Alla fine la tastiera va bene così

Da un secolo e mezzo il sistema per scrivere testi premendo i tasti della QWERTY è rimasto lo stesso, nonostante le sia cambiato il mondo intorno

Jerry Lewis nella famosa scena della macchina da scrivere nel film Dove vai sono guai! del 1963 (Paramount)
Jerry Lewis nella famosa scena della macchina da scrivere nel film Dove vai sono guai! del 1963 (Paramount)
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A inizio gennaio Microsoft, una delle più grandi aziende informatiche al mondo, ha annunciato che sulle tastiere per il suo sistema operativo Windows sarà aggiunto un nuovo tasto dedicato a “Copilot”, la nuova funzione per utilizzare i sistemi di intelligenza artificiale sviluppati insieme a OpenAI, la società famosa soprattutto per ChatGPT. È la prima modifica di un certo rilievo alle tastiere negli ultimi trent’anni e probabilmente il tasto diventerà familiare in poco tempo, considerato che sarà presente su buona parte dei nuovi computer venduti con Windows 11, la versione più recente del sistema operativo. Nel 1994 Microsoft aveva introdotto un’altra novità, con l’aggiunta dei tasti “Windows” e “Menu”, e sarà proprio quest’ultimo a essere rimpiazzato dal nuovo tasto “Copilot”.

La novità è importante e conferma il grande interesse di Microsoft verso i sistemi di intelligenza artificiale, che saranno sempre più integrati in Windows e nei suoi programmi, ma non cambia nella sostanza una delle cose che abbiamo tra le mani per più tempo ogni giorno, che usiamo per comunicare e in ultima istanza per manifestare la nostra presenza: la tastiera QWERTY. Nonostante abbia un secolo e mezzo, è praticamente rimasta sempre la stessa cosa nonostante i cambiamenti di tutto ciò che aveva intorno e dei grandi progressi tecnologici che, tra le altre cose, hanno portato all’estinzione delle macchine da scrivere su cui è nata e alla rivoluzione digitale.

La QWERTY, chiamata familiarmente in questo modo dalle prime sei lettere della prima riga di tasti che la compongono, per alcuni è un semplice retaggio della seconda metà dell’Ottocento, qualcosa di obsoleto e da superare, per altri è la conferma che ci sono cose nella vita che vanno bene così come sono. Negli anni in molti si sono chiesti se non ci fosse una soluzione migliore per comporre un testo su un foglio o su uno schermo, alcuni hanno provato a crearne versioni alternative e avveniristiche, ma nessuna ha mai fatto davvero presa e sembra quasi impossibile immaginare un futuro con tastiere diverse da quella tramite cui è stato scritto questo articolo.

L’idea di organizzare i tasti nel modo in cui li vediamo ordinati oggi praticamente ovunque iniziò con Christopher Latham Sholes, un giornalista, inventore ed editore statunitense che nella seconda metà dell’Ottocento si interrogò su come realizzare una tastiera efficiente per le prime macchine da scrivere. Inizialmente aveva pensato a un sistema fortemente ispirato ai tasti del pianoforte, con due righe di lettere organizzate in ordine alfabetico. Da quel primo prototipo derivò altre versioni, aumentando il numero di righe fino a quattro e riorganizzando la distribuzione dei tasti. Nel 1873 i diritti di produzione della tastiera furono acquisiti da E. Remington and Sons, società nota all’epoca soprattutto per la produzione di armi da fuoco, ma che si stava organizzando per entrare nel nascente mercato delle macchine da scrivere.

Inizialmente la prima riga di lettere della tastiera (i numeri erano mostrati in una riga a parte) presentava la sequenza QWE.TY, con la R che era invece nella riga più in basso (la quarta) dopo il tasto del punto e virgola. I tecnici di Remington ritenevano però che fosse più pratico non interrompere le file di lettere con i segni di punteggiatura e scambiarono il “.” con la R, arrivando alla scansione di lettere che vediamo ancora oggi: QWERTY. Altri aggiustamenti sarebbero stati applicati negli anni seguenti, man mano che Remington produceva nuove versioni delle proprie macchine da scrivere.

