Dieci canzoni di Eric Clapton
Scelte dal tuttora direttore del Post tra le innumerevoli del leggendario chitarrista inglese, che oggi compie 80 anni

Eric Clapton è nato nella contea inglese del Surrey il 30 marzo del 1945, e oggi compie 80 anni. Grazie ai suoi riff blues e ai suoi assoli melodici ed emozionanti è considerato uno dei migliori chitarristi rock di sempre, nonché una leggenda del rock, con tanto di casini e controversie varie. Nel 2013 gli è stata diagnosticata la neuropatia periferica, una malattia molto dolorosa che gli rende difficile fare la cosa che sa fare meglio: da allora si esibisce di rado, ma ha continuato comunque a suonare, e a fine maggio passerà anche dall’Italia.
Nella sua carriera Clapton ha vinto 17 Grammy Award e finora è anche l’unico musicista a essere inserito per tre volte nella Rock and Roll Hall of Fame, il riconoscimento dedicato ad artisti che hanno avuto una particolare influenza nella storia della musica rock: con gli Yardbirds, con i Cream e come solista. Il suo ultimo disco è Meanwhile, uscito lo scorso ottobre, mentre quelle raccolte qui sotto sono le dieci canzoni che il tuttora direttore del Post Luca Sofri aveva scelto per il suo libro Playlist: ci sono quella con la storia molto famosa e molto triste, scritta per la morte del figlio Conor, avuto con Lory Del Santo, e anche quella che segretamente parlava della moglie di George Harrison.
Badge
(Goodbye, 1969)
La scrisse con George Harrison e la incise con i Cream. Il titolo non c’era ancora, ma qualcuno lesse sugli spartiti “badge” al posto di “bridge” (cioè il ponte, elemento di raccordo tra ritornello e strofa) e pensò si chiamasse così, anche se non c’entra niente. È raro che un personaggio di una canzone si chiami “Mabel”, ma doveva fare rima con “table”. Anche il resto delle parole non ha molto senso compiuto: di fatto, alcuni versi furono raccolti dai deliri di Ringo Starr ubriaco.
Blues power
(Eric Clapton, 1970)
Più un rock’n’roll che un blues. Portentosa esercitazione di assolo di chitarra, una pacchia nella versione live del disco Just one night.
Layla
(The history of Eric Clapton, 1972)
La band di Clapton a quei tempi si chiamava Derek and the Dominos: si erano messi insieme dopo aver lavorato al primo disco di George Harrison, e Clapton era innamorato della moglie di George Harrison, Patti. “Layla”, nome preso alla protagonista di un poema persiano, è lei, e non ne voleva sapere. In più George Harrison era un grande amico di Clapton. Quindi dentro “Layla” c’è tutto questo tormento, che produce uno dei più grandi riff di chitarra della storia (creato da Duane Allman degli Allman Brothers) e la geniale invenzione della coda di pianoforte.
Come se non bastasse, degli esecutori della canzone uno morì di lì a un anno, uno dieci anni dopo, e uno fu arrestato per omicidio. E Clapton passò un lungo periodo fulminato dall’eroina. Alla fine nove anni dopo Patti ed Eric si sposarono, ma si separarono dopo altri nove, quando lui si mise con Lory Del Santo: e George Harrison suonò al matrimonio. Passò altro tempo, “Layla” finì sui titoli di coda di Quei bravi ragazzi, e la canzone rinacque nuova, addomesticata e blues nel disco dal vivo Unplugged.
Let it grow
(461 Ocean boulevard, 1974)
Per uno che aveva avuto i suoi disastri con le droghe, «lascia che cresca e sbocci» pare un’allusione troppo vegetale. Ma parla solo d’amore, tranquilli. Il riff è molto “Stairway to heaven”. Nel coro c’è Yvonne Elliman, che poi ebbe un assai diverso momento di popolarità con “If I can’t have you”, nella colonna sonora della Febbre del sabato sera.
Cocaine
(Slowhand, 1977)
Pezzo da museo, detto in senso buono. L’aveva scritta J.J. Cale, e nel tempo Clapton ha sostenuto in maniera non proprio convincente che fosse una canzone contro la cocaina. Il riff è una specie di contrazione di quello di “Sunshine of your love”, pubblicata coi Cream anni prima. Sofri consiglia la versione dal vivo in Just one night.
Wonderful tonight
(Slowhand, 1977)
Alcuni sostengono che nacque dall’impazienza di Clapton per i tempi lunghi di Patti quando bisognava uscire, di cui parla nei primi versi. Ma lui deve aver temuto liti coniugali, e l’ha convertita in una grandissima canzone d’amore. La parte migliore è quando lui ha bevuto troppo alla festa e le dà le chiavi della macchina: lei così se lo porta a casa, e lui continua a dirle che è meravigliosa. “Dietro ogni uomo di successo c’è una donna che alza gli occhi al cielo” diceva quel film con Jim Carrey. In Just one night l’esecuzione è più lenta, e ancora più sentimentale.
Promises
(Backless, 1978)
Canzonetta, carina, su un rapporto libero e leggero: forse troppo libero e leggero. La-là la-la la-la-là…
Behind the mask
(August, 1986)
Era un periodo strano: il disco dedicato al bambino, la sbandata per gli abiti di Versace, l’inclinazione più pop con la produzione di Phil Collins. Ci stette anche questa cover di un pezzo della Yellow Magic Orchestra di Ryuichi Sakamoto. Bel ritmo, ma niente a che fare con Clapton.
Tears in heaven
(Rush, 1992)
Quando Eric Clapton nacque a Ripley, nel Surrey, sua madre aveva sedici anni e suo padre era un pilota canadese che se l’era già battuta, tornando dalla moglie (molto più tardi, Clapton ne scrisse in “My father’s eyes”). Fino a nove anni crebbe allevato dai nonni convinto che fossero i suoi genitori, e che sua madre – che se ne andò dopo aver sposato un altro soldato canadese – fosse sua sorella. Ecco: nell’agosto del 1986 nacque Conor, figlio di Del Santo e Clapton, che intitolò il suo disco successivo proprio August. Il 20 marzo 1991 Conor morì, precipitando dal 53esimo piano di un grattacielo di New York. Questa è la canzone che parla di lui.
Signe
(Unplugged, 1992)
“Uè, non penserete mica che sappia fare il fenomeno solo con la chitarra elettrica?”. Virtuosismo strumentale che apre lo stupendo concerto Unplugged.
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