Ersilia Bronzini, femminista

«A Milano ci sono circa 4.200 strade, divise tra vie, viali, corsi, piazze, piazzali, larghi, vicoli, bastioni, ma anche una strada, un carrobbio, due alzaie e una ripa. In tutta questa vastità odonomastica spiccano, per la loro solitudine, le strade intitolate alle donne, che sono solo 141; scartando però quelle dedicate alla Madonna, alle sante e alle martiri e quelle dedicate a regine e principesse, ne restano 85 su 4.250, meno del 2 per cento. Da un anno c'è anche la Passeggiata Ersilia Bronzini, che è stata una delle più grandi femministe italiane: un giardinetto spartitraffico nel bel mezzo del viale dedicato al marito»

Luigi Majno ed Ersilia Bronzini nel 1912. Per tutte le fotografie, conservate presso il Civico Archivio Fotografico di Milano, si ringrazia la Fondazione Asilo Mariuccia e il Fondo Luigi Majno
Luigi Majno ed Ersilia Bronzini nel 1912. Per tutte le fotografie, conservate presso il Civico Archivio Fotografico di Milano, si ringrazia la Fondazione Asilo Mariuccia e il Fondo Luigi Majno

Qualche giorno fa, passando in auto lungo viale Majno, un lungo stradone della Circonvallazione dei Bastioni, nei pressi di Porta Venezia, ho notato, casualmente, che il parterre centrale tra le due carreggiate, una distesa di giardinetti alberati lunga qualche centinaio di metri e larga una dozzina, è stato dedicato a Ersilia Bronzini Majno. L’intitolazione della strada è avvenuta il 17 febbraio dell’anno scorso alla presenza dell’assessore alla Cultura e di molte associazioni. È una buona notizia: che un luogo di Milano sia stato intestato a una donna è un fatto sorprendente di per sé.

A Milano ci sono circa 4.200 strade, divise tra vie, viali, corsi, piazze, piazzali, larghi, vicoli, bastioni, ma anche una strada, un carrobbio, due alzaie e una ripa. In tutta questa vastità odonomastica spiccano, per la loro solitudine, le strade intitolate alle donne, che sono solo 141; scartando però quelle dedicate alla Madonna, alle sante e alle martiri e quelle dedicate a regine e principesse, ne restano 85. Ma ci sono anche quelle dedicate a figure femminili mitologiche o della letteratura, come Donna Prassede dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni e altre due collettive, piazzale Donne Partigiane e via privata delle Stelline, le orfane del brefotrofio che fino al 1971 fu in corso Magenta. Alla fine ne restano solo 80 su 4.250, l’1,9 per cento per la precisione.

Questo scempio odonomastico è senza dubbio dovuto al fatto che la maggior parte delle strade è stata intitolata decenni fa, se non secoli fa, quando le donne in Italia, e anche a Milano, erano comprimarie destinate a restare in ogni caso alle spalle del marito, del padre, del fratello. Ersilia Bronzini è una delle dimostrazioni più clamorose di questa ingiustizia. Che non si sia mai pensato di dedicarle una via o una piazza nella città dove visse e lavorò fino a ben 90 anni dopo la sua morte – quando le sono stati intitolati un giardinetto e un’aula universitaria – è abbastanza sconcertante.

Ersilia Bronzini nacque nel 1859 a Milano. Era figlia di un piccolo commerciante, ma rimase orfana da bambina e dovette abbandonare gli studi quando l’attività del padre fallì. Lo stesso accadde alla sorella Virginia, ma non ai due fratelli, ai quali fu invece concesso di continuare a studiare e di laurearsi in Legge e Ingegneria. Ersilia Bronzini si formò studiando a casa, come autodidatta, utilizzando i testi scolastici e universitari dei fratelli. Fu poi proprio il fratello Arturo a insegnare a Ersilia e a Virginia l’inglese e il francese.

Ersilia Bronzini nel 1877

Nel 1882, a 23 anni, Ersilia Bronzini conobbe un avvocato milanese, Luigi Majno, originario di Gallarate, non distante da Oleggio. Majno, allora trentenne, collaborava con alcuni noti penalisti milanesi e con il suo docente all’Università di Pavia, Antonio Buccellati. Si sposarono l’anno successivo e andarono a vivere a Milano in via Pietro Verri, al numero 7. Ebbero tre figli a distanza ravvicinata: Carlotta nel 1884, Edoardo nel 1886 e Mariuccia nel 1888.