Lo schema con la disposizione delle lettere nella tastiera di Sholes dal brevetto del 1878

Il layout indicato in un brevetto registrato da Sholes nel 1878 ha comunque alcune differenze rispetto alle tastiere dei giorni nostri. La più evidente è la mancanza dei tasti per le cifre 0 e 1: non erano previsti perché ritenuti inutili, considerato che lo zero poteva essere reso con la lettera O e che per l’uno si poteva utilizzare la lettera I (i primi modelli avevano solamente lettere maiuscole, poi fu introdotta la possibilità di avere anche le minuscole). La mancanza di 0 e 1 consentiva anche di semplificare la meccanica della macchina da scrivere e di renderne più economica la produzione, visto che richiedeva meno materiale e tempo per essere assemblata.

Non si sa di preciso perché Sholes avesse scelto la disposizione dei tasti che utilizziamo ancora oggi, ma nei decenni dopo la sua invenzione si diffusero molte ipotesi e qualche leggenda metropolitana. Si disse che si fosse appassionato ad alcune osservazioni sulla frequenza con cui ricorrono alcune coppie di lettere nelle parole inglesi oppure che avesse cercato di collocare in un certo modo le lettere più usate, in modo che fosse più pratica la loro digitazione.

Da queste ipotesi derivò poi una teoria diventata molto popolare secondo cui le lettere più usate fossero state distanziate per evitare che i tasti si incastrassero tra loro, quando venivano pigiati. Il meccanismo delle macchine da scrivere faceva infatti sì che pigiando un tasto si sollevasse il martelletto (o meglio, la leva porta caratteri) corrispondente, che imprimeva poi il carattere sul foglio andando a premere su un nastro inchiostrato, posto tra la carta e il martello stesso. Scrivendo molto velocemente poteva esserci in effetti il rischio che si incrociassero i martelletti, ma in realtà Sholes non fece menzione di questa circostanza e il rischio di incastri era comunque presente anche con le QWERTY.

Fu elaborata una teoria ancora più creativa sulla scelta di Sholes e le successive evoluzioni decise da Remington, l’azienda che si era messa a produrre le macchine da scrivere. Secondo questa teoria, la prima riga di lettere era stata organizzata in quel modo (QWERTYUIOP) per consentire ai venditori di dimostrare quanto fosse semplice e intuitivo scrivere “TYPE WRITER”, il nome commerciale del prodotto venduto da Remington. Il nome del marchio era però stato deciso prima che “.” e R fossero invertiti, quindi non avrebbe avuto molto senso.

Al di là di come ebbe origine, la tastiera QWERTY ebbe un grande successo non solo per via delle tecniche commerciali e di promozione di Remington, ma anche per come si era organizzato il mercato delle macchine da scrivere negli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. I principali produttori di macchine da scrivere avevano istituito la Union Typewriter Company, un trust che oltre a Remington comprendeva Caligraph, Densmore e Yost. All’epoca negli Stati Uniti accadeva spesso che alcune grandi aziende decidessero di collaborare creando un trust, che di fatto portava quasi sempre a un monopolio od oligopolio in cui i partecipanti potevano tutelare i propri interessi evitando che entrassero nel loro settore nuovi concorrenti (le leggi e le autorità “antitrust” derivano proprio dai successivi tentativi di limitare quelle pratiche lesive per la concorrenza).

Secondo gli storici, la Union Typewriter Company fu tra le responsabili della diffusione della tastiera QWERTY rispetto ad altre: i partecipanti al trust non competevano tra loro e avevano l’interesse a produrre prodotti simili, magari condividendo anche in licenza qualche brevetto. Gli Stati Uniti erano i principali produttori di macchine da scrivere e le QWERTY iniziarono a essere presenti anche sul mercato europeo, a volte con qualche minimo aggiustamento nella disposizione delle lettere.

