Aspettare in fila ora è un’esperienza

Se ne formano di lunghissime anche in contesti inspiegabili, perché aspettare a lungo per qualcosa è diventato desiderabile di per sé

Fila al centro commerciale Merlata Bloom, a Milano (il Post)
Fila al centro commerciale Merlata Bloom, a Milano (il Post)

Lo scorso weekend a Milano, in piazza Gae Aulenti, si sono affollate decine di persone in due lunghe file. Alla fine di una delle due si poteva ritirare un pacchetto con tre prodotti omaggio di Mulino Bianco; alla fine dell’altra si poteva visitare una piccola esposizione di vecchi gadget e spot dell’azienda. Mulino Bianco ha promosso l’iniziativa all’interno della campagna pubblicitaria per il suo cinquantesimo anniversario, ma la sensazione passandoci accanto è che le due file fossero nettamente sovradimensionate rispetto all’esperienza offerta.

Altrettanto sorprendente è stata la lunghissima fila che si è formata la scorsa settimana nel centro commerciale milanese Merlata Bloom per un evento di vendita a peso di pacchi postali dispersi e mai aperti. Il video della fila è circolato online e sui giornali contribuendo a un’idea di successo dell’evento che non corrisponde del tutto alla realtà, visto che molti presenti hanno speso decine di euro per ritrovarsi a scartare cose di poco valore, come un maglione contraffatto di Thom Browne, un’autoradio o una vulva di plastica.

Negli ultimi anni aspettare in fila sembra diventato molto più accettabile di un tempo, e non solo. In certi casi sembra che la fila sia addirittura diventata un passatempo desiderabile, una parte rilevante dell’esperienza e del divertimento legato a un evento, e la garanzia di trovarsi nel posto giusto al momento giusto.

Lo conferma l’esperto di marketing Gianluca Diegoli: «il marketing ha sempre visto la coda come quello che è, un disservizio e una cosa da tagliare, ma in questo nuovo universo valoriale è diventato significativo poter dire di averla fatta, e contribuisce ad aumentare l’esperienza stessa». Come ha riassunto sul sito Mashable il giornalista statunitense Tim Marcin, «la fila ora è esattamente quello che ci attrae, piuttosto che un effetto collaterale indesiderato».

Anche le file fuori dai ristoranti sono diventate indubbiamente più comuni e accettate: la catena di negozi di panini Con mollica o senza, virale grazie a TikTok, è l’esempio più famoso. Un altro è quello della pasticceria Farmacia del cambio, nel centro di Torino, dove la mattina si possono trovare clienti in coda per mangiare i tipici croissant a forma di cubo. A Napoli è frequente trovare pizzerie famose che non accettano prenotazioni proprio per assicurarsi di avere sempre un po’ di fila fuori. A Milano ci sono residenti sempre più infastiditi dalle file che hanno cominciato a trovare nei negozi e nei ristoranti di quartiere in cui sono andati per una vita, ed è diventato comune dover aspettare in coda la mattina del sabato o della domenica ai bar che fanno le migliori colazioni.

Succede anche nella moda: il Financial Times ha raccontato come molti negozi di marchi dei gruppi di lusso LVMH e Kering ora chiedano ai clienti di aspettare fuori dalla porta che un commesso si liberi, e che una delle ragioni (ma non l’unica) è proprio creare un po’ di fila fuori, uno stratagemma che attira attenzione sul negozio. È diventato accettabile e a suo modo entusiasmante aspettare in fila, paradossalmente, anche per acquistare qualcosa online, come i richiestissimi biglietti per il nuovo tour degli Oasis.

Far parte di una fila e poi condividere foto e video sui social è un modo per dimostrare la propria appartenenza a un gruppo, che sia quello dei fan di un gruppo musicale o degli appassionati di pizza, e più in generale per sentirsi parte di una comunità. E non vale solo online. Un articolo della rivista di moda britannica The Face intitolato “Come fare la fila per qualcosa è diventato importante quanto comprarlo” dice che «farsi degli amici mentre si aspetta in fila è una cosa che succede».