Luigi Majno, già da alcuni anni, si stava spostando verso i valori del socialismo milanese, illuminato e illuminista, che chiedeva alle persone delle classi agiate e fortunate di impegnarsi socialmente per aiutare i meno abbienti e gli ultimi. Grazie alle conoscenze del marito, Ersilia Bronzini iniziò a collaborare con la celebre Alessandrina Ravizza, la contessa che da quasi due decenni era l’anima, il corpo e il borsellino di tutte le iniziative volte ad aiutare i poveri e a cercare di creare un movimento per l’emancipazione delle donne e per una loro piena partecipazione alla vita economica, politica, culturale e sociale dell’Italia (Milano le ha dedicato un parco).

Nel 1879 Alessandrina Ravizza aveva fondato in via Anfiteatro la Cucina per gli Ammalati Poveri; la struttura caritatevole si trovava nel cuore di un quartiere estremamente popolare e sovraffollato, soprattutto di famiglie molto umili. Ravizza, che forniva pasti gratuiti a centinaia e centinaia di milanesi e forestieri ogni giorno, fu soprannominata “la contessa del broed”, del brodo. Il suo successo fu di ispirazione per un gruppo di alto borghesi e nobili meneghini, che si autotassarono per imitarla. Vennero così fondate le Cucine Economiche, modello riproposto poi in mezza Italia.

Quasi dieci anni dopo, Alessandrina Ravizza fondò anche la Guardia ostetrica diurna di via Unione, che forniva supporto medico gratuito a qualunque donna ne avesse bisogno. Ersilia Bronzini andò a collaborare proprio nella struttura di via Unione; non avendo competenze in materia medica o infermieristica, ma possedendo una fitta rete di relazioni sociali grazie al lavoro del marito, le fu chiesto da Ravizza di impegnarsi come “collettore di fondi” organizzando riunioni, salotti, cene tra le più facoltose famiglie milanesi per raccogliere i soldi necessari a sovvenzionare le opere caritatevoli a favore delle donne e dei poveri.

Nella casa di via Verri Ersilia Bronzini organizzò un salotto letterario al quale invitava le donne appartenenti alle famiglie più facoltose della città. Fu in quel periodo che conobbe Anna Kuliscioff, medica specializzata in ginecologia e socialista, legata a Filippo Turati e alle altre donne del socialismo meneghino, come Edvige Vonwiller, Ada Negri e Jole Bersellini. In un secondo momento Ersilia Bronzini iniziò a collaborare anche con l’Associazione generale di mutuo soccorso e di istruzione delle operaie, fondata nel 1862 da Laura Mantegazza Solera.

Allo scoppio dei moti del pane del 1898 e alla successiva repressione voluta dai Savoia per mano del generale Bava Beccaris, nelle strade di Milano rimasero oltre cento corpi, decine di migliaia i feriti, circa millecinquecento persone arrestate, tra cui Anna Kuliscioff e Filippo Turati, e condannate ad anni di galera. Emilia Bronzini fu inorridita dalla carneficina compiuta dai soldati dei Savoia e si impegnò per aiutare chi spesso era stato arrestato a casaccio, senza alcuna reale colpa, se non quella di aver manifestato per il prezzo del pane che era arrivato a livelli insostenibili. Fiorenzo Bava Beccaris, invece, fu ringraziato calorosamente dal cardinale di Milano Andrea Carlo Ferrari: in segno di riconoscimento per quella che dai Savoia fu giudicata una brillante azione militare ricevette il 5 giugno 1898 dal re Umberto I la Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia e undici giorni più tardi, il 16 giugno, ottenne un seggio al Senato; nel 1922 fu tra i generali che convinsero il re a incaricare Benito Mussolini di formare un governo.

Una pagina del magazine inglese Black and White del 21 maggio 1898 sui moti del pane di Milano. In alto il generale Fiorenzo Bava Beccaris, che ordinò di sparare sulla folla. A destra i manifestanti attaccano un tram in corso Venezia. Al centro sulla sinistra, persone arrestate condotte in carcere. A destra, soldati in piazza del Duomo. In basso un disegno di George Lambert sugli scontri sempre in piazza del Duomo. (Hulton Archive/Getty Images)

Ersilia Bronzini si era resa conto che le leggi del Regno d’Italia permettevano di imporre la censura più drastica e di chiudere le associazioni considerate sovversive, anche soltanto potenzialmente tali, fermando ogni istituzione caritatevole se rivolta al popolo, alle donne o se di matrice socialista. Decise così di riunire le dozzine e dozzine di associazioni esistenti in Italia, per lo più nelle grandi città del nord, in un’unica struttura, che fungesse da mantello per proteggerle formando una massa critica di affiliati tale da rendere praticamente impossibile la loro chiusura. Nacque così, nel 1899, l’Unione femminile nazionale.