QWERTY dei giorni nostri a confronto: in alto una tastiera usata negli Stati Uniti e in basso una tastiera usata in Italia (Wikimedia)

Quando la produzione di macchine da scrivere divenne più estesa e il trust finì di esistere, il modello QWERTY si era ormai diffuso enormemente ed era diventato in un certo senso lo standard, al punto da rendere molto complicata l’introduzione di disposizioni alternative delle lettere. Tentarono comunque in molti di produrre tastiere per provare a ottimizzare i tempi di digitazione e tra gli inventori che s’incaponirono maggiormente sulla questione ci fu lo statunitense August Dvorak.

Con il cognato William Dealey, nel 1936 Dvorak brevettò una tastiera con l’obiettivo di ridurre gli spostamenti da compiere sui tasti per comporre le parole, rendere meno probabili errori di battitura e nel complesso avere una digitazione più rapida. Al posto di QWERTY, la prima riga di lettere iniziava con PYFGCR dopo tre tasti dedicati alla punteggiatura, mentre le vocali erano tutte raccolte insieme all’inizio della seconda riga: AOEUID.

La tastiera di Dvorak (Wikimedia)

Secondo alcuni studi realizzati nei decenni successivi al brevetto, la tastiera di Dvorak portava nel complesso a un miglioramento del 5 per cento in termini di velocità e accuratezza della digitazione rispetto alla QWERTY, tenendo comunque presente tutte le difficoltà di condurre test e analisi accurate del sistema alternativo. Il miglioramento era marginale ed evidentemente non tale da poter sovvertire l’abitudine ormai molto radicata sull’impiego della QWERTY, che era in circolazione da almeno sessant’anni quando Dvorak aveva proposto il proprio sistema alternativo.

Il motivo dell’attuale successo della QWERTY e della sua presenza su qualsiasi dispositivo, che abbia una tastiera fisica o virtuale, è più o meno lo stesso che contribuì al fallimento dell’idea di Dvorak: il mondo si è abituato a comporre le parole in un certo modo e i neofiti continuano a imparare a farlo in quel modo.

Come aveva spiegato a Technology Review, la rivista del Massachusetts Institute of Technology, un docente di informatica: «Siamo bloccati in un loop. Insegniamo ai bambini come si usa la QWERTY perché è ovunque. E perché la QWERTY è ovunque? Perché insegniamo ai bambini a usarla». I bambini diventano poi adulti e padroneggiano la tastiera al punto da non valutare un’alternativa, che comunque non è mai molto concreta perché quel tipo di tastiere è ovunque e chi non impara a usarla rimane svantaggiato.

Tutte le alternative alla QWERTY fallirono più o meno per lo stesso motivo: in un’epoca in cui non c’erano ancora i computer si doveva scrivere a macchina una grande quantità di documenti e per farlo si dovevano formare moltissime persone, per lo più donne. Imparavano a digitare sulla tastiera in un certo modo e nel tempo acquisivano una memoria muscolare nel farlo, con automatismi molto radicati. Cambiare non sarebbe stato economicamente vantaggioso, senza contare che non c’erano certezze sugli effetti benefici dei sistemi alternativi.

A lezione di macchina da scrivere nel Regno Unito nel 1944 (Getty Images)

Anche per questi motivi nella seconda metà del Novecento la QWERTY avrebbe continuato a rafforzare la propria presenza non solo in Occidente, ma anche nei paesi dove per motivi di comunicazione con l’estero era sempre più necessario utilizzare i caratteri dell’alfabeto latino. Oggi i computer in Cina e in Giappone hanno tastiere molto simili a quelle occidentali, i cui tasti contengono sia i caratteri latini che quelli dell’alfabeto locale.

