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  • Venerdì 10 gennaio 2025

I momenti che hanno contato nella liberazione di Cecilia Sala

È stata l'operazione di questo tipo più veloce degli ultimi 30 anni: i contatti con l'intelligence iraniana, le telefonate, l'intervento di Meloni e una visita a Donald Trump

L'arrivo di Cecilia Sala in Italia, l'8 gennaio 2025
L'arrivo di Cecilia Sala in Italia, l'8 gennaio 2025 (EPA/FILIPPO ATTILI/PALAZZO CHIGI)
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A metà del volo che riportava in Italia la giornalista italiana Cecilia Sala, il direttore dell’intelligence italiana, Giovanni Caravelli, ha stappato una bottiglia di Franciacorta Bellavista per festeggiare il successo della missione. Per ventuno giorni l’Aise, l’agenzia di intelligence italiana che si occupa di quello che succede all’estero, ha gestito con discrezione i negoziati per Sala rinchiusa nella prigione per dissidenti di Evin in Iran. È stata l’operazione più veloce per liberare una cittadina occidentale detenuta in Iran degli ultimi trent’anni, a dispetto di una fase iniziale poco chiara.

L’agenzia aveva un vantaggio. Caravelli ha contatti personali con l’intelligence iraniana acquisiti nel corso della sua lunga carriera. Il prefetto è un esperto nelle situazioni con ostaggi italiani perché aveva già gestito, tra le altre operazioni, anche la liberazione dopo 18 mesi di prigionia di Silvia Romano, una cooperante rapita da terroristi in Kenya nel 2018, e di Alessia Piperno, una blogger che racconta i suoi viaggi arrestata in Iran nel 2022 e liberata dopo quarantacinque giorni.

È possibile che il direttore dell’Aise assieme a una piccola squadra di negoziatori abbia fatto la spola tra Roma e Teheran durante i negoziati, ma questi spostamenti e tutto quello che riguardava le trattative non erano informazioni pubbliche. È una pratica standard. Lui e i suoi vice si spostano spesso a bordo di aerei Falcon Dassault per andare a fare incontri riservati in altri paesi, come per esempio la Libia. Soltanto l’ultima trasferta di Caravelli, quando è andato fisicamente a prendere la giornalista italiana che nel frattempo gli iraniani avevano portato fuori dal carcere di Evin, è diventata una notizia.

I contatti personali di Caravelli con gli iraniani hanno facilitato i negoziati, anche se il verbo facilitare suona fuori luogo perché la situazione di partenza era intricata. Alla fine alla domanda quanto è stato difficile da zero a cento il prefetto risponderà: «Ottanta».

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Cecilia Sala era a Teheran con un visto giornalistico concesso dal governo dell’Iran della durata di dieci giorni quando è stata portata via dagli agenti di sicurezza iraniani dalla sua stanza d’albergo – e il personale dell’albergo ha fatto in tempo a fermarla mentre era stretta tra gli agenti e a prendere dai suoi bagagli il denaro per saldare il conto. Le motivazioni del suo arresto non sono mai state rese note, nemmeno dopo la sua liberazione, e il comunicato ufficiale delle autorità iraniane dice soltanto che era stata incarcerata perché aveva violato le leggi della Repubblica islamica dell’Iran. Quasi una tautologia: è in prigione perché ha violato le leggi.

L'incontro tra Cecilia Sala e Giorgia Meloni all'aeroporto di Ciampino, l8 gennaio 2025

L’incontro tra Cecilia Sala e Giorgia Meloni all’aeroporto di Ciampino, l’8 gennaio 2025 (ANSA/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/FILIPPO ATTILI)

La vera ragione del fermo di Sala era un’altra, come è stato ampiamente discusso in Italia. L’Iran pratica la cosiddetta «diplomazia degli ostaggi». Arresta e tiene in prigione cittadini stranieri anche per molto tempo per ottenere concessioni dai loro governi. Lo ha già fatto con cittadini svedesi, tedeschi, statunitensi, australiani e di altre nazionalità. La durata di questi sequestri di persona è spesso micidiale per i sequestrati. L’insegnante francese Cecile Kohler è stata arrestata mentre faceva la turista in Iran il 6 maggio 2022 ed è ancora rinchiusa nel carcere di Evin. L’australiana Kylie Moore-Gilbert ha passato in una cella iraniana 804 giorni. Il diplomatico svedese Johan Floderus è stato arrestato nell’aprile 2022 ed è stato liberato nel giugno 2024: ha passato in prigione più di due anni.