L’anno seguente la coppia Bronzini-Majno raggiunse l’apice del successo “politico” e attivistico; Luigi venne eletto deputato in parlamento nelle file dei Socialisti di Turati, mentre Ersilia venne nominata consigliera di amministrazione della Cà Granda-Ospedale Maggiore di Milano, prima donna italiana a entrare in un cda di un’azienda.

Nel 1902, dopo aver iniziato a occuparsi anche di prostituzione e di tratta delle bianche, un fenomeno ancora molto forte al sud e nel nord-est del Paese, l’attività di Ersilia Bronzini fu bruscamente interrotta dalla morte della figlia Mariuccia, avvenuta a 14 anni per difterite. Ersilia in quel momento si trovava a Roma, per confrontarsi con il governo su alcune attività a favore delle donne. Tornata a Milano precipitosamente, non poté far altro che organizzare il funerale della figlia. Reagì al lutto nel modo a lei più consono, progettando e creando una struttura per il recupero delle bambine vittime di abusi sessuali, «pericolanti» e «sull’orlo del traviamento». L’Asilo Mariuccia fu inaugurato il 15 dicembre 1902, grazie a una ricca donazione da parte dei coniugi Majno e di altre due donatrici anonime, che permisero di avviare l’associazione; il conte Camillo Broglio diede in affitto al prezzo simbolico di una lira una sua villetta in via Monte Rosa 6, che divenne la sede dell’Asilo.

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Negli anni successivi Ersilia Bronzini collaborò con l’associazione fondata nel 1893 da Moisè Loria, l’Umanitaria, che si proponeva di «mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da sé medesimi, procurando loro appoggio, lavoro ed istruzione». Insieme riuscirono a convincere il Comune a fornire i permessi per il primo quartiere di edilizia popolare di Milano, in via Solari 40. Fu poi dirigente della rivista L’Unione Femminile, collaboratrice e ispiratrice della Clinica del lavoro fondata da Luigi Devoto in via della Commenda e, complice il lavoro a contatto con le giovani prostitute dell’Asilo Mariuccia, iniziò a interessarsi alla delinquenza minorile e battersi per l’istituzione del Tribunale per i minorenni e per il reinserimento nella società dei giovani detenuti.

Lavori in giardino all’Asilo Mariuccia

Nel 1905 morì Carlotta, la figlia maggiore, a poco più di vent’anni. La coppia non resse al doppio lutto, anche perché da anni Luigi Majno risiedeva spesso a Roma per lavorare in Parlamento. I due non si separarono, continuarono a vivere assieme, ma solo per condividere le battaglie sociali e occuparsi dell’unico figlio rimasto. Dopo questo secondo lutto Ersilia Bronzini iniziò a ritirarsi dalla vita politica attiva, concentrandosi sempre più sull’Asilo Mariuccia e su poche, precise battaglie, sempre legate al femminismo e alla condizione dei giovani detenuti.

Non aderì mai ufficialmente al Partito socialista: pur restando una simpatizzante e apprezzando gli ideali di massima del movimento, non ne approvava il massimalismo rivoluzionario e tanto meno l’idea di legare la Questione femminile, per lei fondamentale, a un singolo partito perché per lei il femminismo era un ideale universale superiore alle ideologie. Nel suo salotto continuò a ricevere l’intellighenzia socialista milanese e italiana del tempo in cui, dal 1913, iniziò a comparire anche un giovane socialista romagnolo, di scarso spessore culturale ma grande fervore, Benito Mussolini. Ersilia Bronzini, del tutto contraria alla violenza e ai gesti eclatanti, non apprezzò mai la presenza del giovane Mussolini, che al contrario venne preso sotto l’ala protettiva del marito Luigi, affascinato dal suo grezzo ardore romagnolo.

