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  • Mercoledì 9 aprile 2025

In Myanmar far arrivare i soccorsi dopo il terremoto è ancora un enorme problema

Per via delle difficili condizioni della zona e dell'ostruzionismo della giunta militare, che ostacola le consegne

Un escavatore sulle macerie accanto al tempio di Mahamuni, a Mandalay, 30 marzo 2025 (AP Photo/Thein Zaw)
Un escavatore sulle macerie accanto al tempio di Mahamuni, a Mandalay, 30 marzo 2025 (AP Photo/Thein Zaw)
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Dieci giorni dopo il devastante terremoto che ha colpito il Myanmar, la situazione nel paese è ancora estremamente grave: in molte zone i soccorsi non sono mai arrivati oppure non hanno i mezzi per agire con efficacia e velocità, e mancano i beni di prima necessità come l’acqua potabile, il cibo, un rifugio e la corrente elettrica. I morti confermati sono oltre 3.500, ma è quasi certo che il numero crescerà dato che ci sono ancora molti corpi intrappolati sotto le macerie. Questo crea inevitabilmente anche problemi sanitari, aggravati dalle temperature che superano i 35 gradi centigradi.

Al di là delle molte difficoltà legate alla situazione emergenziale, le operazioni di soccorso e la consegna degli aiuti umanitari continuano a essere rallentate, quando non addirittura ostacolate, dalla giunta militare che governa il Myanmar dal colpo di stato del 2021 e che sta combattendo una guerra civile contro vari gruppi ribelli.

La maggior parte degli aiuti che arrivano dall’estero atterrano nella città di Yangon, nel sud del paese, e da lì vengono mandati a nord, verso Mandalay, la città più grande tra quelle vicine all’epicentro. Normalmente Yangon e Mandalay disterebbero una decina di ore in auto, ma ora le strade sono impraticabili a causa del crollo di ponti ed edifici, e dell’apertura di voragini. Le infrastrutture dissestate rendono per esempio molto difficile trasportare gli escavatori e gli altri mezzi che permettono di smuovere le macerie più pesanti e cercare i dispersi o recuperarne i corpi.

Le operazioni di soccorso in un edificio di Mandalay, 30 marzo 2025 (AP Photo/Thein Zaw)

Come detto, a queste difficoltà tecniche si aggiunge l’ostruzionismo della giunta militare. Sulla strada principale che collega Yangon e Mandalay l’esercito ha istituito posti di blocco che intimoriscono i volontari e scoraggiano gli spostamenti. L’esercito controlla anche i permessi delle organizzazioni umanitarie che forniscono aiuti, tenendole ferme anche per diverse ore, e in alcuni casi arrestano dei ragazzi giovani per arruolarli forzatamente (avveniva anche prima del terremoto, e ora l’organizzazione per i diritti umani Equality Myanmar ha detto di aver ricevuto notizie di almeno 100 reclutamenti forzati soltanto dal terremoto).

Nelle aree controllate dai ribelli l’esercito ha proprio impedito la consegna degli aiuti. È il caso per esempio della città di Sagaing, molto vicina all’epicentro, dove la prima squadra di soccorsi è arrivata soltanto tre giorni dopo il disastro, e la maggior parte degli aiuti diretti lì sono stati fermati ai posti di blocco dell’esercito. La città è anche rimasta isolata: normalmente sarebbe a meno di un’ora di auto da Mandalay, ma al momento è molto difficile da raggiungere perché il terremoto ha fatto crollare il ponte sul fiume Irrawaddy, che collegava le due città.

Dopo il cessate il fuoco sia il governo di unità nazionale, che rappresenta la vecchia amministrazione civile e guida la lotta armata in esilio, sia l’alleanza delle principali milizie ribelli avevano dichiarato dei cessate il fuoco unilaterali, proprio per facilitare la consegna degli aiuti. Lo scorso 2 aprile anche la giunta militare aveva dichiarato un cessate il fuoco di 20 giorni. Nella pratica però questi annunci non vengono rispettati: secondo le Nazioni Unite, dopo l’annuncio del cessate il fuoco l’esercito ha compiuto almeno 14 attacchi.

Intanto gli eventi sismici non si sono del tutto esauriti. Nei giorni scorsi ci sono state diverse repliche, cioè successivi eventi sismici di entità inferiore al terremoto principale, che è stato di magnitudo 7.7. Alcune di queste hanno raggiunto magnitudo 4.9, un valore considerato piuttosto forte. Per questo motivo (oltre che per il fatto che mancano rifugi sicuri per tutti) molte persone in questi giorni hanno timore a ripararsi al chiuso.

In molti stanno quindi dormendo all’aperto, in parcheggi e campi da calcio, utilizzando quando possibile materassini e tende di fortuna. La situazione è resa ancor più complicata dalle condizioni meteo: oltre al caldo nei giorni scorsi il paese è stato colpito da intense piogge fuori stagione. Anche la combinazione di piogge torrenziali e temperature molto alte può portare alla diffusione di malattie tra gli sfollati, come il colera.