I finti, veri metallari di “Spinal Tap”

Quarant'anni fa uscì uno dei più celebri “mockumentary” di sempre, che prendeva in giro gli eccessi e gli stereotipi dell'heavy metal del tempo

Un fotogramma di This Is Spinal Tap (Embassy Pictures)
Un fotogramma di This Is Spinal Tap (Embassy Pictures)
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Negli anni Ottanta l’heavy metal era un genere musicale di grande successo di vendite, attorno al quale si era sviluppato un mercato redditizio e che nelle sue espressioni più commerciali si era consolidato attorno a una serie di stereotipi che derivavano da una parte dalla tradizione del rock, dall’altra dalle abitudini più edonistiche e consumistiche tipiche di quegli anni. Band come Van Halen, Metallica, Guns N’ Roses e Iron Maiden avevano portato negli stadi e in televisione un genere nato nel decennio precedente in Inghilterra, grazie a band come Led Zeppelin e Black Sabbath, trasformandolo in un fenomeno di costume e generando una lunga serie di emuli.

Oltre ai cliché estetici come i capelli lunghi, i pantaloni stretti, le giacche in pelle e gli anfibi, i protagonisti dell’heavy metal erano quasi sempre caratterizzati da un certo trasporto per gli eccessi tipici del rock, come l’abuso di alcol e droghe, il sesso promiscuo, i comportamenti scalmanati sul palco e nei camerini. Questo stile di vita però aveva perlopiù perso le componenti autenticamente sovversive che poteva avere ancora una decina di anni prima, e si era ormai inserito nel contesto gaudente e materialistico che caratterizzava la cultura pop dei paesi occidentali negli anni Ottanta.

Mentre televisioni e stampa di settore perlopiù assecondavano e celebravano quel mondo, il 2 marzo del 1984, quarant’anni fa, uscì un film che provò a offrirne una prospettiva diversa, facendone risaltare gli aspetti più ridicoli e grotteschi. Si chiamava This Is Spinal Tap e fu accolto in maniera molto positiva dalla critica del tempo, che apprezzò la sua capacità di prendere in giro un immaginario così stereotipato, fondato su una volontà di autocelebrazione così eccessiva da apparire involontariamente comica.

Fu il film di debutto del regista statunitense Rob Reiner, che negli anni successivi avrebbe diretto film oggi considerati di culto come Stand by Me – Ricordo di un’estate, Harry, ti presento Sally… e Misery non deve morire, adattamento di un famoso romanzo di Stephen King. Per realizzare This Is Spinal Tap, Reiner scelse di utilizzare l’espediente narrativo del “finto documentario” (in inglese “mockumentary”), che in sostanza consiste nel raccontare storie di finzione utilizzando gli stilemi tipici dei documentari, in modo tale da dare allo spettatore l’illusione che ciò che sta guardando sia descrizione della realtà.

Nel 1979, Reiner si era imbattuto negli Spinal Tap, una fittizia band metal inglese composta da comici/musicisti che aveva partecipato al The TV Show, un programma comico dove lavorava come sceneggiatore. Decise così di inventarsi una storia dietro al gruppo, che era composto dal cantante David St. Hubbins, dal chitarrista Nigel Tufnel e dal bassista Derek Smalls, interpretati rispettivamente da Michael McKean, Christopher Guest, Harry Shearer. A loro furono aggiunti il tastierista Viv Savage, interpretato da David Kaff, e il batterista Mick Shrimpton, interpretato da Ric Parnell, cofondatore del gruppo metal britannico Atomic Rooster e turnista del gruppo progressive rock italiano Ibis.

This Is Spinal Tap racconta un finto tour della band, organizzato per la promozione del nuovo album Smell the Glove. Reiner stesso partecipò al film interpretando Martin “Marty” Di Bergi, un giornalista ingaggiato per seguire gli Spinal Tap in tutte le date del tour per realizzare un documentario. In alcune interviste Reiner ha raccontato di aver preso ispirazione da L’ultimo valzer, documentario del 1978 diretto da Martin Scorsese che racconta l’ultimo concerto della Band, gruppo di straordinaria popolarità tra gli anni Sessanta e Settanta. La sua idea era realizzare una versione farsesca e disfunzionale di L’ultimo valzer, prendendo in giro i toni agiografici che caratterizzavano la maggior parte dei documentari musicali del tempo.

