L’assistente infermiere risolverà la carenza di infermieri?

Il governo ha creato questa nuova figura professionale per provarci: non è ancora operativa ma è già molto discussa

Medici e infermieri nel pronto Soccorso dell'Ospedale Martini di Torino, 16 luglio 2021. (ANSA/TINO ROMANO)
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A ottobre del 2024 la Conferenza Stato-Regioni ha creato una nuova figura professionale per il sistema sanitario, l’“assistente infermiere”, che dovrebbe farsi carico di alcune delle mansioni che ora sono affidate esclusivamente agli infermieri. Lo scopo principale è sopperire a una grossa carenza di infermieri che esiste da tempo e su cui finora sono state trovate soluzioni insufficienti e più che altro temporanee. La presidenza del Consiglio deve ancora rendere esecutivo l’accordo, ma nonostante questo Lombardia e Valle d’Aosta hanno iniziato a organizzarsi autonomamente per inserire gli assistenti infermieri nel loro servizio sanitario regionale, attirando molte attenzioni e innescando un dibattito all’interno del settore.

Alcuni sindacati e associazioni di categoria si sono schierati contro la creazione di questa nuova figura professionale, ritenendola una soluzione solo di breve termine al problema della carenza di infermieri. Secondo i critici, così com’è stata pensata la figura dell’assistente infermiere potrebbe peggiorare la qualità del servizio sanitario perché permetterebbe alla sanità pubblica di sostituire il lavoro degli infermieri con quello di personale meno specializzato, di cui tra l’altro non sono ancora chiare le responsabilità e le tutele giuridiche.

Chi è a favore invece pensa che servirà a formalizzare una situazione che in molti casi di fatto esiste già, visto che proprio a causa delle carenze di personale spesso gli operatori sociosanitari (OSS) devono svolgere alcuni compiti più semplici che spetterebbero agli infermieri.

La riforma prevede che chi svolge già il lavoro di OSS potrà chiedere di diventare assistente infermiere dopo aver fatto almeno due anni di servizio e dopo aver completato 500 ore di formazione, ottenendo la possibilità di svolgere alcune mansioni attualmente riservate agli infermieri. Per come è stato presentato, il passaggio da operatore sociosanitario ad assistente infermiere è insomma inteso come una sorta di avanzamento di carriera.

Nella sanità italiana l’operatore sociosanitario è una figura professionale che svolge compiti semplici e di servizio e che non possiede competenze mediche specializzate: si occupa soprattutto di assistere i pazienti per i loro bisogni igienici e di alimentazione. Come per l’operatore sociosanitario, la riforma non fa rientrare la figura dell’assistente infermiere all’interno delle professioni sanitarie (lo sono invece quelle di medico e di infermiere), ma in quelle sociosanitarie, regolate da contratti diversi.

Le critiche a questa riforma riguardano soprattutto il modo in cui verrebbe introdotta la nuova figura professionale, ritenuto approssimativo e sbrigativo, più che la sua creazione in sé. I dubbi principali riguardano il numero di ore di formazione, considerato insufficiente, e il timore che il governo, nel rendere esecutiva la riforma, non adotti le misure necessarie per renderla davvero funzionale. Inoltre non è ancora stato definito lo stipendio di base di un assistente infermiere e non è chiaro quali saranno i costi necessari per attuare la riforma.

Secondo la Federazione nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie (MIGEP), un’associazione di categoria che tra le altre cose tutela gli interessi degli OSS, gli assistenti infermieri serviranno sostanzialmente a ridistribuire molte delle mansioni degli infermieri, senza però garantire a chi faceva l’operatore sociosanitario una riduzione delle mansioni che già svolgeva: secondo la Federazione nelle strutture mancano anche operatori sociosanitari, non solo infermieri, e non è detto che con l’introduzione degli assistenti infermieri verranno assunti nuovi OSS per rimpiazzare quelli passati al nuovo incarico.

Secondo il coordinatore nazionale di MIGEP, Angelo Minghetti, «con la promozione a assistenti infermieri gli OSS rischiano di diventare dei tutto fare, senza aver ricevuto un’adeguata formazione e senza avere una copertura assicurativa», e aggiunge che in questo modo «molti OSS pensano di poter fare un passaggio di carriera, senza conoscere davvero le implicazioni, a partire dall’assenza di un’adeguata copertura giuridica». Non è ancora chiaro infatti se alla figura dell’assistente infermiere saranno applicate le regole della legge Gelli, che permette al personale sanitario di avere particolari tutele giuridiche (a partire dall’obbligo di una copertura assicurativa in caso di danni ai pazienti) nello svolgimento dei propri compiti, a volte potenzialmente rischiosi e delicati.

