C’è una marea di integratori

Vitamine, minerali, probiotici, barrette proteiche, collagene da bere sono molto usati, costosi e di moda: aiutano davvero a stare meglio?

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L’Italia è tra i paesi europei in cui si consumano più integratori, cioè prodotti che contengono vitamine, minerali, probiotici e altre sostanze. Si stima che circa 30 milioni di persone ne facciano uso ogni anno e che il mercato italiano abbia un valore superiore ai 4 miliardi di euro, in un contesto europeo dove si superano nel complesso i 13 miliardi di euro. Gli integratori sono molto pubblicizzati e sono spesso in bella vista sugli scaffali dei prodotti da banco in farmacia e nei supermercati. La loro promozione è di frequente accompagnata da dichiarazioni come “aiuta il sistema immunitario”, “aumenta le difese” o “fornisce il giusto livello di vitamine”, trasmettendo l’idea che siano molto importanti se non proprio necessari per mantenersi in salute.

In realtà gli effetti degli integratori sulla salute nella popolazione generale sono molto dibattuti e a oggi non ci sono elementi per sostenere che siano davvero utili, salvo casi di persone con gravi carenze a causa di particolari malattie e condizioni mediche. Con la normale alimentazione si assumono già le sostanze necessarie per mantenere in ordine le funzioni dell’organismo, che non ha quindi bisogno di aggiunte offerte da pillole, capsule, fiale o bustine da sciogliere in acqua. Le pubblicità degli integratori comunicano talvolta il concetto opposto, trasmettendo una sensazione di mancanza che può essere compensata solo dall’assunzione di quei prodotti per stare bene.

– Ascolta anche: Gli integratori per “potenziare le difese immunitarie” servono davvero a qualcosa? – Ci vuole una scienza

Macro e micro
Il nostro organismo si sviluppa e si mantiene nel tempo grazie ai “nutrienti”, cioè ai componenti chimici degli alimenti. I più citati e discussi, soprattutto da chi si mette a dieta, sono di solito i macronutrienti, come i carboidrati, le proteine e i grassi. Sono tra le sostanze che conosciamo meglio anche perché le tabelle con le informazioni nutrizionali sulle etichette degli alimenti ci ricordano spesso la loro esistenza. A queste sostanze si aggiungono i micronutrienti, altrettanto importanti ma dei quali abbiamo bisogno in dosi molto più contenute.

I micronutrienti hanno un ruolo nella produzione degli ormoni e degli enzimi, influiscono sul funzionamento del sistema immunitario e sono coinvolti in molti altri processi del metabolismo. I micronutrienti più conosciuti, in parte proprio grazie alle pubblicità degli integratori, sono le vitamine. Questi composti organici possono essere prodotti solo in parte dal nostro organismo, di conseguenza dobbiamo compensare introducendoli con l’alimentazione. È un problema che riguarda buona parte degli esseri viventi, in misura diversa a seconda delle specie e persino delle caratteristiche specifiche degli individui che ne fanno parte.

Vitamine
Ogni vitamina ha una propria struttura chimica e una concentrazione che varia molto a seconda dei tessuti cellulari dei vari alimenti. Ci sono due grandi categorie di vitamine: quelle idrosolubili, che quindi si sciolgono in acqua, e quelle liposolubili, che si sciolgono invece nei grassi (o per meglio dire nei lipidi). Al primo gruppo appartengono la vitamina C e le vitamine del gruppo B, mentre al secondo le vitamine A, D, E e infine K.

Tra queste ultime la più conosciuta e spesso consigliata è la vitamina D, le cui funzioni sono molte e riguardano la salute delle ossa e il funzionamento del sistema immunitario; una sua carenza è stata collegata negli anni a malattie molto diverse tra loro, dal diabete ai tumori. È una delle vitamine che il nostro organismo riesce a produrre in buona parte autonomamente tramite la semplice esposizione al Sole per qualche minuto. Un’eventuale carenza può essere riscontrata attraverso un esame del sangue, anche se è dibattuta la soglia sotto la quale ci sia effettivamente una carenza da compensare con un integratore di vitamina D (è tutto raccontato più estesamente in questa puntata del podcast Ci vuole una scienza).