L’altro obiettivo polemico di This Is Spinal Tap erano i gruppi che gravitavano attorno alla scena glam metal, un sottogenere che agli inizi degli anni Ottanta ebbe un grande momento di popolarità grazie al successo ottenuto da band come Europe e Def Leppard. Il glam era un genere basato quasi interamente sull’immagine, al punto che una parte di critica musicale iniziò a chiamarlo “hair”, a sottolineare quanto le acconciature dei musicisti fossero prioritarie rispetto alla qualità della musica proposta.

Uno dei momenti più apprezzati del film è l’intervista in cui Di Bergi fa al gruppo qualche domanda sul loro passato. Hubbins e Tufnel raccontano che la band si formò nel 1964, cambiando diversi nomi (The Originals, The New Originals, The Regulars, Thamesmen) prima di chiamarsi Spinal Tap. Si scopre che, inizialmente, il gruppo suonava un rock vagamente psichedelico e imitava in tutto e per tutto i Beatles, ma successivamente decise di dedicarsi interamente al metal, un genere molto più accessibile e redditizio.

La scena ironizzava su uno degli errori di percezione degli appassionati di metal del tempo, che consideravano questa musica poco commerciale, anche se in realtà era molto presente nelle classifiche di vendita. Il successo commerciale degli anni Ottanta fu trainato anche dall’avvento di MTV, che consentì a band come Bon Jovi e Mötley Crüe di raggiungere una fama paragonabile a quella delle pop star del tempo grazie a video musicali molto accattivanti dal punto estetico.

This Is Spinal Tap ironizza anche sugli stereotipi associati ad altre figure tipiche del mondo del metal di quegli anni, come per esempio i manager, perennemente indaffarati non soltanto nell’organizzare concerti e stabilire contatti con le case discografiche, ma anche nell’assecondare tutti i capricci dei membri della band: nel film questo ruolo fu assolto da Ian Faith, il manager degli Spinal Tap, interpretato dall’attore britannico Tony Hendra.

Un altro cliché tipico dell’immaginario delle rock band è quello dell’intromissione della compagna di uno dei componenti del gruppo nelle loro dinamiche interne, situazione che era diventata nota per via delle prevalenti interpretazioni dell’epoca sull’influenza di Yoko Ono, moglie di John Lennon, sullo scioglimento dei Beatles. Anche in This Is Spinal Tap viene riproposta una situazione di questo tipo: Jeanine (interpretata da June Chadwick), la compagna di Hubbins, segue il gruppo in tutte le date del tour, infastidendo Tufnel e Smalls per la sua tendenza a criticare il loro abbigliamento e la scenografia dei concerti.

This Is Spinal Tap fu recensito molto positivamente dalla stampa specializzata del tempo. Janet Maslin sul New York Times lodò il film per la sua capacità di rappresentare «il rock-and-roll nella sua forma più raccapricciante», mentre Gene Siskel scrisse sul Chicago Tribune che era così «ben fatto» che uno spettatore poco informato avrebbe potuto pensare che fosse tutto vero.

Il film di Reiner non fu il primo esperimento di questo tipo (nel 1978 per esempio era uscito All You Need Is Cash, un finto documentario che raccontava la carriera dei Rutles, una versione comica dei Beatles), ma fu il primo a ottenere un ampio consenso di critica, dando risalto alle possibilità espressive del mockumentary. Oggi la critica riconosce in modo unanime l’importanza storica di This Is Spinal Tap, che nel 2002 fu selezionato per entrare nel National Film Registry, che raccoglie i film scelti per la conservazione nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Dopo l’uscita del film, gli Spinal Tap pubblicarono un album che raccoglieva tutte le canzoni utilizzate nel film e iniziarono a esibirsi in concerti veri e propri. Negli anni successivi pubblicarono altri due dischi: Break Like the Wind (1992) e Back from the Dead (2009). L’anno scorso Reiner ha annunciato l’uscita di un sequel del film, a cui dovrebbero partecipare anche musicisti di fama internazionale come Paul McCartney e Elton John.