A cosa servono i cugini

Il calo delle nascite fa sì che i bambini abbiano sempre meno parenti di un tipo poco codificato in modelli di riferimento, ma con funzioni uniche

L’attore Nicolas Cage, la regista e sua cugina Sofia Coppola e il regista Francis Ford Coppola, padre di lei e zio di lui, a Beverly Hills, California, il 25 gennaio 2004
L’attore Nicolas Cage, la regista e sua cugina Sofia Coppola e il regista Francis Ford Coppola, padre di lei e zio di lui, a Beverly Hills, California, il 25 gennaio 2004 (Vince Bucci/Getty Images)
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Nell’ampio dibattito sulla diminuzione del tasso di fecondità nel mondo, cioè il numero medio di figli per ogni donna, un frequente argomento di riflessione riguarda le conseguenze dalla denatalità sulle strutture familiari nei paesi occidentali. La progressiva diminuzione del numero medio dei componenti per ogni famiglia ha importanti ripercussioni anche nelle relazioni parentali, oltre che all’interno del nucleo familiare stesso: i bambini hanno non solo meno fratelli e sorelle con cui crescere, rispetto al passato, ma anche meno cugini.

Nelle analisi demografiche i cugini sono generalmente considerati un gruppo molto eterogeneo, contraddistinto da legami meno stretti rispetto a quelli tra fratelli e sorelle ma comunque più o meno importanti, a seconda dei casi. In un rapporto dell’Istat pubblicato nel 2022 sulle relazioni di parentela, i cugini rientravano nel gruppo di persone non coabitanti su cui poter contare, come amici e vicini di casa. Circa 23 milioni di persone nel 2016 – una percentuale della popolazione leggermente inferiore rispetto al 2009 – dichiaravano di avere almeno un parente sul quale poter contare o a cui tenevano in modo particolare, oltre ai parenti stretti. E tra queste persone il gruppo più numeroso (39,4 per cento) indicava come parente non stretto di riferimento un cugino o una cugina, davanti a zii e parenti acquisiti come cognati e suoceri.

Rispetto alle relazioni con altri gruppi demografici più facili da definire in termini generali quelle con i cugini hanno caratteristiche molto variabili. Alcune persone hanno con i propri cugini rapporti duraturi e stabili, spesso vivono anche nella loro stessa città; altre persone invece li considerano praticamente estranei, indipendentemente da quanto abitino vicino a loro. Sebbene facciano parte nella maggior parte dei casi della stessa generazione, i cugini possono inoltre avere livelli di istruzione, redditi e interessi completamente diversi gli uni dagli altri. Ciononostante sono accomunati dalla consapevolezza di discendere da una stessa famiglia e spesso trascorrono, soprattutto nei primi anni di vita, una parte significativa del loro tempo insieme.

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Come ha spiegato all’Atlantic la ricercatrice della University of California Berkeley Sha Jiang, specializzata in studi demografici, la contrazione delle famiglie ha effetti di scala ancora più profondi sulle relazioni di parentela. Ragionando per ipotesi, se ogni famiglia passasse dall’avere cinque figli ad averne quattro, questo significherebbe un fratello o una sorella in meno per ogni bambino. Ma la diminuzione dei cugini di primo grado sarebbe ancora maggiore: anziché avere quattro zie o zii con cinque figli ciascuno, e quindi 20 cugini, ciascun bambino avrebbe soltanto tre zie o zii con quattro figli ciascuno, e quindi 12 cugini in totale.

Per secoli i cugini hanno avuto un ruolo fondamentale all’interno delle famiglie, gestendo per esempio una stessa attività o un’azienda, oppure tramandando le informazioni condivise. Ma come osservato anche nel rapporto Istat l’esperienza nelle famiglie è cambiata ormai da tempo, anche in funzione di una maggiore aspettativa di vita media: i bambini hanno oggi meno fratelli, sorelle e cugini, e una maggiore probabilità di conoscere tutti i nonni. È come se gli alberi genealogici stessero diventando piante alte e strette, meno folte che in passato.