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Luigi Majno, nello stesso anno, fu eletto presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano e nominato consigliere di amministrazione della potentissima e ricchissima Cassa di risparmio. L’anno seguente, alle elezioni municipali, fu il primo degli eletti, ottenendo un vero successo personale. Gli fu anche offerta la carica di sindaco, ma rinunciò a causa dell’aggravarsi del diabete di cui soffriva da diversi anni. Intanto si discuteva sull’entrata in guerra; Ersilia Bronzini si dichiarò sempre contraria all’intervento, mentre Majno, inizialmente su posizioni neutraliste, cambiò idea lasciandosi convincere proprio da Mussolini. E fu ancora Majno a difendere in tribunale Mussolini allorquando fu cacciato dalla direzione dell’Avanti! ed espulso dal Partito socialista proprio per le sue posizioni interventiste. Il 14 novembre 1914 uscì il primo numero del Popolo d’Italia, il nuovo quotidiano interventista di Mussolini. Luigi Majno morì pochi mesi dopo, il 9 gennaio del 1915. Il 24 maggio l’Italia sarebbe entrata in guerra.

Durante il conflitto, con l’Italia precipitata in una cappa di censura e di compressione totale dei diritti, Ersilia Bronzini si occupò dell’Asilo Mariuccia e fornì aiuti economici e cibo alle famiglie dei combattenti milanesi. Il suo neutralismo indefesso la fece anche guardare con sospetto dal governo e dai Savoia. Per lei gli anni dopo la guerra furono anche peggiori. La città era devastata dal Biennio Rosso, le lotte operaie e contadine del 1919-1920, e dagli scontri sempre più violenti con i fascisti. L’Unione femminile nazionale, che aveva fondato, precipitava verso una deriva nazionalistica esasperata, come buona parte del paese. Nel 1920 Ersilia Bronzini la abbandonò ufficialmente, mentre l’Italia scivolava verso il fascismo guidato da quel romagnolo che lei aveva sempre guardato con sospetto.

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I movimenti socialisti e femministi furono colpiti e chiusi uno dopo l’altro. A Ersilia Bronzini, finita in un cono d’ombra, non rimase che la gestione dell’Asilo Mariuccia e la presidenza dell’associazione contro la tratta delle bianche. Il fascismo fu profondamente antifemminista, relegando la donna al mero ruolo di progenitrice e di madre. Nel 1925 Mussolini concesse il voto nelle elezioni amministrative alle donne, ma a condizioni così ristrette che a votare fu solo una esigua minoranza. Peccato che pochi mesi dopo lo stesso Mussolini abolì la carica di sindaco, sostituendolo con quella di podestà, di nomina governativa, come anche quelle dei consiglieri. Insomma, dal 1926 le elezioni amministrative furono abolite, insieme a tutte le altre, e le donne non poterono più votare fino alle elezioni amministrative del marzo del 1946

Ersilia Bronzini nel 1907. Per tutte le fotografie, conservate presso il Civico Archivio Fotografico di Milano, si ringrazia la Fondazione Asilo Mariuccia e il Fondo Luigi Majno

Il 17 febbraio del 1933 Ersilia Bronzini morì dopo una breve broncopolmonite nella sua casa di via Tranquillo Cremona al 27. I funerali si svolsero due giorni dopo presso la sede dell’Asilo Mariuccia in via Monte Rosa 6. Alla presenza di vari senatori e parlamentari milanesi, del vice podestà e di numerose altre autorità, oltre che da una grande folla di amici e simpatizzanti, la salma fu portata al Cimitero monumentale. Dopo la fine della guerra e la Liberazione, la neonata Repubblica italiana si dimenticò totalmente di Ersilia Bronzini, forse considerando “sufficiente” la dedica fatta al marito Luigi Majno, a cui subito dopo la fine della Grande Guerra era stato intitolato il viale della circonvallazione dei Bastioni, già Bastione di Porta Monforte.

Anche al Famedio, luogo in cui sono ricordati i nomi dei milanesi illustri, Ersilia Bronzini è stata aggiunta solo nel 2015, più di ottant’anni dopo la morte. La targa posta lungo lo spartitraffico-giardinetto riporta: «Passeggiata Ersilia Bronzini Majno. Attivista, fondatrice dell’Asilo Mariuccia».

Meglio di niente, ma stonano il cognome del marito e la totale assenza di riferimenti al femminismo.

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PM
PM

Nato sul bordo degli anni Sessanta, cresciuto negli orrendi Settanta, non maturato negli Ottanta, in qualche modo giunto sino a oggi vivendo tra Milano, la Francia e la Sardegna. Preferisce rimanere anonimo. È l'autore dell'account @milano_scomparsa_o_quasi su Instagram.

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