I sindacati e le associazioni di categoria che tutelano gli interessi degli infermieri invece non sono tutte concordi nel giudizio della riforma. Nursing Up, un sindacato che rappresenta circa il 7% degli infermieri, ha contestato la decisione della Conferenza Stato-Regioni ritenendola «un’operazione che rischia di compromettere ulteriormente la qualità dell’assistenza sanitaria e il riconoscimento professionale degli infermieri». La Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (FNOPI) dice invece che la riforma è necessaria per risolvere la carenza di personale e che l’assistente infermiere dovrà svolgere «mansioni semplici, dove non c’è autonomia decisionale e che non richiedono competenze mediche specializzate, senza sostituire la figura dell’infermiere».

foto di un'infermiera che somministra cure anti covid

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)

Chi lavora nel settore, comunque, condivide l’opinione che sia urgente una riforma per gestire le gravi carenze di personale nella sanità pubblica, in particolare di infermieri, e per distribuire meglio il carico di lavoro. In Italia sono attivi 398mila infermieri ma ne servirebbero molti di più. Secondo un report dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nel 2022 in Italia c’erano 6,5 infermieri ogni mille abitanti, molti meno rispetto ad alcuni paesi europei di simile grandezza: la Germania ad esempio ne aveva 12, la Francia 8,8. La media europea nel 2022 era di 8,4 infermieri ogni mille abitanti.

La regolare carenza di infermieri ha reso il lavoro nelle strutture sanitarie stressante e molto faticoso, oltre a ridurre la qualità del servizio sanitario erogato dallo Stato. Oggi è molto diffusa la percezione che quella dell’infermiere sia una professione usurante e mal retribuita. In media gli infermieri guadagnano intorno ai 1.900 euro netti al mese, meno della media del settore sanitario e meno che in molti altri paesi europei. Oltre alla strutturale carenza di infermieri in Italia, c’è anche una piccola parte che decide di andare a lavorare all’estero per guadagnare di più.

Per risolvere il problema il governo e le regioni hanno a loro volta valutato l’idea di assumere gli infermieri da altri paesi dove gli stipendi sono più bassi di quelli italiani. Nel 2024 la Lombardia si è accordata con l’Argentina per assumere 200 infermieri, che dovrebbero iniziare a lavorare quest’anno; in questi giorni il Piemonte ha cercato di trovare un accordo per assumere gli infermieri che si laureano in Albania. Qualche mese fa il ministro della Salute Orazio Schillaci ha parlato di un piano per portare in Italia circa 10mila infermieri dall’India, attirando l’interesse di molte regioni.

– Leggi anche: Il governo vuole fare arrivare in Italia 10mila infermieri indiani

In Italia gli infermieri sono spesso sovraccarichi di lavoro, e gli operatori sociosanitari si ritrovano spesso a dover svolgere alcune delle loro mansioni senza avere un’adeguata preparazione né tantomeno una copertura legale e assicurativa, dato che non è previsto che si occupino di assistenza sanitaria specializzata.

In ogni caso la necessità di una figura che assista gli infermieri varia in base all’intensità di cura che viene fornita: più che in un reparto di terapia intensiva l’assistente infermiere potrebbe tornare molto utile in una situazione di bassa intensità, dove le operazioni sono ripetitive e non eccessivamente complesse.

Questo tipo di assistenza viene fornito ad esempio nelle residenze per anziani (o RSA, residenza sanitaria assistenziale), dove peraltro la carenza di infermieri è particolarmente grave. Negli ultimi anni la situazione nelle RSA è peggiorata ulteriormente: capita spesso che un solo infermiere si debba occupare di decine di pazienti, e che inevitabilmente molte delle sue mansioni vengano affidate al personale non specializzato, cioè agli OSS.

L’introduzione dell’assistente infermiere servirebbe quindi a regolamentare una situazione che in molti casi esiste già di fatto, ampliando le figure professionali del sistema sanitario e ridistribuendo i compiti al suo interno. Sotto la supervisione dell’infermiere, l’assistente infermiere potrà fare alcuni dei compiti di assistenza sanitaria più ripetitivi che non sono permessi agli operatori sociosanitari, definiti dalla Conferenza Stato-Regioni come attività «svolte nell’ambito di situazioni di bassa discrezionalità decisionale ed elevata standardizzazione», come ad esempio le misurazioni dei parametri vitali, l’elettrocardiogramma, la somministrazione di ossigeno e la compilazione di documenti sanitari.

L’efficacia della riforma, comunque, dipenderà dal modo in cui l’accordo della Conferenza Stato-Regioni sarà effettivamente implementato, a partire dalla qualità della formazione fornita agli OSS per diventare assistenti infermieri e da una corretta definizione delle responsabilità e delle tutele giuridiche della nuova figura professionale.