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  • Mercoledì 14 febbraio 2024

Altre tre persone sono state condannate in appello per la valanga all’Hotel Rigopiano

Ventidue imputati sono stati assolti e otto ritenuti colpevoli: fra loro anche l'ex prefetto di Pescara, per non aver attivato i soccorsi

L'Hotel Rigopiano dopo la valanga (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
L'Hotel Rigopiano dopo la valanga (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
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Mercoledì sono stati condannati otto dei 30 imputati nel processo d’appello sulla valanga che più di 7 anni fa causò la morte di 29 persone all’Hotel Rigopiano, in Abruzzo. Dopo cinque ore di camera di consiglio, i giudici della Corte d’Appello dell’Aquila hanno confermato la sostanza della sentenza di primo grado, condannando però tre imputati che allora erano stati assolti. Il processo doveva stabilire le responsabilità legate sia al luogo di costruzione dell’hotel sia al presunto ritardo dei soccorsi.

A differenza del processo di primo grado, in cui erano stati assolti, sono stati condannati l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il tecnico comunale Enrico Colangeli (due anni e otto mesi) e il dirigente della Prefettura di Pescara Leonardo Bianco (un anno e 4 mesi). Provolo è stato condannato a un anno e otto mesi di carcere per falso e omissioni di atti d’ufficio, con riferimento alla mancata convocazione della sala operativa e quindi del centro di coordinamento dei soccorsi.

Sono state confermate le condanne di primo grado per cinque imputati: 2 anni e 8 mesi per Ilario Lacchetta, sindaco di Farindola, il comune dove si trovava l’hotel; 3 anni e 4 mesi per i due dirigenti della provincia di Pescara Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio; 6 mesi ciascuno per l’ex gestore dell’albergo Bruno Di Tommaso e per il tecnico Giuseppe Gatto. Confermate le assoluzioni per gli altri imputati, fra cui c’erano anche rappresentanti della Regione Abruzzo e della provincia di Pescara. I 30 imputati erano stati ammessi al “rito abbreviato”, un tipo di processo in cui l’imputato chiede al giudice di saltare la fase del dibattimento per ottenere uno sconto di pena, oltre che una riduzione della durata del processo.

L’Hotel Rigopiano-Gran Sasso Resort si trovava a 1.200 metri d’altezza nel comune di Farindola, in provincia di Pescara. Fu travolto da una valanga di neve, detriti e tronchi d’albero il pomeriggio del 18 gennaio del 2017, con un impatto così violento da far ruotare l’edificio di tre piani di circa 13° e da farlo spostare di qualche decina di metri. All’interno c’erano 40 persone, 29 delle quali morirono.

La mattina del 18 gennaio 2017, tra le 9:25 e le 13:33, c’erano state nella zona quattro scosse di terremoto di magnitudo superiore a 5. Gli ospiti si spaventarono e chiesero di poter lasciare la struttura, ma la zona di Rigopiano era isolata da ore a causa delle nevicate intense che erano avvenute in quei giorni, e la strada che collegava l’albergo al centro abitato di Farindola era impraticabile. La valanga partì dal monte Siella a poco meno di duemila metri di altezza, tra le 16:45 e le 16:49, spostandosi a circa 100 chilometri orari. L’allarme dopo l’impatto fu dato da un ospite dell’hotel, Giampiero Parete, che si salvò per caso: era uscito poco prima dall’edificio per andare a prendere delle medicine in macchina per la moglie.

Per negligenze e informazioni errate e rassicuranti date dal gestore dell’albergo, Bruno di Tommaso (che non era presente), i soccorsi non arrivarono per ore. Li fece partire un volontario della Protezione civile quando erano ormai le 18:57: trenta persone del Soccorso alpino, della Guardia di finanza e dei Vigili del fuoco arrivarono da Pescara e da Penne, a 9 chilometri da Rigopiano, ma si dovettero fermare per la neve troppo abbondante sulla strada. Solo quattro soccorritori arrivarono sul posto a piedi, indossando le ciaspole, ma erano ormai trascorse diverse ore. I primi elicotteri arrivarono alle 6:30 del mattino successivo, e le operazioni durarono una settimana.

L’accusa aveva richiesto le condanne più gravi per l’allora prefetto di Pescara Francesco Provolo (12 anni) e per Lacchetta (11 anni e 4 mesi), che era sindaco di Farindola all’epoca della valanga. Quest’ultimo è stato condannato non per omicidio colposo, come richiesto dai pubblici ministeri, ma per non aver adottato un’ordinanza in cui dichiarava l’inagibilità e lo sgombero dell’Hotel Rigopiano.

I dirigenti della provincia D’Incecco e Di Blasio sono invece stati condannati perché il controllo della percorribilità e della pulizia notturna delle strade era sotto la loro responsabilità, il gestore dell’hotel Di Tommaso e  il tecnico Gatto per falso.

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