Un musical di Broadway che è diventato un classico della cultura pop

"Hamilton" uscì dieci anni fa ed ebbe un successo imprevisto, che arrivò in streaming in tutto il mondo

Il cast di Hamilton ai Tony Awards, l'8 giugno (Charles Sykes/Invision/AP)
Il cast di Hamilton ai Tony Awards, l'8 giugno (Charles Sykes/Invision/AP)
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Il 12 giugno del 2016 Barack Obama, allora presidente degli Stati Uniti, comparve insieme alla moglie Michelle in un messaggio pre-registrato trasmesso sul palco dei Tony Awards, i più prestigiosi premi dell’industria teatrale in lingua inglese. Fu un momento del tutto eccezionale pensato per presentare Hamilton, lo spettacolo uscito un anno prima che avrebbe vinto quella sera undici premi tra cui quello per il miglior musical, e avrebbe avuto negli anni a venire un successo superiore alla stragrande maggioranza degli altri musical di Broadway.

Il messaggio iniziava così: «Sette anni fa, un giovane uomo partecipò a una serata alla Casa Bianca dedicata alla poesia. Prese il microfono e ci disse che avrebbe suonato una canzone a cui stava lavorando, dedicata alla vita di una persona che a suo avviso incarnava lo spirito dell’hip-hop: il primo segretario al Tesoro d’America». Il giovane era Lin-Manuel Miranda e il personaggio a cui si riferiva era Alexander Hamilton, uno dei “padri fondatori” degli Stati Uniti.

Nel primo anno dall’uscita, nell’estate del 2015, il successo del musical era stato gigantesco: a volerlo vedere e a parlarne con grande entusiasmo non erano solo gli appassionati di teatro, ma anche celebrità, politici, adulti e adolescenti appassionati di hip-hop. Michelle Obama aveva definito Hamilton «la migliore opera d’arte, in qualsiasi categoria, che io abbia mai visto». Il suo autore, allora trentacinquenne, era stato ospite d’onore ai late show più ambiti della televisione, da quello di Jimmy Fallon a quello di Stephen Colbert, ed era stato fotografato da Annie Leibovitz per Vogue. Lo show era sempre tutto esaurito, e comprare i biglietti era sostanzialmente impossibile: così, centinaia di migliaia di persone avevano cominciato ad ascoltarne le canzoni dal CD o dalle piattaforme di streaming musicale. La sceneggiatura aveva vinto un premio Pulitzer.

In Italia se ne parlò moltissimo nel 2020, quando fu distribuito in streaming, nella versione con il cast originale, sulla piattaforma Disney+. Secondo un portavoce della piattaforma, soltanto nei primi dieci giorni dopo la pubblicazione lo guardarono 2,9 milioni di persone in tutto il mondo.

A distanza di dieci anni si può dire che Hamilton sia entrato definitivamente a far parte dei classici del genere: cosa che è capitata a pochissimi musical negli ultimi trent’anni. A Broadway, il suo successo ha portato un rinnovato interesse per i musical a sfondo storico, tra cui SIX, che racconta la storia delle sei mogli di Enrico VIII d’Inghilterra. Lin Manuel-Miranda è diventato un autore richiestissimo anche a Hollywood. Ancora oggi il musical è in programmazione in molte città e paesi del mondo, da Londra alle Filippine.

Su TikTok, dove la produzione di Broadway di Hamilton ha un profilo molto attivo, c’è una comunità affiatatissima di persone che tuttora ne analizzano i testi, mostrano di saper cantare a memoria anche le canzoni più rapide e complesse, discutono della trama e dei personaggi. L’8 giugno quasi tutto il cast originale del musical si è riunito sul palco dei Tony Awards per esibirsi in un mashup di alcune delle canzoni più famose: online, la performance è circolata moltissimo e ne ha rinnovato ulteriormente l’interesse.

Quando Hamilton andò in scena per la premiere a New York, nel gennaio del 2015, non era affatto detto che avrebbe avuto tutto questo successo. Miranda era già piuttosto famoso a Broadway in quanto autore delle musiche e dei testi di In the Heights, un altro musical che aveva vinto quattro Tony Awards nel 2008, ma la premessa del suo nuovo progetto era abbastanza assurda: Miranda aveva infatti deciso di adattare per il teatro una biografia di oltre 800 pagine scritta nel 2004 dallo storico Ron Chernow, scrivendo personalmente sceneggiatura, musica e testo di tutte le canzoni.

