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  • Mercoledì 8 maggio 2024

La proposta di fare un censimento delle caste sta agitando il governo indiano

Per l'opposizione serve a intervenire contro le ineguaglianze, il primo ministro induista Narendra Modi sostiene che potrebbe favorire la minoranza musulmana: tutto questo nonostante le caste siano state formalmente abolite negli anni Cinquanta

Protesta contro il femminicidio di una donna Dalit. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, le donne Dalit sono particolarmente vulnerabili alle discriminazioni e alla violenza sessuale. Bangalore, India, 4 ottobre 2020 (AP Photo/Aijaz Rahi)
Protesta contro il femminicidio di una donna Dalit. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, le donne Dalit sono particolarmente vulnerabili alle discriminazioni e alla violenza sessuale. Bangalore, India, 4 ottobre 2020 (AP Photo/Aijaz Rahi)
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Negli ultimi giorni, in India, una proposta dell’opposizione sta agitando parecchio il dibattito politico nazionale e sta preoccupando il governo guidato dal primo ministro Narendra Modi, nazionalista e induista e leader del Bharatiya Janata Party (BJP). La coalizione INDIA, che riunisce 26 partiti e che alle elezioni parlamentari iniziate a metà aprile e in corso fino a giugno è data in netto svantaggio, ha proposto che venga condotto un censimento nazionale della popolazione in base alle caste, formalmente abolite negli anni Cinquanta ma che ancora oggi definiscono e condizionano la società indiana. Secondo le opposizioni, censire la popolazione in base alle caste aiuterebbe a programmare interventi efficaci contro le ineguaglianze e le discriminazioni.

La proposta è molto discussa perché fare un censimento di questo tipo è considerato da alcuni come un passo indietro nel superamento del sistema delle caste, ma non solo: il partito di governo teme che possa favorire la frammentazione di una presunta “unità indù” che Modi sta cercando di consolidare da anni, soprattutto a scapito delle minoranze che vivono in India, in particolare della comunità musulmana. Modi ha sostenuto che il censimento potrebbe favorire proprio la popolazione musulmana, che di recente ha accusato di essere composta da traditori (i musulmani indiani sarebbero «infiltrati» che non appartengono alla nazione) rifacendosi anche ad alcune teorie del complotto diffuse in India, come quella della “sostituzione etnica” (i musulmani farebbero più figli perché vogliono sostituire gli indù).

La proposta del censimento va interpretata anche come un tentativo di INDIA di guadagnare dei voti alle elezioni in corso e ottenere il sostegno degli elettori e delle elettrici che secondo le opposizioni sono stati trascurati dalle politiche di Modi.

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Nonostante in India le caste siano state formalmente abolite, il loro ruolo nella società continua ad essere estremamente rilevante. Le caste principali sono quattro, derivano dal sistema di stratificazione gerarchica della società che si era sviluppato gradualmente con l’induismo nel corso del primo millennio a.C. e per secoli hanno condizionato quasi ogni aspetto della vita religiosa e sociale indù.

Al primo posto ci sono i sacerdoti o Bramini; poi i guerrieri o Kshatriya; quindi i Vaisya, artigiani e mercanti; e infine i Sudra, contadini, artigiani più poveri, servitori. Più in basso di tutti nella scala sociale ci sono i “fuori casta”, genericamente indicati come paria o “intoccabili”, esclusi dal novero castale per la loro occupazione: svolgono tutti i lavori considerati impuri, come la pulizia dei bagni o la sepoltura dei morti, o hanno perso, violandone le norme, l’appartenenza a una casta, e con essa diritti sociali e ruoli nella ritualità religiosa. Oggi i fuori casta si definiscono Dalit, cioè “oppressi”.

Nel corso del tempo ognuna delle quattro caste si è spezzettata in una moltitudine di raggruppamenti minori, che sono quelli che si trovano concretamente nell’India di oggi sotto il nome di jati relativo, oltre che alla nascita al mestiere svolto. Questo spezzettamento è avvenuto sotto la spinta di ragioni geografiche, storiche, etniche o linguistiche.

