Nessuno tocchi Pirrone

«Chi sostiene una delle cinque tesi tipiche dei sedicenti scettici contemporanei, come per esempio “il cambiamento climatico non è causato dall’uomo”, non può essere considerato a rigore uno scettico: afferma di aver trovato la verità, è un dogmatico. Si dirà: vale lo stesso per chi afferma il contrario, “il cambiamento climatico è causato dall’uomo”. Sembrerebbe così, ma le due tesi non stanno su uno stesso piano. Per una ragione molto banale: una è falsa e l’altra è vera»

"La tranquillità di Pirrone in un mare in tempesta", probabilmente Petrarcameister, XVI secolo, Kunstsammlungen und Museen Augsburg
(via Wikimedia)
"La tranquillità di Pirrone in un mare in tempesta", probabilmente Petrarcameister, XVI secolo, Kunstsammlungen und Museen Augsburg (via Wikimedia)
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Che cos’è un “ambientalista scettico”? Si definisce così Bjørn Lomborg, danese, statistico laureato in scienze politiche, autore di un bestseller nel suo genere, tradotto ormai vent’anni fa in italiano da una prestigiosa casa editrice. Molto stimato in certi ambienti (destra, estrema destra), sempre contestato dalla comunità scientifica che considera le sue posizioni oscene e sconsiderate. Le critiche non hanno intaccato la sua fama: ancora oggi viene citato da chi minimizza gli effetti e le cause del cambiamento climatico. L’“ambientalista scettico” ha una cattedra in qualche università e dirige un centro studi, titoli opachi e di per sé poco significativi, utili per un’immagine di autorevolezza buona per la propaganda politica.

Come lui ce ne sono altri: si definiscono scettici, sarebbe meglio chiamarli negazionisti. Nel 2021 la rivista Nature aveva pubblicato un’utile tassonomia realizzata analizzando migliaia di testi pubblicati online dai sedicenti scettici. In sostanza le loro tesi sul cambiamento climatico si riducono a cinque:
1. Non sta accadendo
2. Non è colpa nostra
3. Non è un problema
4. Le soluzioni proposte non funzionano
5. Gli scienziati e gli ambientalisti sono inaffidabili

Come siamo arrivati fin qui? L’alba del negazionismo viene ricordata nell’ultimo saggio dello storico della cultura Peter Burke, Ignoranza. Una storia globale: «Negli anni Ottanta e Novanta, alcuni scienziati ben noti divennero famosi per la loro protratta opposizione a scoperte che contraddicevano ciò che loro volevano credere. Misero in dubbio pubblicamente quel che stava guadagnando il pieno consenso della comunità scientifica rispetto a quattro minacce alla vita e alla salute in particolare: il legame tra fumo e cancro, il problema delle piogge acide, l’esaurimento dello strato dell’ozono e, la più importante di tutte, la tendenza verso il riscaldamento globale». Si trattava di scienziati schierati politicamente a destra, con legami con l’industria e il governo. La loro è una ignoranza intenzionale, secondo la classificazione di Burke. Un atteggiamento che non va confuso con un certo iniziale scetticismo, questo sì un elemento essenziale nel valutare nuove scoperte o teorie. Si trattava piuttosto di «un continuo rifiuto di accettare le prove sempre più schiaccianti che le minacce erano reali».

Questo fanno i negazionisti: oppongono resistenza alle informazioni relative a ciò che non vogliono sapere. Diventano così sostenitori di tesi insostenibili, diventano «mercanti di dubbi», per usare una definizione ormai classica dei sociologi della scienza Naomi Oreskes e Erik Conway, il titolo di un libro che già tredici anni fa dimostrava l’impatto devastante sul dibattito pubblico delle strategie di lobby e ultraconservatori sui temi ambientali. Scrivevano Oreskes e Conway: «Il dubbio ha un’importanza cruciale per la scienza – quello che noi chiamiamo curiosità o scetticismo è ciò che spinge la scienza a progredire – ma nel contempo la rende vulnerabile alle rappresentazioni fuorvianti, in quanto è facile decontestualizzare le incertezze e creare l’impressione che ogni cosa sia ancora incerta». Creare l’impressione che ogni cosa sia incerta, anche quando non lo è, è esattamente la strategia dei mercanti di dubbi. Una strategia che passa anche attraverso un uso scorretto, disonesto, del termine scettico. Forse è solo un dettaglio, neanche il più rilevante, ma in origine gli scettici erano un’altra cosa.

Come etichetta filosofica la parola “scettico” appare in un’epoca relativamente tarda del pensiero greco antico: viene da skepsis, che significa “indagine”, “ricerca”. La parola si ritrova già, in senso lato, in Platone e Aristotele. Inizia ad avere un uso tecnico, in riferimento a una specifica posizione filosofica, solo molto dopo: la prima volta che l’aggettivo appare è nel secondo secolo dopo Cristo, se ne serve il retore Favorino, ce ne informa Aulo Gellio, erudito suo quasi contemporaneo, nelle Notti attiche. Favorino indicava come “scettici” dei pensatori attivi da circa cinque secoli: il primo a meritarsi il titolo fu Pirrone, filosofo che non lasciò nulla di scritto ma che influenzò il pensiero occidentale per i successivi millenni.

