Nella legge di bilancio non c’è niente per gli anziani non autosufficienti

La riforma del sistema di assistenza è nel PNRR e il parlamento ha approvato una legge delega: ma nella manovra non ci sono fondi

(Ansa/Filippo Venezia)
(Ansa/Filippo Venezia)
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Con il progressivo invecchiamento della popolazione, in Italia l’assistenza agli anziani non autosufficienti è destinata a diventare una questione sempre più problematica. Da oltre trent’anni si discute della necessità di riformare il sistema per creare una rete di servizi efficiente e integrata, e negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo. Il tema è stato inserito tra gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e lo scorso marzo il parlamento ha approvato una legge delega apposita, basata sulle proposte presentate da decine di associazioni del settore. La legge di bilancio per il 2024, ora in discussione in Senato, non prevede però gli stanziamenti necessari per rendere effettiva la riforma, e molti temono che le misure rimarranno solo sulla carta.

La gestione degli anziani non autonomi riguarda una grossa quota della popolazione italiana. Secondo l’ISTAT nel 2021 in Italia erano presenti 6,4 milioni di persone non autosufficienti a causa di deficit sia fisici che cognitivi, legati al sistema neurologico. Tra questi c’erano 3,8 milioni di anziani con gravi difficoltà, con un’età media di 82 anni e per la maggior parte donne. Tra le persone con più di 85 anni, solo il 13 per cento era completamente autonomo. Già ora il sistema che dovrebbe fornire assistenza non riesce a rispondere a una domanda che si prevede continuerà a crescere: tra vent’anni gli ultraottantenni saranno due milioni in più di oggi.

In moltissimi casi l’assistenza degli anziani non autonomi ricade sui familiari, come i figli o i nipoti, che per prendersi cura delle persone in difficoltà devono ridurre l’orario di lavoro, chiedere permessi o rinunciare alle attività sociali con grosse conseguenze dal punto di vista emotivo, fisico e anche economico. In alternativa si può ricorrere ad assistenti familiari o alle residenze per anziani, che sono in gran parte private e possono arrivare a costare diverse migliaia di euro al mese.

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«Lo stato sociale nella sua forma attuale nasce dopo la Seconda guerra mondiale, in un contesto in cui gli anziani non autosufficienti erano pochissimi», dice Cristiano Gori, coordinatore del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, una rete che oggi conta 57 associazioni attive nel settore dell’assistenza per gli anziani. «A partire dagli anni Ottanta il numero di persone non autonome è cominciato ad aumentare, e sono cominciate ad arrivare risposte frammentate da parte dei comuni, delle regioni o dello Stato: ora bisogna ridisegnare tutto», dice. Secondo Gori il problema coinvolge circa dieci milioni di persone tra anziani, medici e caregiver, ossia i familiari o gli operatori che si occupano di loro.

Al momento non esiste un programma o una piattaforma dedicata agli anziani non autosufficienti e i servizi sono erogati in modo frammentato dalle aziende sanitarie, dai medici di base e dalle case di riposo. Della necessità di riformare il sistema si discute da quasi trent’anni: il primo tentativo fu fatto nel 1997, durante il primo governo di Romano Prodi. Tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila molti paesi europei – tra cui Austria, Germania, Francia e Spagna – approvarono riforme nazionali sul tema, mentre in Italia si continuava a discutere senza risultati.

Le cose sono iniziate a cambiare negli ultimi anni. Nel 2021 le associazioni del Patto chiesero di rivedere le norme che regolano il sistema: grazie anche alle loro pressioni la riforma dell’assistenza agli anziani fu inserita tra gli obiettivi del PNRR approvato dal governo di Mario Draghi, ma non vennero stanziati fondi per finanziare gli interventi.

A ottobre del 2022 il governo Draghi approvò una legge delega, basata in gran parte sulle proposte e sulle richieste presentate dalle associazioni durante mesi di confronto. Il testo fu poi convertito in legge lo scorso marzo dal parlamento rinnovato in seguito alle elezioni del 25 settembre e all’insediamento del governo Meloni: sia alla Camera che al Senato il testo fu approvato dai partiti di maggioranza, mentre gli esponenti del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle si astennero. Per definizione, una legge delega non contiene tutti i dettagli del tema che intende trattare, ma è un testo con cui il parlamento stabilisce delle linee guida generali e attribuisce al governo il compito di trasformarle in provvedimenti precisi, tramite decreti legislativi.

