcolato che ogni giorno riguardi in media 1.500 aerei che per qualche istante o talvolta qualche minuto segnalano ai piloti allarmi inesistenti, legati alla errata ricezione dei segnali di geolocalizzazione. Il fenomeno è più diffuso in prossimità delle aree di guerra, ma le interferenze possono riguardare aerei che si trovano a una distanza di sicurezza da quelle zone, rendendo più difficile la navigazione. Gli strumenti di bordo sono ridondanti e utilizzano diversi metodi per calcolare quota, direzione e altri parametri del volo, ma i sistemi di geolocalizzazione sono sempre più integrati nei computer di bordo e sono essenziali per gestire le rotte.

Col tempo le compagnie aeree sono diventate sempre più abili nel pianificare le rotte per evitare le zone più pericolose e spesso riescono a fare aggiustamenti in poche ore, che possono riguardare singoli aerei. La presenza di conflitti su ampie aree di territorio impone comunque delle scelte, condizionate da quanto siano praticabili alcune rotte sia in termini di tempo sia di costi. Il rischio è che alcune di queste diventino meno redditizie e che vengano quindi sospese dalle compagnie aeree, con una riduzione dell’offerta che si riflette sul resto del traffico aereo. Per raggiungere la medesima destinazione si fanno più scali, si impiega più tempo e si inquina di più, mentre i costi per i viaggiatori aumentano.