Le principali innovazioni legate all’informatica avvennero negli Stati Uniti, e di conseguenza la tastiera delle macchine da scrivere divenne anche quella dei computer, con alcuni minimi cambiamenti e l’introduzione di alcuni nuovi tasti. Anche in questo caso il mantenimento dello stesso layout era sensato: chi aveva imparato a scrivere a macchina avrebbe scritto anche al computer, cosa che valeva sia per gli utenti finali sia per i programmatori che dovevano scrivere il software.

La QWERTY continuò a regnare indisturbata nella tumultuosa fase della digitalizzazione delle nostre vite, ma il suo dominio fu per lo meno intaccato per un certo periodo quando emerse effettivamente una alternativa che divenne usatissima. I primi cellulari avevano una tastiera per comporre i numeri di telefono, ma quasi ogni tasto oltre ad avere una cifra aveva anche impresse tre o quattro lettere: il 2 aveva ABC, il 3 DEF e così via fino al 9 con WXYZ. Per comporre un SMS si doveva premere ogni tasto un certo numero di volte per ottenere la lettera desiderata, per esempio per la E si doveva premere il tasto 3 per due volte. Il processo fu in seguito semplificato con l’introduzione del T9, un sistema di componimento predittivo che suggeriva il completamento della parola che si stava digitando, senza dovere premere ripetutamente lo stesso tasto per una certa lettera.

(Peter Macdiarmid/Getty Images)

La tastiera alfanumerica non era stata comunque introdotta con i primi cellulari: derivava dai telefoni fissi, che riportavano la stessa divisione di lettere in ordine alfabetico organizzate in gruppi. In alcuni paesi come gli Stati Uniti il sistema serviva per ricordarsi più facilmente alcuni numeri di telefono, per lo più commerciali. Invece di 1-800-74992 si poteva ricordare 1-800-PIZZA e premere i tasti corrispondenti a quelli delle lettere sul telefono (a differenza del sistema di componimento degli SMS non serviva ripetere la digitazione dello stesso numero fino a quando si arrivava al numero desiderato nel gruppo di lettere).

Nell’Europa continentale i telefoni con tasti alfanumerici erano pressoché inesistenti perché raramente le compagnie telefoniche offrivano qualche servizio legato al loro impiego, ma c’erano comunque eccezioni per esempio magari legate all’acquisto di un telefono per il mercato statunitense (posto fosse compatibile). Le lettere in Italia sui telefoni fissi iniziarono ad apparire su alcuni modelli “Sirio” prodotti da Telecom tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, quando furono introdotte opzioni per memorizzare i numeri e inviare SMS da fisso (anche nelle cabine telefoniche sarebbero poi comparsi i tasti con le lettere).

L’ordine dei numeri dall’alto verso il basso era stato scelto dai Bell Labs negli Stati Uniti perché ritenuto più pratico della versione con i tasti dal basso verso l’alto della calcolatrici alla fine degli anni Cinquanta, quando iniziava a essere studiato un sistema alternativo al disco combinatore per comporre i numeri di telefono. In alcuni paesi le lettere erano presenti anche sui telefoni con disco combinatore e la medesima impostazione fu mantenuta in quella per i tasti. Si era deciso di distribuire le lettere per gruppi e in ordine alfabetico per mantenere una maggiore coerenza con la successione delle cifre numeriche da 1 a 9, con lo 0 che concludeva la serie.

Una distribuzione diversa simile a quella della tastiera QWERTY non avrebbe avuto senso e sarebbe stata meno pratica, soprattutto per chi non aveva dimestichezza con le macchine da scrivere. I cellulari resero molto più popolare e conosciuta la tastiera alfanumerica e, per quanto fosse scomoda, in molti impararono a digitare SMS molto velocemente sui loro telefonini. Ma alla fine degli anni Novanta, quando la società canadese RIM iniziò a produrre alcuni modelli di cercapersone e poi i primi BlackBerry con tastiera completa scelse la disposizione QWERTY per i caratteri. Anche in quel caso la scelta era sostanzialmente obbligata: RIM si rivolgeva soprattutto ai professionisti, abituati a lavorare al computer e che qualche decennio prima utilizzavano ancora le macchine da scrivere.