Come si legge nella relazione della Camera, la legge intende «riordinare, semplificare, coordinare e rendere più efficaci le attività di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti». È prevista l’introduzione di un nuovo Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente (SNAA) e un Comitato interministeriale per le politiche a favore della popolazione anziana, presieduto dal presidente del Consiglio e da diversi ministri. I vari decreti legislativi dovrebbero essere adottati entro il 31 gennaio del 2024: mancano due mesi, salvo proroghe.

«È importante costruire un sistema unitario e fare in modo che le prestazioni vengano il più possibile erogate in un unico luogo e con un unico pacchetto: bisogna costruire un sistema di assistenza agli anziani», dice Gori. Per farlo è necessario anche adattare le modalità di intervento a un nuovo contesto sociale, dato che oggi alcuni servizi ricevuti dagli anziani non sono in realtà pensati in modo specifico per le loro esigenze. Per esempio, l’assistenza domiciliare integrata (spesso chiamata con l’acronimo “ADI”) delle ASL viene generalmente offerta ai pazienti non autonomi per pochi mesi, magari in seguito a una dimissione ospedaliera. Sempre più spesso però ne beneficiano anche gli anziani, la cui situazione di non autosufficienza è intesa come permanente. Inoltre Gori sostiene che oggi un’ampia parte delle prestazioni sia pensata solo per la non autosufficienza fisica, e non risponde alle necessità delle persone con problemi cognitivi come l’alzheimer o la demenza senile.

La legge delega approvata a marzo dal governo prevede che le misure della riforma vengano finanziate tramite i fondi assegnati a strumenti già esistenti, come il Fondo per le non autosufficienze, quello per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, per le politiche della famiglia o il Fondo nazionale per le politiche sociali. Secondo Gori è stata una scelta forzata, dato che i fondi del PNRR non possono essere usati per finanziare aumenti di spesa corrente (ossia che si ripete ogni anno, come nel caso delle pensioni).

La legge delega non specifica quante risorse sarebbero necessarie per attuare la riforma, ma secondo le stime del Patto servirebbero tra i 5 e i 7 miliardi di euro all’anno: una cifra notevole. La legge di bilancio approvata dal governo a metà ottobre, e ora all’esame del Senato, non prevede però stanziamenti specifici. Le associazioni del Patto hanno proposto di raggiungere gradualmente l’importo nel corso della legislatura attuale, partendo da uno stanziamento di 1,3 miliardi di euro per il 2024 e arrivando a 3,3 miliardi nel 2026. Le associazioni hanno presentato la proposta al governo, ma per ora non è stata recepita.

Il PNRR ha stanziato 2,7 miliardi di euro per potenziare i servizi domiciliari, ossia fare in modo che le persone con più di 65 anni con una o più patologie croniche, o non autosufficienti, possano ricevere assistenza direttamente in casa senza affollare gli ospedali e le residenze per anziani. Si tratta però di un intervento diverso, seppure parzialmente collegato, rispetto a quello relativo alla riforma dell’assistenza. Durante la discussione alla Camera per l’approvazione della legge delega il relatore Luciano Ciocchetti, di Fratelli d’Italia, aveva detto che i finanziamenti «saranno previsti nelle prossime leggi di bilancio» e nei decreti che saranno adottati in futuro: «C’è un impegno forte da parte del governo di individuare risorse ulteriori».

Adesso Ciocchetti dice che «c’è una parte di fondi che già esiste, deve essere solo riorganizzata ma si trova già presso i singoli ministeri». In ogni caso secondo Ciocchetti la riforma è molto ambiziosa, e avrà bisogno di tempo per essere messa in atto: «Possiamo partire con esperienze sperimentali in ogni regione, per poi renderla operativa su tutto il territorio nazionale nel corso della legislatura».

La viceministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Maria Teresa Bellucci, ha detto in un’intervista al sito Vita che il governo rispetterà la scadenza del 31 gennaio per approvare i decreti legislativi connessi alla legge delega, e che se oggi questi non ci sono ancora è perché «il governo sta approcciando il tema in maniera seria». Anche Gori è convinto che la scadenza verrà rispettata, soprattutto perché i decreti sono legati agli obiettivi del PNRR e quindi all’erogazione dei fondi.

«Se guardiamo a come eravamo nel gennaio del 2021 siamo andati molto avanti. Se guardiamo all’obiettivo finale, ossia migliorare la vita degli anziani e delle famiglie, siamo ancora a zero», conclude Gori.