L’azienda Giorgio Armani Operations è stata messa in amministrazione giudiziaria per presunto sfruttamento del lavoro

Modelle durante la sfilata della collezione autunno/inverno 2024-25 di Giorgio Armani durante la Settimana della moda di Milano, 25 febbraio 2024
Modelle durante la sfilata della collezione autunno/inverno 2024-25 di Giorgio Armani durante la Settimana della moda di Milano, 25 febbraio 2024 (Vittorio Zunino Celotto/ Getty Images)

L’azienda Giorgio Armani Operations, che si occupa dell’ideazione e della produzione di capi di abbigliamento e accessori per il gruppo Armani, è stata messa in amministrazione giudiziaria: un procedimento che affida la gestione di una società a un amministratore nominato da un tribunale, con il compito di correggere eventuali pratiche illecite. La misura è stata decisa nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla procura di Milano e dall’ispettorato del lavoro per presunto sfruttamento del lavoro in altre aziende fornitrici inserite nel ciclo produttivo dell’azienda, che non risulta indagata.

Come scrive il Sole 24 Ore, secondo la procura la Giorgio Armani Operations non avrebbe effettuato ispezioni o controlli adeguati sulle società a cui aveva appaltato la produzione della sua merce, che avrebbero a loro volta affidato la produzione a «opifici cinesi» in Lombardia, che sempre in base alle indagini impiegavano «manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento». Per i procuratori l’azienda «non avrebbe messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici», risultando così «incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo» e presumibilmente agevolando il «delitto di caporalato».

A gennaio, forse nell’ambito della stessa inchiesta, era stata disposta l’amministrazione giudiziaria per motivi simili anche per Alviero Martini Spa, l’azienda di moda i cui prodotti sono famosi soprattutto per le mappe disegnate sui tessuti. Come nel caso della Alviero Martini, anche dai controlli effettuati negli stabilimenti delle aziende terze a cui era subappaltata la produzione di Armani sono stati riscontrati tra le altre cose «ambienti di lavoro insalubri», con condizioni di sfruttamento dei lavoratori, e «gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro». Per sei delle aziende coinvolte nell’indagine relativa ad Alviero Martini era stata disposta la sospensione dell’attività.