Due Nobel e una vitamina
Un’altra vitamina di cui si parla spesso, specialmente nel periodo invernale, è la vitamina C, che alcuni considerano quasi la panacea contro tutti i malanni della stagione fredda. Questa convinzione piuttosto radicata è dovuta in gran parte a una sola persona: il chimico statunitense Linus Pauling. Fu una delle più brillanti menti scientifiche del Novecento: nel 1954 ricevette il Premio Nobel per la Chimica per i propri studi sui legami chimici e nel 1962 fu premiato con un Nobel per la Pace per il proprio impegno nei movimenti pacifisti e per il disarmo nucleare. Nel corso della propria carriera ricevette numerosi altri premi, e lavorò a progetti importanti sia nella chimica quantistica sia nella biologia molecolare.

Pauling aveva una carriera inattaccabile, era rispettato e ascoltatissimo, ma nella seconda metà degli anni Sessanta le cose cambiarono quando si convinse che assumendo grandi quantità di vitamina C potesse vivere meglio e ridurre il rischio di ammalarsi. Arrivò ad assumere ogni giorno 18 grammi di vitamina C, circa 300 volte la dose giornaliera consigliata all’epoca negli Stati Uniti. Pubblicò articoli e libri sostenendo l’importanza di questa sostanza e dicendo che in quel modo si sarebbe potuto «eradicare completamente il raffreddore».

Gli studi condotti da decine di centri di ricerca negli anni successivi per verificare le numerose dichiarazioni di Pauling gli diedero torto: non c’era differenza negli esiti tra chi consumava alte dosi di vitamina C contro il raffreddore e chi non lo faceva. Pauling la prese sul personale e continuò a sostenere le proprie teorie, aggiungendo che la vitamina C poteva ridurre le morti causate dal cancro, e che se veniva assunta in combinazione con alte dosi di vitamina A ed E poteva prevenire praticamente qualsiasi malattia conosciuta.

La rivista Time dedicò a Pauling un articolo di copertina nel 1992 piuttosto entusiasta che divenne famoso e molto letto, al punto da generare nuove grandi attenzioni intorno alle vitamine e in generale agli integratori, con un forte lavoro da parte dei produttori nei confronti delle autorità sanitarie per ridurre regole e vincoli nel settore (pratica che funzionò molto bene negli Stati Uniti).

Pauling tra le altre cose sosteneva un’assunzione relativamente semplice e all’apparenza lineare: le sostanze che introduciamo con l’alimentazione, come le vitamine, hanno proprietà antiossidanti, di conseguenza se ne assumiamo di più con gli integratori potremo avere maggiori effetti benefici. Ancora oggi molti prodotti sono promossi per le loro “capacità antiossidanti”, cosa che fa immaginare che l’ossidazione sia invece qualcosa di negativo e da evitare a tutti i costi.

Antiossidanti e radicali liberi
Nelle loro attività di metabolismo, le cellule convertono i nutrienti in energia attraverso un processo che richiede anche ossigeno, e che per questo si chiama ossidazione. Durante questa attività si sviluppano prodotti intermedi molto reattivi che si chiamano radicali liberi dell’ossigeno, che potenzialmente possono causare danni ad alcune strutture delle cellule e al DNA. È un processo inevitabile, ma il nostro organismo ha la soluzione: produce sostanze antiossidanti, cioè molecole che si ossidano con grande facilità, rendendo quindi più probabile una reazione tra loro e i radicali liberi che così non vanno a disturbare le cellule o altre molecole importanti.

Agli antiossidanti prodotti dall’organismo si aggiungono quelli che assumiamo attraverso il cibo, specialmente frutta e verdura che contengono le vitamine A, C ed E. Alcuni studi hanno segnalato che in chi ha una dieta varia e mangia molta frutta e verdura c’è una minore incidenza di problemi cardiaci e di tumori. Verrebbe quindi da pensare che più antiossidanti si assumono, anche con gli integratori, più è probabile che si resti in salute. Ma il nostro organismo è una macchina complicata e fatta di moltissime cose che si equilibrano a vicenda.

Dagli studi sui radicali liberi e sugli antiossidanti condotti negli ultimi decenni è emerso che una quantità eccessiva di antiossidanti può essere dannosa quanto una loro carenza. Entro una certa misura, infatti, i radicali liberi contribuiscono alla manutenzione generale del nostro organismo e sono per esempio coinvolti nelle attività per distruggere le cellule tumorali o i batteri. L’ipotesi è che un consumo eccessivo di antiossidanti comprometta questo meccanismo, avendo poi conseguenze su altre attività come quelle del sistema immunitario. Questo “paradosso degli antiossidanti”, come viene spesso chiamato dai gruppi di ricerca, può essere riscontrato in chi assume dosi molto alte di vitamine e altri integratori.

