Il regista italiano più richiesto dai grandi festival

Pur con un successo di pubblico e critica contenuto, negli ultimi 15 anni Mario Martone è stato sei volte a Venezia, e ora sarà per la seconda volta a Cannes

Mario Martone a Cannes nel 2022. (John Phillips/Getty Images)
Mario Martone a Cannes nel 2022. (John Phillips/Getty Images)
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Da circa dieci anni Mario Martone è diventato il regista italiano più desiderato dai grandi festival di cinema internazionali. Fin dall’inizio della sua carriera cinematografica, nel 1992 con Morte di un matematico napoletano, i suoi film sono stati presentati a Cannes o più spesso a Venezia. Ma è soprattutto dopo aver intensificato il lavoro da regista per il cinema a partire dal 2010 che è stato in un grande festival sette volte in quindici anni, sempre in concorso.

È una media molto alta: per fare un paragone altri registi italiani molto considerati, come Matteo Garrone o Paolo Sorrentino, nello stesso periodo sono stati in festival internazionali entrambi con tre film su quattro girati. Non fa eccezione il film che Martone ha in uscita questo mese, Fuori con Matilda De Angelis e Valeria Golino, che è in concorso nell’edizione del Festival di Cannes che comincia martedì 13 maggio.

La storia di Fuori ricostruisce un momento nella vita della scrittrice Goliarda Sapienza, ispirandosi molto liberamente al suo libro autobiografico L’università di Rebibbia. È ambientato a Roma nel 1980, quando la scrittrice era già stata in carcere per furto di gioielli, e una volta fuori faticava a reinserirsi nella società da cui proveniva, quella della Roma dei quartieri alti. Intorno a lei ci sono altre due ragazze più giovani conosciute in prigione, interpretate da Matilda De Angelis ed Elodie, la prima con problemi di droga ma anche una militanza politica fatta di bande criminali, la seconda con un’attività commerciale da lanciare. Tutte e tre sembrano stare bene ed essere felici solo quando ricordano i tempi della prigione.

La costante partecipazione ai festival fa di Mario Martone il regista italiano più importante di questi anni, almeno se si utilizza come metro la considerazione festivaliera e quello che implica in termini di veicolazione internazionale e vendite dei singoli film. Questa grande esposizione però non ha davvero reso Martone uno dei registi più famosi di questi anni in Italia, né uno dei più considerati dalla nicchia dei cinefili.

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I film che ha girato in questi ultimi dieci anni sono stati Il giovane favoloso, Capri-Revolution, Il sindaco del rione Sanità, Qui rido io, Nostalgia e il documentario Laggiù qualcuno mi ama. Forse solo il primo, in cui Elio Germano interpretava Giacomo Leopardi, è stato tra i più discussi del periodo in cui è uscito, e anche il solo ad avere incassato cifre sostanziose (ma incassi modesti nello stesso periodo non hanno impedito per esempio ad Alice Rohrwacher di imporsi a un’attenzione più generale).

Martone è per certi versi quello che in un’altra epoca sarebbe stato definito un “regista di sistema”, cioè un regista che fa film molto spesso di interesse nazionale, radicati nell’identità italiana e di grande ricostruzione storica, ambiziosi, importanti e sostenuti molto spesso da Rai Cinema o da 01 Distribution (il braccio distributivo della Rai). Iniziò la carriera nel cinema negli anni ‘90, come parte di una nuova ondata di cineasti napoletani (insieme a lui c’erano anche Stefano Incerti, Pappi Corsicato o Antonio Capuano, raccontato da Sorrentino in È stata la mano di Dio), che si erano fatti notare con film radicati a Napoli che la raccontavano in modi diversi dal passato.

In particolare Morte di un matematico napoletano, suo primo film e ancora oggi tra i più noti, nasceva dall’esperienza della compagnia teatrale Teatri Uniti che lo stesso Martone aveva fondato insieme a Toni Servillo e Antonio Neiwiller, che tra le molte cose mescolava il linguaggio del teatro con quello del cinema. Nel film molti degli attori venivano proprio da Teatri Uniti, c’erano Anna Bonaiuto, Licia Maglietta, Vincenzo Salemme e Renato Carpentieri, e fu il primo film in cui recitava Toni Servillo. Con il film Martone vinse un David per il miglior regista esordiente.

Mario Martone con Pierfrancesco Favino a Cannes nel 2022. (EPA/GUILLAUME HORCAJUELO)

Il suo secondo fu L’amore molesto, tratto dal romanzo omonimo di Elena Ferrante, nel 1995. Poi negli anni Duemila è passato a film di ricostruzione storica. Noi credevamo (2010) racconta la storia del Risorgimento come quella di una grande illusione. Capri-Revolution (2018) racconta di una ragazza che entra a contatto con la vita libertina di alcuni giovani del Nord Europa che nel 1914 a Capri sperimentarono una vita libera in comunione con l’arte. Qui rido io racconta del commediografo napoletano Eduardo Scarpetta. E anche il suo ultimo film Fuori racconta una storia d’epoca, ambientata a Roma nel 1980.

La formazione di Martone è più colta della media dei registi e anche la sua attività è più varia. Prima di accelerare la parte cinematografica della sua carriera nel 2014, Martone – che oggi ha 65 anni – aveva lavorato moltissimo come regista teatrale e di lirica, e poco per la televisione. I suoi film sono comunque pensati con un approccio commerciale e infatti spesso hanno attori noti. Oltre a Elio Germano in Il giovane favoloso, in Qui rido io c’è Toni Servillo a interpretare Eduardo Scarpetta e il protagonista di Nostalgia è Pierfrancesco Favino.

Tuttavia gli incassi non sono stati molto alti: negli ultimi dieci anni sono stati sempre intorno al milione e mezzo di euro, che non è molto se si considerano le ambizioni e spesso i nomi coinvolti. Solo per Il giovane favoloso ha raggiunto una cifra adeguata al progetto, sei milioni di euro. Non si è sviluppato nemmeno un grande seguito presso la cinefilia: esistono pochi volumi sui suoi film, poche riviste di settore gli dedicano monografie e pochi festival gli hanno dedicato retrospettive (lo fece nel 2022 il Nuovo Cinema di Pesaro).

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I suoi sono il genere di film che per tematica, ambientazione e misura erano più apprezzati qualche decennio fa rispetto a oggi, quando i film che si fanno notare di più sono quelli con uno stile molto personale, oppure con trame per vari motivi eccezionali oppure con stretti legami con l’attualità. In anni in cui c’è un pubblico interessato ai film intellettuali, i film di Martone sono di stampo narrativo, colti più nei riferimenti che nel linguaggio cinematografico, che invece è molto accessibile e naturalistico nella fotografia. Martone per scelta non ha uno stile di regia riconoscibile come può essere quello di Guadagnino o Sorrentino, né ha uno spirito polemico particolarmente spiccato che lo porta ad affrontare episodi controversi della storia italiana o a raccontare storie con un approccio iconoclasta, come è stato per tanti film di Marco Bellocchio.

Molto considerato dai David di Donatello, i premi votati da chi fa i film in Italia, che quindi esprimono il sentire dell’industria cinematografica italiana, Martone non ha vinto quasi nulla nei festival, a fronte della frequente partecipazione, specialmente negli ultimi anni. L’unico premio lo ricevette nel 1992, alla sua prima partecipazione: il premio della Giuria a Venezia per Morte di un matematico napoletano.