Sui social e sui giornali, poi, le foto e i video delle file che si formano fuori da alcuni locali o eventi creano facilmente reazioni di curiosità, stupore, a volte indignazione: tutte cose che portano visibilità. Solo per citare alcune “file famose” degli ultimi tempi riprese dai giornali nazionali italiani, ci sono quella dei pullman e delle macchine che hanno intasato la strada statale per Roccaraso, in Abruzzo, e quella fuori dal nuovo negozio NewMartina nel centro commerciale Forum di Palermo. Ma vengono in mente anche le celebri file per i “disegnini” e il firmacopie di Zerocalcare, o ancora le file fuori dai concerti di Taylor Swift a Milano, iniziate giorni prima.

Le file sono diventate insomma un risultato ambito da molte aziende e attività. Ma ovviamente non è una cosa che può funzionare per tutte. «Al supermercato e alle Poste non siamo altrettanto disposti a stare in coda, e anzi sono sempre più diffuse soluzioni “salta-coda”», dice Diegoli: «ma anche aspettare più di 5 minuti per il bagaglio in aeroporto è diventato inaccettabile».

Le situazioni in cui è la coda è diventata attraente sono quelle che riguardano marchi o iniziative che per qualche motivo sono considerati già in partenza esclusivi: o perché sono diventati virali online da poco e quindi sono percepiti da chi le scopre come delle novità, o perché hanno effettivamente una loro straordinarietà, come nel caso dei concerti degli Oasis. L’evento organizzato per vendere pacchi sigillati mai consegnati si basa esattamente sul principio di offrire un’esperienza nuova e a sorpresa, il cui contenuto è l’operazione di scartare il pacco. In questi casi la coda contribuisce ulteriormente alla percezione di esclusività dando l’idea di scarsità (anche quando non c’è), perché per definizione le file si formano quando c’è più domanda che offerta. «Ci sono varie teorie di economia comportamentale che mostrano che se vediamo due posti, uno con la coda e l’altro no, pensiamo automaticamente che quello con la coda sia migliore» dice Diegoli.

Quello che è cambiato negli ultimi anni è che creare una fila è diventato più facile, grazie ai social network e alla capacità dei loro algoritmi di far arrivare le notizie di certe iniziative a un largo numero di persone potenzialmente interessate. Questo tipo di eventi si è di conseguenza anche moltiplicato. «Se vuoi essere un early adopter [cioè il consumatore di un prodotto che non è ancora diventato di massa] con i social puoi farlo molto più facilmente, puoi fare molte più code di una volta», spiega Diegoli. 

Altre due cose che funzionano molto bene per convincere delle persone ad aspettare in fila sono i marchi che hanno già un forte seguito, e la gratuità di un prodotto o di un’esperienza, anche se di scarso valore. È il caso dell’evento di Mulino Bianco a Milano, che è un marchio storico, che accomuna adulti e bambini, e che può fare leva su forti sentimenti nostalgici. Non è da escludere che regalare omaggi di poco valore e allestire un’esposizione gratis in uno spazio molto piccolo e con ingressi contingentati fosse parte della strategia dell’azienda proprio per avere una folla in fila fuori.

Un’altra spiegazione di come le cose siano cambiate negli ultimi anni l’ha data Arnaldo Greco in un articolo su Rivista Studio intitolato “Fare la fila è diventato bello”: «si dirà che, probabilmente, in molte di queste esperienze ciò che ha cambiato tutto è l’instagrammabilità (o scegliete voi il social) dell’esperienza. Ma sarebbe riduttivo, perché non tutti quelli in coda condividono l’esperienza di turno sui social. Eppure lo smartphone conta comunque in questo nuovo rispetto della fila, ma forse più perché ha offerto qualcosa con cui riempire i tempi morti».