Che storia ha Chico Forti

È stato 24 anni in un carcere della Florida per un omicidio la cui ricostruzione è ancora poco chiara: dopo numerosi appelli verrà infine trasferito in Italia

Uno striscione della manifestazione “Uniti per Chico Forti” in piazza Montecitorio a Roma, il 13 ottobre del 2020
Uno striscione della manifestazione “Uniti per Chico Forti” in piazza Montecitorio, Roma, 13 ottobre 2020 (ANSA / ANGELO CARCONI)
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Venerdì, durante una visita a Washington, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che è stata firmata l’autorizzazione per il trasferimento in Italia di Enrico Forti, soprannominato “Chico”. Chico Forti è un imprenditore e produttore cinematografico di Trento che, dopo un processo di oltre tre settimane per omicidio, il 15 giugno del 2000 fu condannato all’ergastolo in Florida. Sono passati ventiquattro anni e Forti è in carcere negli Stati Uniti da allora, nonostante la convenzione di Strasburgo garantisca il diritto di una persona condannata in un paese straniero di scontare la pena nel proprio stato d’origine.

Del caso di Chico Forti si parlò moltissimo sia durante il processo che dopo: la vicenda giudiziaria che lo coinvolge infatti è intricata e la ricostruzione dei fatti per certi versi poco chiara, ed è tornata ciclicamente sui giornali negli anni per via di vari appelli e dichiarazioni di politici al riguardo, anche perché lui ha sempre detto di essere innocente. Nel 2020 l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio disse che Forti sarebbe stato trasferito in Italia, ma perché l’autorizzazione venisse infine firmata ci sono voluti più di tre anni.

Forti fu condannato per l’omicidio di Anthony “Dale” Pike, il figlio di un uomo australiano con cui stava trattando la vendita di un albergo di Ibiza. Nato a Trento nel 1959, si era trasferito negli Stati Uniti negli anni Novanta per occuparsi di produzioni video e mediazioni immobiliari. Tra le altre cose fu il primo italiano a competere nella coppa del mondo di windsurf prima di lasciare lo sport nel 1987 per via di un incidente. Si era specializzato nella produzione di video di sport estremi, cosa che lo aveva portato anche a partecipare a qualche trasmissione televisiva.

Il 16 febbraio del 1998 un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike, 42 anni, di Sydney, in un boschetto su una spiaggia vicino a Miami: era stato ucciso con due colpi di pistola calibro 22 sparati alla nuca e denudato completamente.

Buona parte delle ricostruzioni sul caso è basata sulla versione fornita dal sito che chiede la liberazione di Chico Forti, gestito da amici e conoscenti per quanto molto documentato. Pike era arrivato il giorno prima a Miami da Madrid e all’aeroporto aveva incontrato Forti, che gli aveva dato un passaggio in automobile fino al parcheggio di un ristorante nella località di mare di Key Biscayne, dove lo aveva lasciato intorno alle 19.

Pike fu ucciso lì vicino in un intervallo di tempo tra le 20 e le 22 (come emerse dallo studio della scena del delitto e dalle analisi sul cadavere), quindi poco dopo l’incontro con Forti, che verso le 20 era comunque tornato nella zona dell’aeroporto. In un primo momento, dopo la scoperta del cadavere, Forti negò di essere andato a prendere Pike all’aeroporto: l’accusa però portò come prova i tabulati telefonici del cellulare di Forti, che mostravano che era stato vicino alla spiaggia dove era stato trovato il cadavere, e della sabbia che fu trovata nella sua macchina.

Durante il processo che iniziò in Florida nel 2000 l’accusa sostenne che Forti aveva raggirato il padre di Dale Pike, Anthony Pike, che soffriva di demenza, per ottenere che gli vendesse l’hotel di Ibiza. Secondo l’accusa il figlio di Pike aveva scoperto il tentativo di inganno, avrebbe provato a impedirlo e per questo sarebbe stato ucciso da Forti. La difesa puntò tutto sul fatto che non c’erano testimoni, impronte digitali o resti di DNA che collegassero Forti all’omicidio, e provò invece a orientare le accuse verso Thomas Knott, un vicino di Forti che però aveva un alibi.

La sera del 20 febbraio, pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Dale Pike, Forti tornò alla polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d’affari con suo padre, ma senza l’assistenza di un legale. In quell’occasione fu arrestato e sottoposto a un interrogatorio di 14 ore, durante il quale ritrattò la sua prima versione, ammettendo di aver incontrato Pike il 15 febbraio, poco prima che fosse ucciso.

Stando alla versione fornita sul sito del caso, Forti fu arrestato per frode, circonvenzione di incapace e concorso in omicidio. Dopo essere stato liberato su cauzione, nei venti mesi seguenti fu scagionato dagli otto capi d’accusa che riguardavano la frode. Tuttavia, l’elemento della frode fu utilizzato dall’accusa come movente nel processo per l’omicidio.

L’arringa finale dell’accusa al processo per omicidio fu pronunciata il 15 giugno del 2000, senza la possibilità per la difesa di replicare. I difensori avevano infatti consigliato a Forti di non testimoniare per non esporsi a domande pericolose sul fatto di aver mentito, quando all’inizio aveva detto di non aver visto Dale Pike il giorno della sua morte. Questa scelta escluse però la possibilità per la difesa di avere l’ultima parola, lasciando totalmente il campo all’accusa, che poté raccontare la propria ricostruzione alla giuria senza la possibilità di essere smentita.

Secondo il sito che racconta il caso, proprio questa condizione fu determinante per la sua condanna, che avvenne dopo poche ore di riunione della giuria per emettere il verdetto. Il sito cita anche le parole pronunciate dalla Corte nel dichiarare Forti colpevole:

La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale.

Per spiegare il modo di agire della procura di Miami nei confronti di Forti si è anche ipotizzato qualche legame con un’altra vicenda giudiziaria, quella del presunto suicidio di Andrew Cunanan, l’uomo accusato dell’assassinio di Gianni Versace, ucciso il 15 luglio del 1997 a Miami Beach. Forti infatti aveva girato Il sorriso della Medusa, un documentario per Rai 3 sul caso Versace, in cui veniva messo in dubbio l’operato della polizia di Miami nella ricerca dell’effettivo assassino.

Venerdì il governatore della Florida Ron DeSantis ha approvato il trasferimento di Forti su richiesta del dipartimento di Giustizia e del governo italiano: le trattative andavano avanti da anni anche per via del timore che una decisione simile avrebbe potuto creare scontento negli elettori Repubblicani (da cui DeSantis era stato eletto) e per il disaccordo della procura che aveva portato alla condanna.