Dopo l’indipendenza dai colonizzatori britannici, nel 1947, l’India ha stabilito nella Costituzione il divieto di discriminazione in base alle caste cercando di abolire tali divisioni gerarchiche e, nel tentativo di correggere le ingiustizie storiche a chi tradizionalmente apparteneva alle caste più basse, ha riservato ai Dalit e ad altri gruppi svantaggiati dei diritti speciali come quote nel governo, posti di lavoro e nelle università. Nel 1989, tali quote furono estese per includere un gruppo classificato ufficialmente come Other Backward Classes, classi medio-basse arretrate socialmente e scolasticamente. Negli ultimi anni ci sono state diverse richieste da parte di diverse comunità di essere riconosciute come OBC: nel 2015, nello stato di Gujarat, c’erano state ad esempio grandi proteste organizzate dai patel, un gruppo storicamente piuttosto benestante che denunciava gli effetti discriminatori delle quote poiché ne erano esclusi a vantaggio di altri. Chiedevano dunque al governo o di superare il sistema delle quote o di includerli.

Nonostante gli sforzi legislativi, il sistema delle caste non è comunque scomparso e continua anzi a influenzare la vita quotidiana di milioni di persone: si manifesta con il maggior rischio, per i Dalit e le altre caste considerate inferiori, di subire attacchi e violenze, con la segregazione nelle abitazioni e nelle scuole, con i matrimoni tra persone della stessa casta o con la discriminazione nell’accesso ai servizi.

Inoltre c’è una forte correlazione tra caste che si vorrebbero formalmente abolite e status socio-economico delle persone, correlazione che è stata confermata da un’indagine svolta lo scorso anno nello stato nord-orientale del Bihar. Il censimento delle caste nel Bihar ha mostrato che più dell’80 per cento della popolazione, che è composta da 130 milioni di persone, appartiene a caste considerate inferiori e che questi gruppi risultano effettivamente tra i più poveri dell’area.

Durante la colonizzazione dell’India, gli inglesi eseguirono i censimenti basati sulle caste con regolarità. L’ultimo fatto con questo criterio su scala nazionale risale al 1931: i dati mostrarono, anche allora, come le caste inferiori fossero decisamente più povere rispetto alle altre. Dal 1931 in poi si decise che i censimenti non avrebbero più dovuto tenere conto dell’appartenenza a questa o quella casta: per la volontà di non confermare con questo parametro una divisione della società e per timore di aprire una fase di fragilità e di instabilità politica. Fino all’indagine condotta lo scorso anno nel Bihar, i governi avevano dunque sempre evitato di censire le caste nonostante, durante le elezioni, i vari partiti abbiano sempre sfruttato queste divisioni sostanzialmente ancora attive per cercare blocchi di voti e sostenitori.

Nel tempo, in India, sono state fatte diverse proposte di rilevazione nazionale che tenessero conto delle caste, ma non sono mai andate a buon fine. Il tema del censimento delle caste ha infatti sempre diviso la politica indiana e quasi tutte le forze politiche hanno più volte cambiato idea, compreso il BJP che nel 2018 si dichiarò a favore, fino a ritrattare la propria posizione nel 2021.

Ora, e soprattutto dopo la pubblicazione dell’indagine nel Bihar, le opposizioni sostengono che Narendra Modi abbia emarginato i cittadini e le cittadine che appartengono alle caste più basse, ma che questo dato non stia emergendo quanto dovrebbe. Raccogliere con un censimento i dati a livello nazionale permetterebbe dunque di «avere una radiografia della società», come ha sostenuto Rahul Gandhi, leader del principale partito d’opposizione, il Partito del Congresso (centrosinistra), e di combattere con più efficacia le ineguaglianze nella popolazione.

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Al censimento, come detto, si oppone il governo di Modi, che teme che possano emergere dati simili a quelli del Bihar e che tali numeri portino a una mobilitazione delle caste più basse e che mostrino quanto siano illegittimi i privilegi di quelle più alte, che possiedono gran parte della ricchezza nazionale, che occupano le posizioni di leadership nei media, nelle università, nelle amministrazioni locali e nel governo centrale.