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  • Lunedì 27 maggio 2024

30 anni dopo la fine dell’apartheid, il Sudafrica è il paese più diseguale del mondo

E questo avrà una grossa influenza nelle elezioni di mercoledì, dove lo storico partito di Nelson Mandela, l'ANC, potrebbe perdere la maggioranza

di Enrico Pitzianti

Manifesti di candidati alle elezioni a Pretoria, in Sudafrica
Manifesti di candidati alle elezioni a Pretoria, in Sudafrica (AP Photo/Themba Hadebe)
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Le elezioni che si terranno in Sudafrica il 29 maggio sono le settime della storia democratica del paese, da quando trent’anni fa finì il regime di apartheid, e hanno una particolarità rispetto alle precedenti: per la prima volta il partito Congresso Nazionale Africano (ANC nell’acronimo inglese), il partito di Nelson Mandela che ha guidato ininterrottamente il paese dall’inizio della democrazia, potrebbe non avere i numeri per governare da solo.

Alla base del calo elettorale dell’ANC c’è il persistere di alcuni gravi problemi del Sudafrica che risalgono al regime di apartheid terminato definitivamente nel 1994 e che non sono stati risolti in questi decenni di democrazia. La fine del regime di segregazione razziale ha portato a sostanziali miglioramenti nella vita civile del paese, ma il governo dell’ANC non è mai riuscito a risolvere diversi importanti problemi strutturali, come l’alto tasso di disoccupazione, l’estrema povertà di significative fasce di popolazione, la corruzione e la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Questi problemi continuano a manifestarsi su basi razziali, al punto che, a trent’anni dalla fine dell’apartheid, le divisioni etniche sono ancora enormemente rilevanti.

Secondo i sondaggi per le elezioni di mercoledì l’ANC, pur perdendo popolarità, rimarrà la principale forza politica sudafricana. Senza la maggioranza assoluta dei voti però dovrà cercare un’alleanza con uno o più partiti oggi all’opposizione. Il sistema elettorale sudafricano è di tipo proporzionale e prevede l’elezione di 400 deputati che compongono l’Assemblea nazionale; questa poi, insieme al Consiglio nazionale delle province, forma il parlamento. Sarà l’Assemblea nazionale a eleggere il prossimo presidente della prima economia dell’Africa. Anche se l’ANC non ottenesse la maggioranza assoluta avrà probabilmente abbastanza sostegno da formare una coalizione e continuare a guidare il governo. Ma questo dipende da quanti voti prenderà il partito guidato dal presidente uscente Cyril Ramaphosa rispetto al 57,5 per cento ottenuto alle scorse elezioni.

Cyril Ramaphosa, presidente uscente del Sudafrica e leader dell'ANC

Cyril Ramaphosa, presidente uscente del Sudafrica e leader dell’ANC (AP Photo/Jerome Delay)

Le ragioni dell’impopolarità dell’ANC sono economiche e riguardano soprattutto le disuguaglianze. Il Sudafrica ha il tasso di disoccupazione più alto al mondo: a inizio 2024 era del 32,9 per cento e quello giovanile è ancora maggiore. Secondo i dati più recenti diffusi dalla Banca mondiale il paese ha anche la più alta disuguaglianza della distribuzione del reddito al mondo, con un coefficiente di Gini di 0,7. I principali indicatori di queste disparità sarebbero l’etnia, la proprietà fondiaria altamente diseguale e la sostanziale assenza di una classe media, visto che circa il 10 per cento della popolazione sudafricana ancora oggi controlla oltre l’80 per cento della ricchezza.

La disuguaglianza economica è particolarmente evidente se si paragonano i redditi delle persone bianche a quelli delle persone nere. Secondo uno studio economico condotto nel 2014 dall’Università spagnola di Vigo il reddito medio annuale delle famiglie sudafricane bianche era di 8.700 euro. Quello delle famiglie sudafricane non bianche poco più di mille euro, cioè poco più di un decimo.

– Leggi anche: La città del Sudafrica in cui vivono solo bianchi

Secondo l’esperta di politica africana Shola Lawal, che ne ha scritto di recente su Al Jazeera, queste differenze economiche così marcate sarebbero le dirette conseguenze di una generale disuguaglianza che si è creata nel corso di diversi secoli: prima con il colonialismo olandese nel Seicento e nel Settecento, poi con quello britannico nell’Ottocento e infine nel Novecento con una politica segregazionista formalizzata in legge dal sistema di apartheid.