L’etimologia della parola mostra come, letteralmente, uno scettico sia un indagatore, un ricercatore: qualcuno che crede nella possibilità di trovare una verità. Non sarebbe un vero scettico se non fosse convinto dell’utilità dell’impresa e scegliesse di non intraprendere nemmeno questa ricerca. In che senso “ricerca”? Sesto Empirico (medico e filosofo vissuto cinque secoli dopo Pirrone che invece lasciò una serie di testi fondamentali per la ricostruzione del pensiero scettico antico) ricorda nei suoi Schizzi pirroniani che se cerchiamo qualcosa abbiamo tre risultati possibili: trovare quello che cerchiamo, affermare che ciò che cerchiamo è impossibile da trovare, continuare a cercare. Il dogmatico è convinto di aver trovato la verità, quello che noi oggi chiameremmo “nichilista” (o negazionista?) dice che non troveremo mai nulla, lo scettico pirroniano continua a cercare. “Scettico” quindi è il nome di un metodo. E “ricerca continua” potrebbe essere il motto del movimento che adotta questo metodo.

Di sicuro chi sostiene una delle cinque tesi tipiche dei sedicenti scettici contemporanei, come per esempio «il cambiamento climatico non è causato dall’uomo» non può essere considerato a rigore uno scettico: afferma di aver trovato la verità, è un dogmatico. Si dirà: vale lo stesso per chi afferma il contrario, «il cambiamento climatico è causato dall’uomo». Sembrerebbe così, ma le due tesi non stanno su uno stesso piano. Per una ragione molto banale: una è falsa e l’altra è vera. Gli scettici sospendevano il giudizio sulle questioni che apparivano indecidibili. Questa questione non è indecidibile. Abbiamo a disposizione criteri di verità per stabilire quale delle due tesi è vera. Non stiamo parlando di un’irraggiungibile verità metafisica, ci riferiamo a ciò che è vero per la scienza, vero secondo i criteri stabiliti dalla comunità scientifica.

Una versione aggiornata dello scetticismo pirroniano è perfettamente compatibile con la scienza contemporanea: un pirroniano oggi non si schiererebbe dalla parte di coloro che si spacciano per pensatori controcorrente diffondendo teorie prive di fondamento. Un vero scettico oggi si servirebbe della lezione degli antichi per prendere in considerazione nuove discipline oltre a quelle discusse dai pensatori dell’età ellenistica. Il pirroniano descritto da Sesto Empirico riconosceva le competenze specifiche e le riconoscerebbe anche oggi, allargando il campo delle sue indagini alle nuove discipline. Uno scettico non rifiuterebbe la climatologia così come Sesto non rifiutava le regole dell’aritmetica e della geometria. Lo scetticismo può ammettere pratiche sofisticate come la scienza e la tecnologia contemporanee, lo ha sempre fatto.

Questo riconoscimento non è in contraddizione con le domande aperte in questi campi, a loro volta ambiti di ricerca continua. L’obiettivo dei filosofi dell’età ellenistica era l’atarassia, ovvero la liberazione dai tormenti che affliggono l’animo umano. A questo è sempre servito il metodo scettico. Non è un caso che Sesto Empirico fosse un medico, e molti altri scettici antichi lo erano: i pirroniani credevano alla filosofia come pratica terapeutica. Per questa ragione, per esempio, un vero scettico contemporaneo se si fosse trovato dalle parti della COP28 sarebbe stato d’accordo nel ridurre o eliminare l’uso di combustibili fossili, non avrebbe potuto non considerare i sintomi accusati dal pianeta a causa di petrolio, gas e carbone. I dati sulle conseguenze dell’inquinamento possono essere paragonabili agli occhi di un medico scettico a una ferita sanguinante. Anche qui: non ci troviamo davanti a una questione indecidibile. La risposta, la terapia, è univoca: i combustibili fossili nuocciono al pianeta cosí come una ferita nuoce a un individuo. Quello che può fare il vero scettico in questi casi è attenuare la sofferenza: curare la ferita, ridurre le emissioni.

Dovremmo concludere che oggi non ci sono veri scettici? Per fortuna non è così, c’è chi prende sul serio la ricerca e le indagini e non cade nel dogmatismo. Per esempio, c’è chi rivendica il titolo da circa mezzo secolo, come quelli della rivista Skeptical Inquirer. Sui dibattiti tra negazionisti e climatologi scrivono: «Siamo ben consapevoli degli sforzi politici per attaccare la climatologia da parte di chi nega la realtà, non si impegna nella ricerca scientifica e non considera l’evidenza che smentisce le loro opinione. La parola più appropriata per descrivere il comportamento di questi individui è “negazione”». È difficile smentire questa certezza degli scettici dell’Inquirer. Da una parte c’è lo scetticismo propriamente detto: «Promuove la ricerca scientifica, l’indagine critica, l’uso della ragione per esaminare tesi controverse. È alla base del metodo scientifico». Dall’altra la negazione: «Il rifiuto a priori di un’idea senza una considerazione obiettiva».

La negazione – spiega Peter Burke in Ignoranza. Una storia globale – è un meccanismo di difesa usato da individui e istituzioni per contrastare informazioni ritenute troppo disturbanti, minacciose o anomale per essere completamente assorbite o riconosciute apertamente. La negazione pubblica fa parte di un arsenale di metodi per mantenere il pubblico all’oscuro di fatti o eventi imbarazzanti, è una forma di disinformazione. Meglio la ricerca.

– Leggi anche: Vieni avanti, Critone

Antonio Sgobba
Antonio Sgobba

Giornalista e scrittore. Lavora in Rai a Milano. Il suo ultimo libro è Sei scettico? Una filosofia antica per i tempi moderni (Einaudi, 2023)

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