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  • Martedì 25 febbraio 2025

Quasi tutta la società siriana si è incontrata nell’ex palazzo di Assad

Per dare raccomandazioni al nuovo governo, ma mancavano le forze militari curde e questo è un problema

Il ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shaibani interviene alla Conferenza, il 25 febbraio
Il ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shaibani interviene alla Conferenza, il 25 febbraio (Ali Haj Suleiman/Getty Images)
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In Siria è appena finita la Conferenza per il dialogo nazionale, un incontro di due giorni organizzato dal governo ad interim che lo scorso dicembre ha rimpiazzato con una rivoluzione armata il regime del dittatore Bashar al Assad. L’idea alla base dell’evento era radunare un campione il più ampio e rappresentativo possibile della popolazione siriana, per ascoltare le varie raccomandazioni sulla direzione che dovrebbe prendere il paese e su cosa dovrebbe fare il nuovo governo.

La Conferenza è stata uno sforzo per mostrare inclusività in un momento nel quale la Siria ha un bisogno disperato di aiuti dall’esterno, sia nella forma di finanziamenti convenzionali sia con la fine delle sanzioni internazionali imposte quando c’era ancora Assad. 

Un po’ ha funzionato e un po’ no, perché mancavano i comandanti delle Forze democratiche siriane (conosciute anche con la sigla SDF), l’organizzazione militare e politica che amministra l’est della Siria da sei anni, ossia da quando sconfisse lo Stato Islamico in quella regione. Le SDF hanno al loro interno sia i principali gruppi armati curdi (come lo YPG, Unità di protezione popolare, la più famosa milizia curda), sia altre milizie locali e in molti casi formate da arabi. 

Secondo l’agenzia di stampa di stato siriana alla Conferenza sono state invitate 4mila persone, tra cui capi di minoranze religiose, leader di comunità locali, professori, giornalisti, attivisti, ex detenuti e famiglie di vittime della guerra civile. La popolazione della Siria è un miscuglio di etnie e religioni: arabi e curdi, musulmani sunniti e musulmani sciiti, cristiani, alawiti, drusi e altri ancora. 

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La Conferenza si è tenuta in una grande sala del palazzo presidenziale che fino all’inizio di dicembre era occupato da Assad, ora in esilio a Mosca. Alla fine ha anche parlato il presidente ad interim del paese, Ahmad al Sharaa, conosciuto anche come Abu Mohammed al Jolani, il nome di battaglia che usava quando era un comandante jihadista.  

«Siamo una nazione che è stata creata libera. Abbiamo imparato coraggio, pazienza, generosità e buona morale nella nostra religione, e li abbiamo usati in ogni lotta. Non siamo bravi a piangere sulle rovine, né siamo bravi a lamentarci», ha detto al Sharaa in un messaggio abbastanza generico. Ha anche definito «storica» la conferenza.

Partecipanti Conferenza per il dialogo nazionale a Damasco, il 25 febbraio

Partecipanti alla Conferenza per il dialogo nazionale a Damasco, il 25 febbraio (Ali Haj Suleiman/Getty Images)

In un’intervista di inizio febbraio con il settimanale The Economist, al Sharaa aveva dichiarato di accettare l’idea di democrazia: è la cosa più interessante che ha detto finora, e non era scontata. Al Sharaa ha militato per molti anni nello Stato islamico, che considera la democrazia una degenerazione da punire con la morte perché, a suo dire, è un’invenzione umana che pretende di governare al posto di Dio. 

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La Conferenza conclusa martedì fa parte del processo, frettoloso, che punta a nominare (ma non eleggere) un nuovo governo siriano entro il prossimo 1° marzo. Gli inviti per partecipare al dialogo nazionale sono stati spediti domenica 23 febbraio, quindi il giorno prima dell’inizio dell’evento, e le raccomandazioni della società civile restano soltanto raccomandazioni, non vincolanti. 

Le forze curde per adesso non hanno accettato di sciogliersi e di unirsi all’esercito nazionale siriano. Se il governo di Damasco nell’ovest e i curdi dell’est non troveranno un accordo potrebbe essere un problema, e potrebbe portare all’inizio di nuovi scontri armati.