Eppure, sempre secondo la Banca mondiale, questa disparità nella distribuzione della ricchezza sarebbe persino aumentata nel periodo post apartheid, sebbene con periodiche oscillazioni. Come ha scritto Imraan Valodia, direttore del Southern Centre for Inequality Studies dell’Università del Witwatersrand, la prima ragione di questa estrema disparità economica sarebbe proprio la disoccupazione. Il tasso di disoccupazione ufficiale del paese non comprende le persone che non cercano attivamente un lavoro (perché secondo i parametri accettati a livello internazionale rientrano tra i disoccupati solo coloro che non hanno rinunciato a cercare un impiego). Il dato complessivo che include tutti i disoccupati in Sudafrica è del 44,1 per cento.

(AP Photo/Emilio Morenatti)

Il Sudafrica ha una popolazione di circa 62 milioni di persone. Come si legge in un report diffuso dallo stesso governo sudafricano, di queste persone quelle in età lavorativa (cioè tra i 15 e i 64 anni) sono 40,7 milioni. Di cui risultano occupati solo 16,4 milioni di persone e tra queste ben 5,1 milioni sono lavoratori informali, cioè persone che svolgono mansioni senza alcuna garanzia o riconoscimento da parte delle istituzioni e quasi sempre con guadagni estremamente bassi. Anche la disoccupazione, come il reddito, in Sudafrica è estremamente diseguale a seconda dell’etnia: negli scorsi anni quella delle persone nere ha oscillato tra il 31 e il 39 per cento, mentre la disoccupazione delle persone bianche tra il 6,1 e il 10 per cento.

Come ha scritto di recente il giornalista di Associated Press Gerald Imray, il persistere di povertà e disoccupazione ha alimentato gran parte del malcontento popolare «perché milioni di poveri della maggioranza nera ritengono che l’ANC non abbia migliorato sufficientemente le loro vite tre decenni dopo l’apartheid».

Nell’attuale campagna elettorale la disoccupazione è uno dei temi più dibattuti. Il principale partito di opposizione, Alleanza Democratica, ha promesso di trasformare il Sudafrica «in un’economia d’impresa», di «attrarre capitali esteri» e di cambiare il modello economico a partire dalla provincia del Capo Occidentale che attualmente amministra e che ha il tasso di disoccupazione più basso del paese.

Secondo l’attuale ministro del Lavoro Thulas Nxesi (dell’ANC) il problema della disoccupazione viene da «problemi strutturali storici, legati all’istruzione e allo sviluppo delle competenze», perché il sistema razzista dell’apartheid non avrebbe solo creato grandi sproporzioni nella distribuzione della ricchezza, ma anche disuguaglianze nell’istruzione e nella formazione professionale. Anche l’attuale presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha parlato di cause strutturali dicendo che c’è stato un «passaggio generazionale della disuguaglianza».

Oltre alla povertà, alla disoccupazione e alla sproporzione nella distribuzione del reddito e della ricchezza ci sono altri fattori che testimoniano le difficoltà attuali della politica sudafricana e che avranno un impatto sul voto delle prossime settimane. Per esempio le disuguaglianze urbane. La struttura urbanistica risalente all’apartheid e funzionale alla segregazione razziale nelle grandi città sudafricane in molti casi non è cambiata. A Johannesburg, cioè la città più grande e ricca del paese, la distribuzione di servizi igienico-sanitari, dei trasporti e degli alloggi è rimasta estremamente diseguale. Come ha scritto Benjamin H. Bradlow, docente di Sociologia all’Università di Harvard, persino i nuovi quartieri, come Fourways e Diepsloot (rispettivamente il più ricco e il più povero della zona nord di Johannesburg) si sono sviluppati in tempi recenti seguendo comunque la stessa logica urbanistica dei tempi della segregazione razziale, volta a privilegiare la minoranza bianca.

Se da una parte il calo dei consensi dell’ANC viene dalla mancata risoluzione di questi problemi, dall’altra potrebbe peggiorarli. Diversi esponenti dei partiti di opposizione promuovono politiche che non puntano a una maggiore coesione sociale o alla redistribuzione delle risorse urbane, ma a una ancora più accentuata differenziazione tra zone e quartieri.

John Steenhuisen, il leader di Alleanza Democratica, durante un comizio elettorale

John Steenhuisen, il leader di Alleanza Democratica, durante un comizio elettorale (AP Photo/Themba Hadebe)

Alleanza Democratica, il principale partito d’opposizione, alle scorse elezioni era stato votato in grande prevalenza da elettori bianchi, e pur avendo ripudiato il razzismo continua a mantenere, secondo molti, politiche che favoriscono il suo elettorato tradizionale. La ex sindaca di Johannesburg, Mpho Phalatse, è un’esponente di Alleanza Democratica e ha più volte promosso l’idea di espandere i “City Improvement Districts”, cioè un sistema di gestione economica locale attraverso cui i singoli quartieri finanziano i servizi di gestione urbana esclusivamente nelle proprie aree. Questa proposta è vista come un modo per favorire i quartieri ricchi abitati da bianchi, che possono disporre di maggiori risorse rispetto ai quartieri neri.

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