Una delle principali conseguenze di questa struttura familiare è che quindi, sul totale delle relazioni di parentela, sono aumentate in percentuale quelle “verticali” e intergenerazionali: relazioni che possono essere estremamente importanti, ma che di solito implicano anche rapporti gerarchici chiari e definiti, di cura e assistenza. In molti casi i nonni si prendono cura dei nipoti, per esempio, e lo stesso discorso vale per i figli che si prendono cura dei genitori anziani. L’assistenza ai genitori può essere a volte anche una ragione dell’evoluzione dei rapporti tra fratelli e sorelle – o tra fratelli e fratelli, e sorelle e sorelle – in età adulta, quando possono svilupparsi dinamiche più complesse rispetto a quelle dell’infanzia.

Da questo punto di vista le relazioni con i cugini sono molto meno problematiche, ha detto all’Atlantic Megan N. Reed, sociologa della Emory University ad Atlanta. Tra cugini tende infatti a esistere da subito – o comunque a emergere nel tempo – una maggiore distanza rispetto a quella che può esistere tra fratelli e sorelle, che quantomeno condividono di norma una stessa abitazione. Da un cugino o una cugina, per esempio, non ci si aspetta il tipo di sostegno economico che è invece più probabile fornire o ricevere da un fratello o una sorella.

In generale, nel caso delle relazioni tra cugini, non solo non ci si aspetta un sostegno, ma non ci sono aspettative sociali di alcun tipo: non esistono cioè modelli di cuginanza di riferimento, idee largamente condivise su cosa un rapporto tra cugini dovrebbe o non dovrebbe includere. Né ci sono nella letteratura e nella cultura pop modelli di sentimenti tra cugini raccontati e codificati quanto quelli tra fratelli e sorelle. In uno studio sulle relazioni tra persone che donano e persone che ricevono un rene, pubblicato a luglio sulla rivista Social Science Research, il sociologo della Pennsylvania State University Jonathan Daw ha scoperto che quella relazione è tra fratelli e sorelle nel 25 per cento dei casi e tra cugini in meno del 4 per cento dei casi.

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Questa sostanziale mancanza di responsabilità verso i cugini, secondo diversi ricercatori e ricercatrici, non implica che queste relazioni siano più deboli. La particolare distanza che le contraddistingue è anzi uno dei fattori che le rende preziose e utili. Rispetto a fratelli e sorelle, i cugini tendono ad avere infatti condizioni socioeconomiche diverse dalle nostre e a crescere in ambienti diversi da quelli in cui noi cresciamo. Sono quindi un modello potenzialmente utile di confronto con una realtà vicina ma allo stesso tempo molto distante: un’opportunità di mettere in discussione le proprie opinioni sia nell’infanzia che in età adulta, quando le persone tendono a frequentare gente con cui hanno più cose in comune.

I cugini sono una specie di coetanei con cui poter misurare le proprie idee e opinioni «senza troppa paura che la relazione finisca se la discussione si accende», ha scritto l’Atlantic. Può capitare inoltre che le relazioni con i cugini vengano riscoperte in momenti di crisi, come emerso dai risultati di uno studio pubblicato a settembre e condotto da un gruppo di ricerca guidato da Reed, secondo cui il 14 per cento delle persone intervistate riferì di aver ripreso o intensificato le comunicazioni con almeno un cugino o una cugina durante la pandemia. Secondo Reed proprio il fatto che i cugini abbiano meno probabilità di dipendere materialmente gli uni dagli altri è ciò che li rende più adatti a fornire conforto emotivo.

Un altro potenziale vantaggio nel rapporto tra cugini è che in molti casi conoscono già da tempo virtù, debolezze e vulnerabilità presenti all’interno delle famiglie legate da relazioni di parentela: condizione che può in alcune circostanze rendere più probabili e spontanei momenti di complicità, solidarietà e sostegno emotivo, soprattutto nei momenti di difficoltà, come per esempio nel lutto. Sebbene i cugini possano differire da noi per moltissimi aspetti della vita, ha concluso l’Atlantic, «conoscere le sfumature dei legami familiari attraverso decenni di esposizione, per quanto sporadica, è di per sé una forma di vicinanza».