Gli edicolanti sono sempre meno giornalai

In Italia i chioschi che vendono quotidiani sono un quarto rispetto a 15 anni fa: quelli che sopravvivono ormai si sono attrezzati per offrire anche altri servizi

di Valeria Sforzini

Un'edicola che vende souvenir e bibite a Venezia
(foto Unsplash/Claudio Schwarz)

Non è una novità che il lento ma costante calo delle vendite dei giornali abbia ripercussioni anche sulle edicole, che stanno chiudendo in numero sempre maggiore in tutta Italia. Negli ultimi anni sono stati fatti diversi tentativi per frenare le chiusure, ma alcuni stanno funzionando meglio di altri. È il caso per esempio della diversificazione dei prodotti che vengono venduti nei chioschi, che esiste da sempre ma negli ultimi anni è stata ampia: biglietti dei mezzi pubblici, giochi per bambini, libri, cibi e bevande, souvenir e servizi vari (come il ritiro dei pacchi) spesso riescono a portare ricavi paragonabili a quelli di quotidiani e riviste.

Quindici anni fa le edicole “pure”, cioè quelle in cui si vendono solo o prevalentemente giornali e riviste, erano circa 40mila. Oggi, secondo i dati dello Snag, Sindacato nazionale autonomo giornalai, sono poco meno di 12mila. Negli ultimi 5 anni la diminuzione è rallentata (hanno chiuso “solo” 2.700 chioschi), soprattutto grazie ai sussidi garantiti dal governo. Tra il 2018 e il 2019, l’ultima annata senza sostegni, erano diminuite del 13,3 per cento, dal 2019 il calo è continuato seppur inferiore: – 13,3% nel 2019,  -6,4 nel 2021, -3,5 del 2022. Il governo fornisce aiuti che possono arrivare fino a 6mila o 7mila euro all’anno. Uno è il “Tax credit”, uno sconto sulle tasse (per esempio quella per l’occupazione di suolo pubblico o quella sui rifiuti), che può arrivare a un massimo di 4 mila euro per edicolante. L’altro è il cosiddetto “Bonus edicole”, che prevede fondi fino a 2 o 3mila euro per ogni edicolante che ne faccia richiesta. In totale per questi fondi il governo ha stanziato 10 milioni di euro per il 2023.

Guardando ai dati provincia per provincia, Bolzano e Sondrio sono le uniche due che hanno chiuso il quadriennio 2019-2022 in positivo, ciascuna con un’edicola in più rispetto a quattro anni prima (nel saldo tra edicole chiuse e nuove aperture). Oristano è in pareggio e ha ancora 51 chioschi. In alcune città il calo è invece particolarmente evidente, come a Trieste e ad Ancona, dove dal 2019 le edicole sono diminuite più o meno del 30 per cento. La provincia di Roma invece ha il 21 per cento in meno di edicole: ora sul territorio ce ne sono 1.138, 303 in meno rispetto al 2019. In provincia di Torino ce ne sono 501, 138 in meno di quattro anni fa (un calo del 21,6 per cento), mentre in provincia di Milano hanno chiuso 129 edicole, quasi il 12 per cento di quelle che c’erano nel 2019.

Quando si parla di edicole però non ci si riferisce solo ai chioschi: come noto, i giornali si trovano anche in molti altri tipi di negozi, per esempio in diversi supermercati. Secondo il rapporto Snag Lo stato della rete di vendita, basato sui dati della Camera di commercio del 2022, oggi in Italia ci sono 25.200 punti vendita di quotidiani e periodici.Di questi, circa il 47 per cento è definito “puro” (i circa 12mila chioschi di cui sopra), mentre i restanti sono “misti”, ovvero, strutture in cui la vendita di quotidiani e periodici è secondaria a un’altra attività, come cartolerie, bar, tabaccherie o librerie. Tra i “misti” però ce ne sono anche molti che vendono solo poche copie di giornali al giorno.

La regione con il maggior numero di punti vendita in Italia è la Lombardia, poco meno di 3.800. Seguono Lazio, Emilia-Romagna e Toscana.

Pensare di “salvare le edicole” vendendo più quotidiani, che ormai da molti anni si vendono sempre meno, oggi è abbastanza complicato: secondo l’accordo nazionale sulla vendita di quotidiani e periodici, gli edicolanti guadagnano il 19 per cento sul prezzo di vendita al pubblico di giornali e riviste (che viene stabilito dall’editore) e il 24 per cento sugli inserti venduti con i giornali. Percentuali che applicate al numero di copie vendute oggi portano a guadagni molto inferiori rispetto anche solo a dieci anni fa.

«Negli anni ’90 si vendevano 10 milioni di copie di quotidiani al giorno», spiega Ermanno Anselmi, presidente di Fenagi, la Federazione nazionale giornalai. «Nel 2000 sono scese a 8 milioni, nel 2013 a circa 3milioni e 400 mila e nel 2023 a un milione e 200mila copie». Alcuni edicolanti oggi chiedono di rinegoziare le percentuali previste dall’accordo stipulato ormai trent’anni fa, ma il problema è che la cifra complessiva è destinata a diminuire, e di molto, visto il ritmo con cui cala la vendita di quotidiani.«Il punto oggi non è tanto come spartirsi la torta, ma che la torta è sempre più piccola», dice Anselmi.

