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  • Venerdì 17 maggio 2024

La politica in Slovacchia era già tossica

Nei mesi precedenti all'attentato contro il primo ministro Robert Fico, la coalizione di governo aveva attaccato in maniera molto dura i suoi avversari politici, anche dal punto di vista personale: ora accusa l'opposizione

Un poliziotto a guardia dell'ospedale dove Robert Fico è stato ricoverato dopo l'attentato
Un poliziotto a guardia dell'ospedale dove Robert Fico è stato ricoverato dopo l'attentato (AP Photo/Denes Erdos)
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Mercoledì, in Slovacchia, appena si è diffusa la notizia che un uomo aveva sparato al primo ministro Robert Fico, i membri del suo governo populista e filorusso hanno cominciato ad accusare l’opposizione e a promettere nuove misure repressive contro i media. Fico è stato ferito gravemente nella cittadina di Handlová da un uomo che, secondo la polizia, ha agito da solo e senza aiuti esterni. Ma mercoledì nel parlamento di Bratislava il vicepresidente dell’assemblea Lubos Blaha ha subito detto ai deputati di opposizione: «Questa è opera vostra».

Blaha, che è un importante dirigente di Smer, il partito di Fico, ha poi aggiunto: «Voglio esprimere il mio profondo disgusto per quello che avete fatto qui negli scorsi anni. Voi, i media mainstream, l’opposizione politica, che odio avete generato contro Robert Fico? Avete costruito una forca per lui». Le dichiarazioni di Blaha sono state riportate dai giornali slovacchi nei minuti immediatamente successivi all’attacco contro Fico, quando ancora non si sapeva praticamente nulla, né sull’identità dell’attentatore né su come si erano svolti i fatti. Poco dopo Rudolf Huliak, leader di uno dei partiti di governo, ha detto che i partiti progressisti e i giornalisti «hanno le mani insanguinate».

Le reazioni della politica slovacca all’attacco contro Robert Fico, molte delle quali sono state aggressive e scomposte contro i rispettivi avversari politici, hanno reso evidente anche all’estero l’estremo livello di polarizzazione presente nel paese. «I politici hanno versato molta benzina sul fuoco, e penso che fosse solo questione di tempo prima che qualcosa del genere avvenisse. Ma non era facile immaginare che avvenisse al nostro primo ministro», ha detto Michal Venglar, un insegnante di Bratislava intervistato dal Financial Times.

Giovedì la presidente della Repubblica della Slovacchia, Zuzana Caputová, ha tenuto una conferenza stampa congiunta assieme a Peter Pellegrini, che ha vinto le elezioni presidenziali di questa primavera e la sostituirà a breve. Caputová è un’avversaria di Fico e Pellegrini uno dei suoi più stretti alleati, ma i due hanno voluto farsi vedere insieme per cercare di trasmettere un messaggio di unità: «Non abbiamo bisogno di ulteriori scontri», ha detto Caputová.

La conferenza stampa congiunta di Caputova e Pellegrini

La conferenza stampa congiunta di Caputová e Pellegrini (AP Photo/Petr David Josek)

Nonostante questo i politici slovacchi, e in particolare gli alleati di Fico, stanno mantenendo un alto livello di polarizzazione e aggressività. Il ministro dell’Interno, Matus Sutaj Estok, ha detto: «Siamo alle porte di una guerra civile. Il tentato omicidio del primo ministro ne è la prova». Andrej Danko, leader di SNS, un partito ultranazionalista che fa parte del governo, ha detto che «sta per cominciare una guerra politica», e ha promesso nuove leggi per riformare i media, responsabili secondo lui di aver incoraggiato gli attacchi contro Fico.

La polarizzazione politica in Slovacchia non è una novità: da quando il paese è diventato indipendente separandosi dalla Repubblica Ceca, nel 1993, la classe politica è spesso stata litigiosa. La polarizzazione è aumentata con l’arrivo di Robert Fico, un politico populista che formalmente guida un partito di sinistra ma che in realtà ha molte idee di estrema destra, è un critico della democrazia liberale e un ammiratore di Vladimir Putin. Fico, che era stato eletto primo ministro per la prima volta nel 2006, era stato costretto a dimettersi nel 2018 a seguito di un grave scandalo che aveva provocato grandi proteste contro di lui.

Dopo le dimissioni sembrava che la sua carriera fosse finita, ma in pochi anni è invece riuscito a riguadagnare popolarità, fino a vincere le elezioni di settembre dell’anno scorso e farsi nominare primo ministro per la quarta volta. La campagna di Fico era stata caratterizzata da una forte polarizzazione e aggressività, che aveva l’obiettivo non soltanto di attaccare gli avversari ma anche di minare la loro legittimità personale. Alcuni degli attacchi più gravi di Fico erano indirizzati contro la presidente della Repubblica Caputová, che aveva cominciato a ricevere minacce contro di sé e contro la sua famiglia, e che anche per questo aveva deciso di non ricandidarsi alla presidenza.

Questa retorica estremamente aggressiva è poi proseguita anche dopo la campagna elettorale: poco tempo prima dell’attacco contro di lui, Fico aveva detto che uno dei leader dell’opposizione era «peggio di un ratto».

Robert Fico nel gennaio del 2024

Robert Fico nel gennaio del 2024 (AP Photo/Denes Erdos, File)

Anche per questo, alcuni analisti politici temono che Fico e il suo governo approfitteranno dell’attacco per portare avanti nuove misure repressive contro l’opposizione e i media. Già prima dell’attacco la coalizione di Fico aveva presentato proposte per riformare il sistema giudiziario e limitare gli strumenti a disposizione delle inchieste anticorruzione (che avevano colpito Fico negli anni passati), modificare la governance dell’emittente pubblica e togliere i fondi alle ong finanziate dall’estero. Ma dopo l’attacco, alcuni membri della coalizione di Fico hanno promesso che presenteranno norme ancora più dure e restrittive.

Misha Glenny, rettore dell’Istituto per le Scienze umane di Vienna, ha detto al Financial Times che alle elezioni europee del mese prossimo la coalizione di Fico potrebbe raggiungere un ottimo risultato «ottenendo voti grazie all’emozione», e che potrebbe ottenere così la legittimazione per un’ulteriore repressione. «Il rischio che le cose peggiorino è abbastanza serio», ha detto allo stesso giornale Juraj Medzihorsky, un professore di Scienze politiche alla Durham University nel Regno Unito.