Non sarà facile vietare TikTok negli Stati Uniti

Il Congresso americano ha imposto la vendita o il blocco del social network cinese, ma ci sono seri ostacoli legali che potrebbero rendere il caso molto complicato

Il ceo di TikTok Shou Zi Chew (Somodevilla/Getty Images)
Il ceo di TikTok Shou Zi Chew (Somodevilla/Getty Images)
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Mercoledì il presidente statunitense Joe Biden ha firmato un disegno di legge che dà nove mesi di tempo alla società cinese ByteDance per vendere il social network TikTok e tutte le tecnologie correlate, come il suo algoritmo, nel più serio sviluppo di una campagna portata avanti ormai da tempo dalla politica americana contro la piattaforma.

La legge che impone di vendere o vietare TikTok potrebbe tuttavia trovare più di un ostacolo, sia legale sia burocratico. L’azienda ha già annunciato che farà ricorso, e l’amministratore delegato di TikTok, Shou Zi Chew, immediatamente dopo la firma della legge ha postato sulla piattaforma un video in cui ha detto in tono molto combattivo: «State tranquilli, noi non andiamo da nessuna parte».

La versione iniziale della proposta dava soltanto sei mesi di tempo a ByteDance per vendere TikTok, ma poi sono stati allungati a nove, ed è stata prevista una proroga di ulteriori tre mesi se per allora sarà in corso una trattativa. Alcuni senatori statunitensi ritenevano che sei mesi fossero troppo pochi per concludere un affare così imponente. Se per allora ByteDance non riuscirà a trovare un acquirente, la legge prevede un blocco della piattaforma negli Stati Uniti.

Da tempo gli Stati Uniti sono preoccupati delle dimensioni e dell’importanza raggiunta da TikTok, a cui sono iscritti 170 milioni di americani: in particolare, molti politici temono che il governo cinese, che ha un rapporto stretto con ByteDance come con tutte le grandi società del paese, possa raccogliere grandi quantità di dati sugli utenti statunitensi, utilizzandoli per motivi di intelligence.

Un’altra preoccupazione riguarda la possibilità che il governo cinese possa usare l’algoritmo di TikTok, l’efficacissimo strumento con cui la piattaforma consiglia agli utenti i video che considera più attraenti per loro, per promuovere o censurare determinati contenuti influenzando in questo modo la popolazione americana. ByteDance ha sempre negato di condividere informazioni sugli utenti con il governo cinese, e gli Stati Uniti non hanno mai fornito prove che questo avvenga.

Per questo, la legge impone a ByteDance di vendere TikTok a un investitore non legato al governo cinese. Secondo una stima del Financial Times, il valore di TikTok sulla carta potrebbe essere di 180 miliardi di dollari, ma una vendita forzata lo abbasserebbe drasticamente, fino a dimezzarlo. Ci sarebbe poi da capire se eventualmente la vendita riguarderebbe solo il TikTok statunitense, cosa che però comporterebbe una complicata separazione dei contenuti americani della piattaforma da quelli del resto del mondo.

Il ricorso di TikTok contro la legge del Congresso ha un precedente: lo scorso anno una legge del Montana aveva vietato il social network all’interno dello stato. TikTok aveva fatto ricorso e un giudice statale gli aveva dato ragione, bloccando la legge perché violava il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, quello che tutela la libertà di espressione.

Diversi esperti di diritto sostengono che, molto probabilmente, TikTok farà appello ancora una volta al Primo emendamento, e che il suo caso è piuttosto solido: il governo americano faticherà a dimostrare che il suo tentativo di vietare TikTok sia conforme ai princìpi fondamentali della Costituzione. Il Primo emendamento vieta al governo di approvare leggi che limitano la libertà d’espressione, e secondo gli esperti il blocco dei social network rientra in questa casistica.

Anche i precedenti giudiziari rendono piuttosto concreta la possibilità dell’accoglimento del ricorso che TikTok presenterà nelle prossime settimane. Uno dei casi più citati è la cosiddetta sentenza Lamont v. Postmaster General, con cui la Corte Suprema nel 1965 annullò una legge federale che stabiliva che il direttore generale delle poste degli Stati Uniti dovesse consegnare le lettere contrassegnate come propaganda politica comunista soltanto su richiesta dei destinatari, che avrebbero dovuto firmare un apposito modulo per dare il proprio assenso. Al tempo, la Corte sostenne che limitare in questo modo la propaganda comunista avrebbe danneggiato la libertà d’espressione.

Come ha scritto il giornalista Casey Newton sulla newsletter Platformer, è probabile che anche se TikTok fosse percepito come un veicolo di propaganda contro gli Stati Uniti sarebbe ugualmente protetto dalle leggi che difendono la libertà d’espressione.

Un altro elemento che i membri del Congresso più avversi a TikTok citano spesso per legittimare la necessità di vietarlo negli Stati Uniti è quello della protezione dei dati: il timore è che il governo cinese possa costringere ByteDance a consegnare i dati degli utenti statunitensi profilati sulla piattaforma per motivi di sorveglianza.

Tuttavia, anche questa argomentazione è problematica. «Se il governo cinese vuole dati sugli americani, non ha bisogno di TikTok per ottenerli», ha scritto lunedì Alan Z. Rozenshtein, professore associato di diritto della privacy all’Università del Minnesota, in un articolo sulla testata specializzata in temi giuridici Lawfare. «Non hanno nemmeno bisogno di rubarli. Gli Stati Uniti sono notoriamente un’eccezione tra le nazioni sviluppate per la mancanza di una legge nazionale sulla privacy dei dati. Ciò significa che i cinesi possono semplicemente acquistare da broker di dati e altri aggregatori di terze parti gran parte delle stesse informazioni che otterrebbero avendo accesso ai dati degli utenti di TikTok».

Al tempo stesso, tuttavia, anche il governo americano potrebbe avere degli argomenti a suo favore. In particolar modo, potrebbe presentare il caso come una questione di sicurezza nazionale, e non di libertà d’espressione. In più di un precedente la Corte Suprema si è dimostrata favorevole a tralasciare le tutele costituzionali quando si parla di difendere la sicurezza del paese.