Secondo i risultati di un sondaggio del 2023 pubblicato nell’ultimo rapporto del sindacato Snag, Gli italiani e le edicole, il 69,4 per cento di chi va in edicola compra però ancora il giornale. «I quotidiani e le riviste», spiega Anselmi, «rappresentano ancora comunque mediamente oltre il 50 per cento del fatturato delle edicole». I dati del sondaggio sono stati raccolti intervistando oltre 1.200 persone: tra le 400 che vanno in edicola più di una volta alla settimana, le cose più comprate dopo i quotidiani sono le “riviste di giochi”, ovvero pubblicazioni come La settimana Enigmistica, (le comprano il 44,2 per cento dei clienti “abituali”). Seguono i periodici specializzati, come La Cucina Italiana e Quattroruote (37,8 per cento) e i biglietti per i mezzi pubblici (34,7 per cento). Poi ci sono: i libri (27,9 per cento), i fumetti (25,7 per cento), i periodici illustrati come Panorama e L’Espresso (23,3 per cento), i periodici cosiddetti “femminili” come Elle e Vogue (19,7 per cento), libri e riviste per bambini (18,1 per cento); i periodici di gossip come Novella 2000 (15,3 per cento) e i giocattoli per bambini (12,5 per cento). Il sondaggio ammetteva più di una risposta.

Sono pochi i casi in cui la vendita dei giornali riesce a essere ancora molto remunerativa. Un esempio è Quisco, la prima edicola a Milano in termini di vendite di quotidiani e periodici tra le circa 310 attualmente aperte nel comune, con un fatturato annuo che supera i 500mila euro (tra giornali e altri servizi). Il chiosco è di Andrea Carbini, 56 anni, già fondatore delle librerie Ubik, che lo ha preso in gestione quattro anni fa, appena prima del Covid. A Milano ci sono edicole che fatturano anche diversi milioni di euro all’anno, ma il loro guadagno è legato in grandissima parte alla vendita di gadget per turisti (sono soprattutto quelle in centro). Quando si parla di vendita di giornali, mediamente il fatturato si riduce molto. «Carbini è in controtendenza, ma è la prova che i giornali basta saperli vendere», dice Alessandro Rosa, presidente di Snag Milano.

L’edicola Quisco di via Plinio, a Milano (foto dal profilo Instagram @edicolequisco)

Il suo approccio per la verità è molto particolare e non è detto che si possa applicare su larga scala. Carbini nel periodo della pandemia aveva iniziato a distribuire i giornali a Milano con un’apecar, fermandosi nelle zone senza un’edicola. Questo gli aveva permesso di farsi conoscere da molte persone che vivono in città, anche perché l’iniziativa aveva attirato molta attenzione ed era stata raccontata su diversi giornali (interessati alla causa per ragioni comprensibili). Carbini spiega il successo dell’edicola di via Plinio così: «I clienti sono fidelizzati perché siamo una via di mezzo tra un’edicola, un patronato e una libreria». Il chiosco vende infatti anche libri nuovi e usati, e offre servizi come l’attivazione di tessere per i musei, dello Spid o il pagamento delle bollette, ma anche il prestito e la restituzione di libri delle biblioteche comunali. Un altro punto di forza è l’orario di apertura: Quisco è aperta tutti i giorni dalle 6 del mattino alle 21:30.

La scelta di diversificare l’offerta è stata per molti edicolanti la risposta più frequente alla crisi di vendita dei giornali. Da diverso tempo, accanto a quotidiani e riviste, nelle edicole si vende molto altro: si possono comprare per esempio biglietti dei mezzi pubblici, souvenir, libri, giochi e gratta e vinci, o accedere a servizi di vario genere, come la consegna e il ritiro dei pacchi, in anni in cui le spedizioni a domicilio sono molto aumentate.

Da qualche anno la legge italiana permette inoltre agli edicolanti di vendere anche prodotti alimentari confezionati e qualche sperimentazione è già iniziata. Alcune regioni, per esempio Lazio, SiciliaPiemonte, si sono dotate di regolamenti per consentire la vendita di particolari prodotti nei chioschi, come cibo confezionato e bibite. A Milano nel 2020 Edoardo Scarpellini, 34 anni, ha fondato Quotidiana, con lo scopo di trasformare le tradizionali edicole in una sorta di catena di negozi di vicinato, sul modello già esistente in Francia della catena chiamata Lulu dans ma rue (“Lulu nella mia via”). Dentro ai chioschi di Quotidiana, oltre a riviste e giornali, si trovano infatti alimentari, vini, bevande, prodotti di parafarmacia e articoli per l’igiene personale. 