Il protagonista della biografia (Hamilton, appunto) era uno dei padri fondatori meno conosciuti, poco presente nella cultura popolare statunitense se non in quanto volto della banconota da 10 dollari. Non fu mai presidente ma fu segretario al Tesoro durante la presidenza di George Washington e rappresentò lo stato di New York al Congresso. Era, molto in breve, uno dei promotori di una nazione americana federale ma unita – contro le spinte secessioniste e indipendentiste di alcuni stati – e riuscì a far sì che il debito pubblico contratto dai 13 stati che allora componevano gli Stati Uniti venisse trasformato in un unico debito di responsabilità del governo federale (creando anche una banca centrale unica e moderna).

Messa così, insomma, il suo sembra il personaggio di un burocrate piuttosto barboso. Chi ha visto o ascoltato Hamilton, però, sa che Miranda lo racconta come un personaggio molto più complesso, idealista e avventuroso quanto arrogante e ambizioso.

A rendere Hamilton ulteriormente inusuale, e sostanzialmente unico nel panorama di Broadway dell’epoca, era però soprattutto il fatto che Miranda aveva deciso di raccontare la storia di Hamilton – quella di un uomo nato da padre scozzese e madre francese in una piccola colonia britannica nei Caraibi e diventato uno dei fautori dell’indipendenza degli Stati Uniti dall’Impero britannico – in modo del tutto moderno. Molte delle canzoni del musical avevano sonorità hip hop, rap e R&B e facevano frequenti riferimenti alla storia di questi generi musicali, storicamente associati a comunità razzializzate e marginalizzate, e molto lontani dal genere di musica che si sente nei musical. Per interpretare quasi tutti i personaggi – tra cui i presidenti George Washington e Thomas Jefferson e il generale francese La Fayette – Miranda aveva poi scelto soltanto attori afroamericani, ispanici o di origine asiatica. A interpretare Alexander Hamilton era Miranda stesso, che è di origini portoricane.

Il risultato, ha scritto Sarah Churchwell sul Guardian, è stato «un musical di enorme successo che parla della storia politica, economica e razziale degli Stati Uniti, offrendo al contempo un commento implicito ma pungente sullo stato contemporaneo delle dinamiche razziali e culturali nel paese». Nonostante i testi, densi e sfaccettati, contenessero molti livelli di interpretazione, critici e opinionisti si concentrarono soprattutto sul fatto che Hamilton incarnasse un particolare spirito statunitense di inclusione, meritocrazia, uguaglianza, e che celebrasse in particolare il contribuito delle persone immigrate nel paese. Il musical, scrisse il critico Niall Ferguson sul Boston Globe, «avanza un’affermazione sorprendente, ovvero che l’eredità dei padri fondatori appartiene ora alla crescente popolazione non bianca del nostro paese».

Il tema ricorre esplicitamente in più passaggi della sceneggiatura, tra cui uno dei più memorabili del musical, quello in cui Hamilton e La Fayette si battono il cinque dopo aver affermato: «Immigrants, we get the job done»: un modo per ribadire l’importanza della popolazione immigrata nella storia degli Stati Uniti e affermarne l’orgoglio. All’epoca circolarono vari video che mostravano l’entusiasmo con cui questa frase veniva accolta dal pubblico: tanto che Miranda aveva deciso di allungare leggermente il tempo pensato per gli applausi in quel punto del musical.

Oggi, scrive il critico Ezekiel Kweku sul New York Times, molti dei messaggi di Hamilton sembrano un po’ ingenui, soprattutto perché riflettono le speranze che molti statunitensi di sinistra covavano negli ultimi anni della cosiddetta “era Obama”, quando sembrava che molte delle contraddizioni storiche degli Stati Uniti, soprattutto in termini di tensioni razziali, fossero vicine a una risoluzione.

La versione della storia di Hamilton – e dei padri fondatori statunitensi – raccontata da Miranda era, peraltro, semplificata e romanticizzata: negli anni seguenti il musical raccolse molte critiche sul tema, soprattutto perché la sceneggiatura glissa sul fatto che molti dei protagonisti, tra cui lo stesso Hamilton, possedessero schiavi o fossero attivi nella tratta internazionale di esseri umani. Nel 2019 a New York andò in scena anche una satira, The Haunting of Lin-Manuel Miranda, in cui l’autore Ishmael Reed sottolineava le tante inaccuratezze storiche del musical.