I carcerieri iraniani dividono la detenzione in due fasi. La prima fase si trascorre nella cella d’isolamento, che è un regime punitivo perché può danneggiare in modo permanente la salute mentale del prigioniero. La seconda fase è la detenzione in una cella comune, che è dura ma più sopportabile. In cella d’isolamento si dorme sul pavimento tra due coperte, c’è un faro sempre acceso e non c’è null’altro. Sono i carcerieri a decidere quando finisce la fase dell’isolamento. Più è lunga e più è pericolosa.

Anche Cecilia Sala è finita in questo meccanismo. L’Iran l’ha arrestata per scambiarla con Mohammed Abedini Najafabadi, un ingegnere iraniano che traffica in tecnologia militare fermato a Malpensa il 16 dicembre su richiesta degli Stati Uniti. La linea ufficiale del governo italiano e di quello iraniano è che i due arresti non sono legati, ma fin dal primo momento gli iraniani hanno impostato i negoziati per la liberazione di Sala secondo un principio di simmetria: se Abedini riceveva una visita consolare allora anche Sala poteva ricevere una visita consolare, se Abedini poteva parlare con la famiglia allora anche Sala poteva parlare con la famiglia e così via.

C’era una differenza tra i due: il trattamento che gli iraniani potevano infliggere a Sala nel carcere di Evin non sarebbe possibile in un carcere in Italia perché sarebbe illegale.

– Leggi anche: La detenzione di Cecilia Sala raccontata da lei

Nella prima fase dopo il fermo di Sala ci sono state incertezze. Secondo Giuliano Foschini, un giornalista di Repubblica che ha seguito il caso fin dall’inizio, quando gli iraniani hanno inviato proteste alle autorità italiane per l’arresto di Abedini il 16 dicembre non hanno ricevuto risposte e hanno deciso di ricorrere alla cattura di un ostaggio. Inoltre, secondo il giornalista del Fatto Quotidiano Alessandro Mantovani, il ministero della Giustizia italiano con ogni probabilità ha scoperto soltanto dopo alcuni giorni – quando la notizia stava per diventare pubblica – che Sala era detenuta a Teheran e che faceva parte di un possibile scambio di prigionieri con l’Iran.

L’amministrazione penitenziaria che dipende dal ministero della Giustizia nel frattempo aveva trasferito Abedini nel carcere di Rossano, a Cosenza, ed è possibile che i diplomatici iraniani in Italia abbiano letto questo spostamento in una provincia lontana dalle loro sedi di Roma e Milano come una mossa ostile da parte del governo italiano, per quel principio di simmetria citato qualche riga fa.

L’aereo che ha riportato Cecilia Sala in Italia, l’8 gennaio 2025 (Il Post)

Il 28 dicembre il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato davanti alle telecamere: «Il trattamento [di Sala] è dignitoso, rispettoso della dignità della persona. Continueremo a verificare con le visite consolari che faremo. Per il momento non abbiamo avuto riscontri negativi. È detenuta ovviamente, non è una condizione ideale, però viene nutrita ed è in una cella singola. Io non parlerei di isolamento. Cella singola per non stare con altre persone che non parlano né l’inglese né l’italiano». In quei giorni i giornalisti di almeno tre testate, ascoltate dal Post, dicono di avere ricevuto da persone che lavorano per il ministro degli Esteri la stessa precisazione: non si tratta di isolamento, si tratta di una cella singola.