Per la grande determinazione con cui continuò a sostenere l’importanza delle vitamine e degli integratori fino alla propria morte, ancora oggi Pauling viene considerato tra i principali responsabili delle numerose credenze che gli sono sopravvissute. Ma identificarlo come l’unico responsabile sarebbe ingiusto e ingeneroso, considerata sia la sua carriera specchiata nella ricerca che ebbe in precedenza sia una certa attenzione per le vitamine da parte dell’industria, non solo farmaceutica. L’assunzione di vitamine così come di altri integratori (come il famoso olio di fegato di merluzzo), fu a lungo consigliata come una pratica molto importante per mantenere una vita sana.

Lobbismo nutrizionale
Negli Stati Uniti la dimostrazione più tangibile del grande interesse per un settore molto redditizio si ebbe nel 1993, quando la Nutritional Health Alliance produsse uno spot televisivo con Mel Gibson per convincere la popolazione sull’importanza della deregolamentazione degli integratori. La pubblicità mostrava alcuni agenti di polizia in tenuta d’assalto che entravano in una casa per arrestare Gibson che reagiva alzando le mani e dicendo: «Sono solo vitamine». La pubblicità si concludeva segnalando che fosse a rischio la libera assunzione delle vitamine, perché senza un alleggerimento delle regole sarebbero diventate equiparabili a dei farmaci, giocando sulla parola “drugs” in inglese che può essere usata sia per intendere farmaci sia sostanze stupefacenti.

La campagna con Gibson ebbe un grande successo, le regole furono cambiate e il settore degli integratori fece registrare una forte crescita in pochi anni. Tra il 1994 e il 2016 si passò da circa 4mila prodotti a 80mila disponibili sul mercato, che nel 2019 assunse un valore intorno ai 43 miliardi di dollari. Secondo le stime più condivise, si calcola che negli Stati Uniti circa una persona su due faccia periodicamente ricorso agli integratori, sulle cui confezioni ci sono spesso dichiarazioni molto forti sui presunti benefici che porterebbero, anche se le ricerche a sostegno sono spesso poche o inesistenti.

Regole ed etichette
Nell’Unione Europea gli integratori alimentari sono blandamente normati e seguono le stesse regole degli alimenti, per quanto riguarda la loro sicurezza. Le sostanze che possono essere utilizzate come fonti di vitamine e minerali sono normate e i produttori possono utilizzarle senza particolari vincoli, mentre devono ricevere particolari autorizzazioni o fornire garanzie per sostanze note o sospettate di avere effetti nocivi verso le quali sono previste limitazioni.

In Italia esiste da tempo il Registro degli integratori alimentari, mantenuto dal ministero della Salute, al quale si possono iscrivere le aziende segnalando i propri prodotti. Per essere compresi nell’elenco i produttori non devono dimostrare nulla su ciò che vendono, ma sono comunque tracciati e possono essere sottoposti a controlli per quanto riguarda la sicurezza. L’efficacia non viene infatti valutata, a differenza di quanto avviene con i normali farmaci che seguono invece processi di sviluppo e validazione normati molto più severamente (sia a livello nazionale sia dell’Unione Europea).

Proprio perché non vengono effettuati particolari controlli sull’efficacia, da tempo si discute sull’opportunità di rivedere le regole che riguardano ciò che viene scritto sulle etichette. Se ne è per esempio discusso molto per i probiotici, venduti soprattutto come yogurt da bere. Le loro confezioni riportano spesso allusioni al sistema immunitario, con grafiche colorate che mostrano scudi per dare l’idea dei benefici per la difesa del nostro organismo.

Un probiotico è un microrganismo che ha un certo effetto benefico sulla salute di chi lo assume. Questi microrganismi, spesso batteri chiamati comunemente “fermenti lattici vivi”, devono avere la capacità di sopravvivere attraverso l’apparato digerente fino all’intestino, dove poi possono proliferare.

