Cosa succede ora a chi vende e coltiva cannabis light

L'intero settore è stato reso illegale dal cosiddetto “decreto sicurezza” del governo, che sta mettendo nei guai migliaia di imprese e lavoratori

Infiorescenze di cannabis light
Infiorescenze di cannabis light (AP Photo/Seth Wenig)
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È entrato in vigore il decreto-legge sulla sicurezza approvato dal governo che, tra molte altre cose, ha reso illegale l’intero settore della cosiddetta cannabis light, dalla coltivazione alla vendita. Da sabato 12 aprile gli agricoltori che coltivano la canapa sativa per la produzione di cannabis light e i commercianti che la vendono nei negozi rischiano sequestri e denunce.

Il decreto-legge vieta «la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa coltivata anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati». Il governo di Giorgia Meloni ha scelto di inserire questo divieto in un decreto-legge per approvarlo più velocemente e togliere al parlamento la possibilità di modificarlo in maniera sostanziale. Ora infatti il parlamento ha solo 60 giorni di tempo per convertire in legge il decreto.

Tutti i provvedimenti presi dal governo di Giorgia Meloni in merito alla canapa sativa sono basati in modo strumentale sul principio che la cannabis light sia una sostanza stupefacente. In realtà la cannabis light ha un livello molto basso di THC, il componente psicoattivo comunemente associato all’effetto stupefacente della marijuana, mentre contiene maggiori quantità di CBD, principio attivo che provoca un più blando effetto di rilassatezza.

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In Italia la coltivazione e la vendita della cannabis light sono concessi grazie a un vuoto legislativo della legge 242 del 2 dicembre 2016, approvata per regolamentare la coltivazione della canapa per fini industriali. La legge permette a chiunque di coltivare cannabis senza autorizzazioni se i prodotti sono idonei alla produzione di alimenti e cosmetici, di materiale destinato alla bioedilizia, all’attività didattica o alla ricerca, alla bonifica di siti inquinati, al florovivaismo (la coltivazione di fiori). La legge non fa esplicito riferimento al consumo ricreativo: la mancanza di un preciso divieto permise alle aziende di coltivare la cannabis light senza avere conseguenze legali.

Negli anni ci sono state diverse sentenze, anche della Corte di Cassazione, che hanno permesso il commercio di cannabis light e soprattutto hanno escluso che sia una sostanza stupefacente. Nel 2019 la Cassazione stabilì che tutte le piante di cannabis con una percentuale di THC inferiore allo 0,6% rientrano nei limiti della legge del 2016 e quindi possono essere coltivate e vendute. La Cassazione stabilì poi che, visto che la coltivazione della cannabis light è legale, lo è anche la sua vendita.

Grazie alla legge del 2016 negli ultimi anni si è sviluppato un intero nuovo settore: si stima che siano state aperte circa tremila aziende che ogni anno danno lavoro a circa quindicimila persone tra dipendenti a tempo indeterminato e lavoratori stagionali impegnati soprattutto nella raccolta delle infiorescenze.

Da sabato tutti gli imprenditori agricoli e i commercianti di prodotti a base di CBD o derivati rischiano sequestri e denunce per violazione del testo unico stupefacenti, l’insieme di norme che regolano l’uso e la distribuzione di queste sostanze. La produzione di infiorescenze contenenti CBD è concessa solo per chi fa florovivaismo e solo per la produzione di semi. «Di fatto il decreto-legge equipara la cannabis light a una sostanza stupefacente vietando qualsiasi forma di impiego dell’infiorescenza, in qualunque forma», dice l’avvocato Giacomo Bulleri, esperto in diritto societario e commerciale che da tempo assiste alcune aziende.

Secondo Bulleri questo decreto-legge è anomalo anche perché di norma, quando un prodotto diventa illegale, viene fissata una scadenza per smaltire le scorte o per distruggerle. In questo caso invece da sabato chiunque ha scorte di infiorescenze rischia una denuncia. È vietato anche il trasporto, quindi non si sa ancora cosa si potrà fare e cosa no.

Le associazioni che rappresentano coltivatori e commercianti stanno ricevendo moltissime richieste di consulenze legali o anche solo di consigli su cosa fare. Molti hanno deciso di fermare la produzione o di tenere chiusi i negozi per evitare conseguenze. «La situazione è molto grave», dice Beppe Croce, presidente di Federcanapa, un’associazione che rappresenta molte aziende produttrici di cannabis light. «Le normative europee sono molto chiare e ci sono state diverse sentenze che hanno dato ragione ai produttori. In questo modo il governo non fa altro che lasciare il monopolio della cannabis light al settore farmaceutico e alle multinazionali del tabacco, perché questo è un mercato che continuerà a esistere. Gli italiani potranno continuare a comprare prodotti a base di CBD dall’estero, come consentono le norme comunitarie. Il governo sta solo tagliando fuori gli imprenditori italiani».

Le associazioni sono decise a presentare ricorsi contro il decreto. Uno dei pochi modi per contestare un decreto-legge è promuovere un’azione di accertamento: semplificando molto, è una procedura prevista dalla giustizia civile che consente a chi ricorre di accertare un proprio diritto o l’inesistenza di un diritto altrui. In caso di provvedimenti singoli, come i sequestri, i commercianti possono fare ricorso al tribunale amministrativo regionale (TAR) mentre in caso di misure cautelari gli avvocati possono presentare un ricorso al tribunale del Riesame.