Roberto Saviano ha detto al Corriere che pensa «di aver sbagliato tutto»

E che dopo quasi vent’anni sotto protezione ha pensato al suicidio e si sente «schiacciato tra due forze»

Saviano in posa a braccia conserte con lo sguardo verso l'obiettivo
Roberto Saviano al cinema Quattro Fontane a Roma, il 21 febbraio 2025 (Franco Origlia/Getty Images)

In una lunga intervista pubblicata domenica dal Corriere della Sera lo scrittore Roberto Saviano, che dal 2006 vive sotto protezione per le minacce ricevute dalla criminalità organizzata, ha parlato di un momento molto difficile che sta vivendo. Ha detto di soffrire di continue crisi di panico, di aver pensato più volte al suicidio, di sentire di avere sprecato la sua vita e di sentirsi in colpa per le conseguenze che le sue scelte hanno avuto sulla vita dei suoi familiari e dei suoi affetti.

I miei vivevano a Caserta. Fin dal 2006 se ne sono dovuti andare nel Nord Italia, anche per mia responsabilità. Sradicati. Non sono riusciti ad aprirsi e si sono isolati. La mia scelta l’hanno pagata altri. Io ne ho fatto attività, impegno. La mia famiglia ha solo pagato. Ha dovuto fronteggiare le insinuazioni: loro figlio, loro nipote aveva diffamato la sua terra…

Saviano ha aggiunto di soffrire il peso e la solitudine di essere diventato uno scrittore «simbolo», sostanzialmente privato della possibilità di sbagliare e di contraddirsi, dopo il successo e la popolarità di Gomorra, il libro pubblicato nel 2006 in cui raccontò le storie e i funzionamenti della camorra. Ha detto di vivere come un «incubo» senza via di uscita i condizionamenti che tutto questo ha avuto sulle sue relazioni sociali e sentimentali.

In un passaggio dell’intervista ha anche fatto riferimento alle polemiche con il ministro dei Trasporti e leader della Lega Matteo Salvini, che da anni critica l’uso di scorte che giudica inutili. «Mi ha messo in una situazione assurda: come se la scorta fosse un merito, un premio. Ma ci sono persone terribili che vengono scortate», ha detto Saviano.

Ha aggiunto di sentirsi «schiacciato tra due forze. Una per cui rischio la vita; l’altra per cui non sono morto, e quindi è tutta una messinscena». Secondo lui il fatto che sia vivo viene interpretato «come la negazione del pericolo: “Ma come, non dovevi morire ammazzato?”». E questa condizione ha indotto in lui «il pensiero ricorrente: la mia vita non finirà bene. Se non mi fanno del male, mi farò del male».

Ha citato infine lo scrittore inglese e suo amico Salman Rushdie, da 35 anni perseguitato da fondamentalisti islamici, accoltellato a New York nel 2022 in un attacco in cui perse la vista dall’occhio destro. «Eppure ora Rushdie si sente sollevato: non possono più dirgli che la fatwa, la condanna a morte, fosse tutta una messinscena».

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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 9 alle 24.
Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.