Intanto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, seguiva il caso con attenzione. Il 30 dicembre aveva ricevuto al Quirinale in via riservata la madre di Sala, Elisabetta Vernoni, e il giorno dopo durante il discorso di fine anno aveva citato l’incarcerazione di Cecilia Sala.

Dalle telefonate di Sala fatte la mattina del 1° gennaio si è avuta la conferma che le condizioni in cella erano invece severe. Non era Sala a descrivere le condizioni di detenzione, ma si deducevano dalle sue risposte. Ecco uno stralcio:

«Ti è arrivato il pacco che l’ambasciata ha portato nel carcere? C’era pure un panettone».
«Un panettone? Ma guarda che qui ci sono regole strettissime su quello che può entrare, non mi danno nemmeno gli occhiali, sono in una cella vuota».
«Sei ancora da sola?».
«Sono sempre da sola. Non vedo mai una faccia, l’unico essere umano che ho visto è stata l’ambasciatrice».

Poiché la diplomazia degli ostaggi dell’Iran – ma anche della Russia, della Cina e del Venezuela – è un problema che riguarda o ha riguardato molte persone, c’è un dibattito in corso sulla condotta che è meglio tenere quando qualcuno viene preso in ostaggio. I governi tendono per loro natura a chiedere il silenzio stampa, perché così riescono a condurre meglio i negoziati con l’Iran. In parte lo fanno perché sostengono che troppa attenzione farebbe alzare il prezzo chiesto dagli iraniani. In parte perché con il silenzio riescono a dimostrare di avere il controllo della situazione e quindi a far capire agli iraniani che la transazione, qualsiasi essa sia, può essere portata a termine con successo. Molti ex ostaggi sostengono invece che la condotta giusta da tenere sia «be loud»: fare più rumore possibile, in modo da tenere sempre alta l’attenzione e la pressione sui governi.

La mattina del 2 gennaio le condizioni di Sala nella cella di Evin sono state descritte in tre articoli pubblicati sul Post, sul Corriere della Sera e su Repubblica e le informazioni sono state ampiamente riprese da tutte le altre testate. Nel pomeriggio alle sedici la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha convocato un vertice per discutere che cosa fare con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che ha la delega sui servizi segreti, con il ministro degli Esteri Tajani e con il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Poco dopo ha telefonato al padre di Sala, Renato, e poi alla madre Elisabetta.

Durante la telefonata Giorgia Meloni ha spiegato con chiarezza, nel limite del possibile, la situazione e ha detto a Elisabetta Vernoni: «Quel che va fatto va fatto». Quando la madre ha chiesto a Meloni di poterla incontrare di persona ha risposto: «Venga adesso a Palazzo Chigi. Si presenti all’ingresso e dica chi è». Nell’incontro di persona Meloni ha detto che entro quarantott’ore ci sarebbero state novità importanti.

Due giorni dopo due giornalisti della Stampa, Ilario Lombardo e Francesco Malfetano, hanno pubblicato sul sito del giornale una notizia che non aveva nessun altro: Meloni era in volo verso il resort di Mar-a-Lago, la residenza privata del presidente eletto Donald Trump in Florida. È stato lo stesso Trump a confermare poco dopo la notizia, con una serie di post sui social media che mostrano Meloni ricevuta al resort. C’era anche Marco Rubio, che sarà il segretario di Stato, quindi il capo della diplomazia, nella futura amministrazione Trump. L’articolo della Stampa sosteneva anche che il ministro degli Esteri italiano, Tajani, fosse all’oscuro della missione diplomatica di Meloni negli Stati Uniti.

Quattro giorni dopo il direttore dell’Aise, Caravelli, ha abbracciato Cecilia Sala a Teheran.

Abedini per adesso è nel carcere di Opera. Non è ancora chiaro che cosa succederà, ma possiamo dare per certo che non sarà estradato negli Stati Uniti.

Il ritorno a casa di Cecilia Sala

Il ritorno a casa di Cecilia Sala (ANSA/FABIO FRUSTACI)