I molti momenti assurdi della vita di O.J. Simpson

L'inseguimento, i guanti, la copertina del libro usata contro di lui, il programma di scherzi, la rapina a Las Vegas, e altri ancora

(Jason Bean/Getty)
(Jason Bean/Getty)
Caricamento player

Fino al 1994, prima che iniziasse il cosiddetto «processo del secolo», O.J. Simpson – morto mercoledì a 76 anni – era “soltanto” un famosissimo ex giocatore di football che aveva giocato a lungo nei Buffalo Bills, e che poi aveva anche recitato in alcuni film, tra cui un paio di discreto successo. Nonostante fosse stato uno dei più grandi di sempre nel suo sport, la sua notorietà aumentò ulteriormente nel giugno di quell’anno, raggiungendo dimensioni globali per via del caso giudiziario in cui fu coinvolto. L’accusa era di avere ucciso la sua ex moglie Nicole Brown, da cui aveva divorziato due anni prima, e il venticinquenne Ronald Goldman, amico di lei.

Da quel momento in poi Simpson diventò un personaggio pubblico seguitissimo: accadde un po’ per il modo in cui si chiuse il processo (velocemente, e con una piena assoluzione), che molti reputarono spiazzante e discutibile, e un po’ perché nel tempo la sua vicenda è diventata parte della cultura pop statunitense, venendo raccontata in decine di documentari, serie tv e libri d’inchiesta. Ma Simpson è stato un personaggio così discusso e commentato anche per altri motivi: il comportamento ambiguo che tenne prima e dopo il processo, le dichiarazioni del suo avvocato Robert Shapiro e i continui tentativi di pubblicare libri che raccontassero la “sua” verità, per esempio.

L’inseguimento
Sebbene O.J. Simpson fosse tra i principali indiziati, anche per via di precedenti denunce di violenza domestica da parte della moglie, nella notte tra il 12 e il 13 giugno 1994, quando furono trovati i corpi di Brown e Goldman, non fu formalmente accusato per quell’omicidio. Cinque giorni dopo, quando in seguito a sviluppi nelle indagini la polizia si presentò da Simpson per arrestarlo, lui scappò a bordo di una Ford Bronco. L’inseguimento che ne seguì divenne uno dei momenti mediatici più famosi e seguiti della storia americana. Intorno alle 2 del pomeriggio del 17 giugno il comandante David Gascon della polizia di Los Angeles annunciò ai media, piuttosto alterato, che Simpson era ricercato per duplice omicidio.

In quei giorni la polizia era già stata criticata da una parte dell’opinione pubblica per aver temporeggiato troppo tempo prima di procedere all’accusa e all’arresto di Simpson. Poco dopo la polizia rintracciò la Ford Bronco con a bordo Simpson e Al Cowlings, suo ex compagno di squadra nei Buffalo Bills, sull’autostrada 405 di Los Angeles. Venti macchine della polizia cominciarono a seguire l’automobile, ma l’inseguimento fu piuttosto insolito perché Cowlings, che era alla guida, procedeva a una velocità relativamente bassa, circa 60 chilometri orari. Il tutto fu seguito con grande attenzione dalle televisioni, che trasmisero in diretta delle riprese dell’inseguimento fatte da elicotteri in volo sull’autostrada, e anche dalle stazioni radiofoniche locali, che ricevettero moltissime telefonate. Simpson arrivò fino alla sua casa di Brentwood, a Los Angeles, dove si arrese dopo un’ora.

I guanti
Durante le indagini, la polizia non trovò il coltello con cui furono uccisi Brown e Goldman; nel giardino trovarono però un guanto insanguinato, quello della mano sinistra. L’altro guanto, quello della mano destra, fu invece trovato all’interno dell’abitazione di Simpson: su questo, oltre al sangue, furono trovate tracce di fibre di capelli compatibili con Simpson, Brown e Goldman.

Questi guanti divennero uno dei simboli del processo contro Simpson, e uno degli indizi principali che l’accusa aveva a disposizione per dimostrare la sua colpevolezza. La difesa sostenne che quello mancante fosse stato messo in casa di Simpson per incastrarlo, senza però riuscire mai a provare questa teoria. Un giorno, in tribunale, i procuratori che rappresentavano l’accusa chiesero a sorpresa a Simpson di provarli, per verificare che fossero della sua misura. Quando li indossò, sopra a un paio di guanti in lattice, entrarono molto a fatica. Quel momento rimase il più famoso del processo: l’accusa fu molto criticata per aver scelto di fare la prova in tribunale, perché si sapeva che probabilmente i guanti si erano ristretti per via del sangue rappreso e perché erano stati più volte congelati e scongelati per conservarli meglio.