La maggior parte dei ceppi batterici che hanno un’attività probiotica appartiene ai generi Lactobacillus e Bifidobacterium. I loro effetti benefici sono noti e il loro utilizzo è previsto per esempio per ridurre i problemi intestinali quando si assumono alcuni farmaci, come gli antibiotici che hanno un forte effetto sulla flora intestinale. Sull’assunzione quotidiana di probiotici quando si sta bene non c’è invece un consenso scientifico sulla loro utilità e per questo nell’Unione Europea si discute da anni sulle regole che dovrebbero seguire le aziende per promuoverli, magari con minore enfasi e senza le dichiarazioni piuttosto perentorie che si osservano talvolta.

Le normative, almeno nella teoria, vietano ai produttori di vendere gli integratori equiparandoli ai farmaci. Un integratore non può intervenire su una condizione patologica, che è una cosa che fanno invece i medicinali, ma in alcuni casi (secondo i più rigorosi molto rari) può accompagnare alcune funzioni fisiologiche. Gli integratori possono per esempio aiutare a ridurre i livelli di colesterolo per chi li ha lievemente più alti della soglia di attenzione, ma non possono fare nulla per chi ha livelli molto alti e contro i quali l’unica soluzione è l’assunzione di farmaci specifici accompagnata da un cambiamento di alcuni stili di vita.

In altri casi i vincoli vengono aggirati utilizzando formulazioni ambigue, che anche se non esplicitamente trasmettono comunque l’idea di un qualche tipo di beneficio. Un integratore a base di vitamina C può per esempio riportare l’indicazione “proprietà antiossidanti”, perché in effetti questa sostanza ha quella capacità anche se come abbiamo visto non implica che la sua assunzione in grandi dosi migliori le cose, anzi. Muovendosi in un contesto in cui non c’è spesso molta chiarezza comunicativa, si può ottenere un certo effetto tra gli acquirenti. Il fatto poi che spesso gli integratori siano venduti in farmacia favorisce l’associazione con i medicinali, anche se sono cose molto diverse.

Muscoli e rughe
Nell’ultimo periodo alla grande attenzione per i micronutrienti si è poi affiancato un certo interesse per i macronutrienti e in particolare per le proteine. Barrette e polveri proteiche vengono promosse come salutari e soprattutto ideali per chi fa palestra e vuole aumentare la propria massa muscolare. La moda per il proteico ha via via portato anche le aziende del settore alimentare a promuovere prodotti “ad alto contenuto di proteine”, spesso indicando semplicemente una caratteristica che avevano già i loro prodotti come yogurt, carni in scatola o formaggi.

Assumere più proteine non implica però che automaticamente il nostro organismo produca più proteine. Attraverso il metabolismo, l’organismo assorbe questi macronutrienti insieme agli altri – come grassi e carboidrati – e utilizza la loro energia per produrre ciò di cui ha bisogno: ossa, muscoli e tutto il resto. Gli eventuali benefici di polveri e barrette proteiche sono ancora oggetto di studio, mentre ci sono già indizi sul fatto che un loro consumo eccessivo possa avere conseguenze su alcuni organi come i reni, che devono smaltire più proteine di quanto farebbero normalmente.

Lo stesso discorso vale per altri tipi di integratori, come quelli che più o meno esplicitamente promettono benefici per la pelle e o per le articolazioni dall’assunzione del collagene per via orale. Il collagene è una proteina che fa da impalcatura a tanti tessuti della pelle, delle cartilagini e dei muscoli e costituisce circa un terzo del peso complessivo delle proteine dell’organismo. La quota di collagene assunta direttamente con l’alimentazione è relativamente bassa e la parte più consistente di collagene viene prodotta direttamente dall’organismo, come fa del resto con le altre proteine.

In estrema sintesi
Gli integratori non sono necessari, e diventano soprattutto una spesa inutile, quando si segue una dieta varia e bilanciata (in parole povere mangiare un po’ di tutto con moderazione) – tale da offrire al nostro organismo tutti i nutrienti di cui ha bisogno per svolgere le proprie funzioni. Ognuno di noi è fatto diversamente e può avere bisogno di quantità diverse di specifiche sostanze, per questo determinare con certezza eventuali carenze non è sempre semplice. Una carenza può essere quindi fisiologica (normale) o può essere un indizio di un problema di salute e nel dubbio può sempre essere utile un consulto medico.