Nel 2021 Quotidiana aveva comprato 22 edicole a Milano, ma oggi solo quattro sono aperte e altre due apriranno a breve: non si sa a che condizioni e se potranno aprire le altre 16. Scarpellini dice che la cosa dipende dalla direttiva Bolkestein, che impone agli stati membri dell’Unione Europea di liberalizzare le concessioni demaniali, in modo da garantire pari condizioni concorrenziali alle imprese di tutti gli stati membri. La direttiva riguarda anche le edicole, che si trovano sul suolo pubblico e che dovranno quindi essere messe a bando e assegnate con dei criteri specifici: il proprietario di Quotidiana teme che con i nuovi bandi le concessioni dei suoi chioschi vengano riassegnate ad altri edicolanti e che quindi un suo eventuale investimento possa risultare in perdita.

Un'edicola di Quotidiana

L’inaugurazione di una delle edicole di Quotidiana nel 2020 (Foto Ansa/Andrea Fasani)

Finora i governi italiani hanno cercato di aggirare in vario modo la direttiva Bolkestein con numerosi rinvii, soprattutto quando applicata agli stabilimenti balneari, ma in teoria l’ultima legge sulla concorrenza alla fine del 2023 ha stabilito che dal 2025 le concessioni – comprese quelle sulle edicole – debbano essere rimesse a gara. Nel frattempo ogni comune si è mosso in modo autonomo: a Milano per esempio le concessioni sono state rinnovate solo fino al 2025, in attesa dei nuovi bandi. Questo però sta disincentivando alcuni imprenditori, come Scarpellini di Quotidiana, a investire su larga scala e a lungo termine sulle edicole.

Alla sua nascita, Quotidiana era stata molto contestata dalle associazioni di categoria e dai sindacati, proprio per la scelta di affiancare ai giornali cibo e bevande, che secondo i critici avrebbe ulteriormente messo in secondo piano l’attività principale delle edicole, cioè la vendita di giornali. Tuttavia oggi sono le stesse associazioni a incoraggiare la nascita modelli simili. «Il nostro obiettivo è cercare di far tornare i clienti verso il punto vendita, ma mettendo comunque  il giornale al primo posto», aggiunge Innocenti. Ora per esempio, come spiega il presidente del sindacato, lo Snag sta lavorando con le regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia per pensare a una soluzione di edicola-negozio di vicinato che proponga prodotti locali: «Comprando i giornali i clienti possono essere attirati anche da prodotti del territorio, specialmente nelle zone turistiche», continua, ma allo stesso modo possono decidere di comprare un giornale dopo essere stati attirati lì per via di altri prodotti.

Tra i casi emblematici delle edicole che riescono a sopravvivere (molto bene) senza vendere giornali tradizionali c’è la 518 di Perugia, nota anche al di fuori della regione. Nel 2016 è stata presa in gestione dalla casa editrice Emergenze Publishing, formata pochi anni prima da un gruppo di artisti e giornalisti. Vende soprattutto riviste indipendenti, libri d’artista e autoproduzioni. A differenza delle altre edicole, però, non si appoggia alla distribuzione tradizionale e quindi il suo successo non si deve alla vendita dei quotidiani e delle riviste che si trovano abitualmente nelle edicole. «Quando abbiamo aperto siamo andati da un distributore locale per capire come fare», racconta Alberto Brizzoli di Edicola 518. «I passaggi burocratici erano così tanti e il guadagno così irrisorio che abbiamo deciso di fare diversamente». Oggi a Edicola 518 lavorano quattro persone, che si occupano anche delle pubblicazioni di libri indipendenti e degli eventi. Il nome fu scelto proprio durante i vari passaggi burocratici, quando i fondatori scoprirono che 518 era il numero identificativo del loro chiosco per il sistema di distribuzione.

Una delle novità introdotte negli ultimi anni per favorire la vendita dei giornali sono invece i distributori automatici, fatti proprio come dei distributori di merendine, ma che vendono copie cartacee di quotidiani e riviste. Esistono da un po’, sono ancora molto pochi ma in questi ultimi anni stanno aumentando. Oltre alla famosa (per chi vive a Roma) edicola di piazza Colonna, davanti alla sede del governo, i distributori hanno cominciato a essere installati negli ospedali, come al Cona di Ferrara e in quello di Sassuolo, in provincia di Modena, ma anche nelle stazioni di servizio.

L’edicola di Piazza Colonna, a Roma, trasformata in un distributore di giornali (Il Tempo TV)

Per evitare che i distributori automatici danneggino gli edicolanti o li rimpiazzino sistematicamente, però, molte volte questi sono gestiti proprio da edicolanti. Nella maggior parte dei casi hanno già un loro chiosco e si occupano già della distribuzione dei giornali “porta a porta” agli abbonati. Per le stazioni di servizio, a febbraio, Fenagi ha annunciato la collaborazione tra il gruppo Api-IP (quelli del carburante) e il gruppo Monrif, che tra le altre testate pubblica quelle di QN (Il Resto del Carlino, La Nazione Il Giorno). I primi distributori nati da questa collaborazione sono stati installati a Bologna, ma l’obiettivo è distribuirli soprattutto nei comuni che non hanno più un’edicola.