L’accusa sostenne che Simpson aveva esagerato il fatto che non entrassero, e una prova ripetuta in seguito con una copia dei guanti invece dimostrò che gli andavano. Ma per l’avvocato della difesa, Johnnie Cochran, quello diventò un argomento centrale, che riassunse nello slogan: «If it doesn’t fit, you must acquit» (se non entrano, dovete assolverlo).

Una pallottola spuntata
Prima che iniziasse tutto il caso giudiziario, Simpson aveva avuto un secondo atto della sua carriera nel cinema. In particolare recitò nella trilogia di film di Una pallottola spuntata, diretta da David Zucker. Nei film Simpson interpretava il detective Nordberg, che insieme al collega Frank Drebin viene coinvolto in un’operazione per fermare il contrabbando di eroina nel porto di Los Angeles.

Prima di allora Simpson aveva recitato in altri film, come Cassandra Crossing (1976), Capricorn One (1977) e Bocca da fuoco (1979), ma in tutti i casi con parti piccole e trascurabili. L’ultimo film della serie di Una pallottola spuntata uscì nel 1994, quando iniziò il processo: fu perlopiù massacrato dalla critica, e per la sua esibizione Simpson ottenne un Razzie Award – una sorta di Oscar al contrario assegnato ai peggiori film e ai peggiori attori dell’anno – come peggior attore non protagonista. Fu l’unico premio cinematografico che vinse nella sua intera carriera.

La copertina di If I did it
Nel 2007 uscì If I did it: Confessions of the Killer, un libro in cui il giornalista e sceneggiatore Pablo Fenjves intervistava Simpson per farsi raccontare il suo rapporto con Brown e Goldman e cosa accadde nella notte tra il 12 e il 13 giugno del 1994. Sarebbe dovuto uscire nel 2006, ma la sua pubblicazione fu sospesa a causa delle enormi attenzioni e pressioni mediatiche che si svilupparono: molte persone sostenevano infatti che Simpson stesse sfruttando l’uscita del libro per trarre un ulteriore vantaggio economico dalla sua vicenda giudiziaria.

L’anno dopo i diritti del libro passarono ai familiari di Goldman, come parte del risarcimento della causa civile per cui Simpson era stato condannato nel 1997. Quando entrarono in possesso dei diritti, cambiarono il layout del titolo in copertina: inizialmente avrebbe dovuto essere If I did it, con la parola IF in bianco e il resto del testo in rosso, ma i familiari di Goldman cambiarono la resa grafica: scrissero I Did It (Sono stato io) in caratteri grandi, e inserirono la parola IF in caratteri minuscoli, posizionandola nella parte superiore della I. Un po’ come se Simpson ammettesse la sua colpevolezza fin dal titolo, insomma.

Lo scherzo con la banana
Un’altra delle scene che vengono citate spesso quando si parla dei momenti strani della vita di Simpson è quella in cui finse di pugnalare con una banana la comica e scrittrice britannica Ruby Wax. Accadde nel 1998, durante un’intervista data a BBC, l’emittente per cui Wax lavorava ai tempi. «Dopo aver finito le riprese, Simpson mi ha detto che aveva una sorpresa per me, e sono rimasta davvero sorpresa», disse Wax qualche anno dopo in una videointervista. «Penso che fosse una sua idea di scherzo».

Juiced
Nel 2006 Simpson condusse Juiced, un programma di scherzi in stile candid camera. La dinamica era quella tipica di tutti i programmi di questo genere: Simpson si faceva filmare segretamente mentre faceva uno scherzo a un passante e, dopo qualche minuto, lo avvisava della presenza di una telecamera nascosta con la frase «You’ve been Juiced» (traducibile più o meno come «Sei stato spremuto», e legata al suo soprannome OJ, che negli Stati Uniti significa spremuta d’arancia). Lo sketch più famoso, ambientato nel parcheggio di un concessionario d’auto di Las Vegas, è quello in cui Simpson provò a vendere ai passanti la sua Ford Bronco, l’auto con cui era scappato dalla polizia nel 1994.

La rapina a Las Vegas
Più di dieci anni dopo l’omicidio di Brown e Goldman, Simpson tornò al centro di un caso giudiziario. Il 13 ottobre 2007 fu arrestato dalla polizia di Las Vegas, in Nevada, per rapina a mano armata e sequestro di persona: era entrato armato, assieme a quattro complici, nella stanza di un hotel di Las Vegas per recuperare due cimeli sportivi che rivendicava come suoi. Nel 2008 fu condannato a 33 anni di carcere, ma ottenne la libertà condizionale nel 2017. Tornò libero nel 2021.