(Spencer Platt/Getty Images)

Nel gennaio del 2007, quando Steve Jobs annunciò il primo iPhone, sullo schermo apparve una tastiera virtuale e non fatta di tanti minuscoli tasti come nel caso dei BlackBerry. Apple avrebbe potuto scegliere qualsiasi altra configurazione non avendo limitazioni legate all’hardware, ma utilizzò comunque il layout della QWERTY inventato circa 130 anni prima. La società di Steve Jobs aveva comunque provato a immaginare qualche modifica alla tastiera diverso tempo prima degli iPhone.

Nel 1992 Apple aveva messo in commercio una tastiera ergonomica regolabile: poteva essere aperta a metà in modo da separare meglio i tasti da pigiare con la mano sinistra da quelli da usare con la mano destra. L’intenzione era di rendere più confortevole l’impiego della tastiera assecondando l’orientamento delle mani e delle braccia. Nel 1994 anche Microsoft produsse una propria tastiera seguendo lo stesso principio e diverse altre società si accodarono, offrendo proprie versioni di tastiere da dividere a metà o già divise, con linee sinuose e teoricamente più comode. Tastiere di questo tipo sono ancora in vendita, ma non hanno mai avuto molta presa, anche perché non possono sostituire quelle dei computer portatili, soprattutto per motivi di spazio. Gli eventuali benefici delle tastiere ergonomiche divise a metà rispetto a quelle tradizionali dal punto di vista della riduzione dell’affaticamento, o per la prevenzioni di sindromi come il tunnel carpale, non sono stati mai provati chiaramente.

La Apple Adjustable Keyboard (Wikimedia)

Negli ultimi decenni sono stati talvolta presentati concept per avere un’alternativa alla QWERTY e in generale alle tastiere come principale sistema per scrivere sugli smartphone o al computer. I prototipi variano molto, ma hanno quasi sempre in comune la possibilità di essere indossati e manipolati per scrivere nell’aria, con particolari movimenti delle mani o attivando guanti con sensori che rispondono in modo diverso alla pressione e al modo in cui si muovono le dita. Richiedono talvolta di imparare la combinazione di più gesti e sono meno immediati di un sistema spartano, ma affidabile, come una comune tastiera dove a ogni tasto corrisponde l’inserimento di una lettera, un numero o un simbolo di altro tipo.

Il perfezionamento dei sistemi di dettatura e di riconoscimento vocale per un certo periodo fece immaginare un futuro nemmeno troppo remoto in cui avremmo interagito quasi esclusivamente a voce con computer, smartphone e altri dispositivi. Nonostante siano ormai in circolazione da diverso tempo e siano sempre più precisi e accurati, questi sistemi sono usati in modo marginale sia per la composizione di testi elaborati sia per i semplici messaggi: chi non vuole digitare una risposta su WhatsApp manda con maggiore probabilità un messaggio vocale, invece di utilizzare il sistema di dettatura del telefono, per quanto questo sia piuttosto affidabile.

Gli ultimi sviluppi dei sistemi di intelligenza artificiale hanno spinto alcuni a ipotizzare che presto non ci saranno più tastiere, perché i software riusciranno ad anticipare o ad accompagnare meglio le nostre azioni. In scenari ancora più avveniristici c’è chi immagina il momento in cui avremo impianti cerebrali che permetteranno di scrivere su uno schermo semplicemente pensando le frasi, rendendo pressoché istantanea la produzione di un testo da una poesia a un trattato di fisica passando per un messaggio per avvisare che è arrivato il momento di buttare la pasta.

Difficilmente, però, le novità tecnologiche rimpiazzano del tutto le tecnologie che abbiamo già a disposizione: nella maggior parte dei casi si aggiungono a ciò che già esiste. E non è forse un caso che per attivare le nuove funzionalità di intelligenza artificiale dentro Windows Microsoft alla fine abbia scelto di aggiungere fisicamente un tasto a una QWERTY.