Sono passati dieci anni da quando discutemmo di questo vestito

Raggiunse una viralità non replicabile e oggi è parte della storia di internet, assieme alla domanda se fosse bianco e oro o blu e nero

(Epa/Ansa/Daniel Karmann)
(Epa/Ansa/Daniel Karmann)

Il 26 febbraio di dieci anni fa la cantante folk scozzese Caitlin McNeill pubblicò sul proprio profilo Tumblr una foto che oggi hanno presente un po’ tutti. Ritraeva un vestito, prodotto dall’azienda britannica Roman Originals, che poteva sembrare di due combinazioni di colore diverse a seconda di chi lo guardava: blu e nero o bianco e oro.

Nelle settimane successive quel vestito, che è ormai parte della internet culture e che è comunemente chiamato “The dress” (“Il vestito”, per l’appunto), sarebbe finito al centro di lunghe e animate discussioni sui social network e non solo, dividendo gli utenti in due fazioni: quella del “blu e nero” e quella del “bianco e oro”. Raggiunse una viralità senza precedenti e forse mai replicata, contribuendo a cambiare il modo in cui Facebook, e i social che sono venuti dopo, avrebbero iniziato a proporre contenuti agli utenti.

Secondo il giornalista di Vox Brian Resnick, “The dress” fu «il punto più alto del concetto di divertimento su internet a metà degli anni Dieci del Duemila» e rappresenta il simbolo di un periodo in cui «l’intero ecosistema dei media era costruito attorno alla condivisione di storie virali sui social».

La foto era stata scattata a inizio anno da Cecilia Bleasdale, una donna scozzese che stava cercando un vestito per il matrimonio di sua figlia, Grace Johnston. Fotografò l’abito, distinguendolo chiaramente come blu e nero, mentre si trovava in un centro commerciale di Chester, in Inghilterra, e poi inviò la foto alla figlia, che però vedeva un’altra combinazione: bianco e oro. McNeill entrò in possesso di quella foto perché aveva suonato insieme alla sua band al matrimonio di Johnston, e decise di pubblicarla su Tumblr dopo che lei e i suoi amici litigarono per stabilire quale fosse la vera combinazione di colori del vestito.

La storia di  “The dress” è stata raccontata anche in Traffic, libro pubblicato da Altrecose (il marchio editoriale del Post e di Iperborea dedicato alla nonfiction) e scritto dal giornalista statunitense Ben Smith, che ai tempi dirigeva la sezione delle notizie del popolare sito d’informazione e intrattenimento BuzzFeed, che contribuì in modo decisivo a rendere il vestito virale in tutto il mondo. Smith lo ha definito simbolicamente “l’ultimo bel giorno di internet”, nel senso che negli anni successivi la vita online sarebbe diventata sempre meno spensierata e sempre più angosciosa.

Come ha raccontato Smith, verso la fine della giornata del 26 febbraio di dieci anni fa, McNeill inviò un messaggio a Cates Holderness, la persona che ai tempi gestiva l’account Tumblr di BuzzFeed, chiedendo di aiutarla a risolvere il dilemma. Quando Cates osservò la fotografia riconobbe chiaramente la combinazione di blu e nero, ma decise comunque di chiedere un parere alle persone sedute accanto a lei. Una rispose «blu e nero», un’altra «bianco e oro», e a quel punto «iniziarono a urlarsi contro, ciascuna convinta che l’altra fosse pazza. Nel giro di poco, dietro la sua scrivania si erano assiepate venti persone che discutevano allibite dell’argomento», ha raccontato Smith.

Cates decise quindi di postare l’immagine sul canale Tumblr di BuzzFeed, con la didascalia «Di che colore è questo vestito?». In pochi minuti il suo cellulare fu sommerso di notifiche, e alla fine la foto registrò più di trentasette milioni di visualizzazioni, portando al sito un traffico e una popolarità senza precedenti.

Nei giorni successivi l’immagine diventò un argomento di discussione in tutto il mondo: su Twitter gli utenti crearono degli appositi hashtag (come #whiteandgold, #blueandblack e #dressgate) per condividere le loro opinioni sul colore del vestito, e diversi quotidiani statunitensi dedicarono alla vicenda titoli altisonanti come «il dilemma che ha diviso il pianeta». La viralità aumentò anche perché persone di enorme fama, come Kim Kardashian e Taylor Swift, cominciarono a parlarne sui social.

BuzzFeed creò anche un sondaggio a cui parteciparono quattro milioni di persone: i due terzi dei partecipanti vedevano il vestito bianco e oro, il terzo restante blu e nero. Alla fine i dubbi furono risolti da Pascal Wallisch, docente di psicologia e neuroscienze presso la New York University, che pubblicò su Slate un approfondito articolo dedicato al tema, spiegando che il vestito in realtà era blu e nero, e che le combinazioni di colore viste da ognuno dipendevano sia dalle condizioni a cui veniva osservata l’immagine, sia dalle impostazioni dello schermo, sia da interpretazioni soggettive sulla fonte d’illuminazione del vestito stesso.

– Leggi anche: La spiegazione del perché alcuni vedono il vestito bianco e oro, altri nero e blu

Secondo Smith la viralità di “The dress” è per molti versi irripetibile, dato che si trattava di «un oggetto mediatico che per attecchire e proliferare non richiedeva nemmeno l’alfabetizzazione» e che, a differenza della maggior parte dei meme, non si propagava «lungo una curva virale ascendente, passando di mano in mano», ma piuttosto «per via algoritmica», dato che Facebook mostrava il vestito agli utenti i cui amici non l’avevano ancora condiviso «nella fiduciosa convinzione che l’avrebbero trovato altrettanto coinvolgente». Come spiegò Smith, per Facebook non fu un trionfo, ma un potenziale problema: in caso di contenuti meno innocui, una diffusione così rapida e trasversale avrebbe potuto avere conseguenze preoccupanti.

Molti dei critici di Facebook accolsero con favore questa sua presa di coscienza: segnò l’inizio di un decennio in cui Facebook avrebbe cominciato a rendersi conto del proprio potere e a cercare di controllarlo, anche se gli sforzi dell’azienda sembravano sempre troppo timidi e tardivi. (…) La soluzione escogitata da Facebook non fu quella di abbandonare i suoi algoritmi, che erano in grado di prevedere ciò che ci sarebbe piaciuto e di mostrarcelo: fu quella di restringere l’ambito in cui tali algoritmi operavano. Da quel momento in poi, Facebook avrebbe migliorato la sua capacità di mantenere le persone nelle loro corsie e nelle loro bolle. Se noi di BuzzFeed avevamo visto nel Vestito l’inizio di un nuovo tipo di cultura globale, in realtà non fu mai più possibile che un fenomeno simile si ripetesse.

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