• Italia
  • Giovedì 23 novembre 2023

Come si fanno i carri funebri

È un lungo lavoro artigianale che viene svolto non dalle case automobilistiche, ma da poche aziende specializzate nella trasformazione di auto normali

carro funebre regina elisabetta
Il carro funebre scelto per il funerale della regina Elisabetta (Glyn Kirk/Getty Images)
Caricamento player

Nel 1976 Roberto Cantinelli fece un esperimento: costruire un carro funebre partendo da un’auto Maserati. Per anni aveva modificato modelli Fiat, come facevano tutti i suoi colleghi, e sapeva che mettere le mani su un’auto decisamente più costosa sarebbe stato un azzardo. Il risultato fu sobrio, elegante e piuttosto lussuoso. Il primo carro funebre ricavato da un’auto Maserati uscì dalla sua officina di Ferentino, in provincia di Frosinone, e da allora ne sono stati costruiti e venduti migliaia in molti paesi del mondo. Oggi Cantinelli ha 73 anni e continua a tagliare in due le auto per trasformarle in carri funebri.

In Italia le aziende che portano avanti questa produzione di nicchia sono poche decine. È un settore poco conosciuto, legato alla tradizione dell’industria automobilistica italiana, e in cui lavorano centinaia di meccanici, ingegneri, carrozzieri, tappezzieri e designer. «C’è un equivoco molto diffuso», dice Cantinelli. «Quasi tutte le persone pensano che case automobilistiche come Mercedes, Maserati o Jaguar abbiano una linea di carri funebri. Non funziona così. Anche se spesso si parte dagli stessi modelli di auto, ogni carro funebre è un esemplare unico, un pezzo di artigianato».

Prima dei mezzi a motore, utilizzati dai primi del Novecento con la diffusione delle auto, le bare venivano trasportate su carri trainati a mano o da cavalli. Dal XVII secolo i carri diventarono sempre più grandi, sfarzosi e personalizzati: soprattutto nel Regno Unito, durante l’era vittoriana, iniziarono a essere decorati con intarsi e tendaggi preziosi. Vennero via via introdotte anche diverse migliorie tecniche come telai rinforzati, strutture per non far muovere le bare e rulli per facilitare lo scorrimento durante l’inserimento o la rimozione. Nella prima metà del Novecento in tutta Europa si diffusero auto funebri ricavate dalla trasformazione di ambulanze militari dismesse. In Italia fino agli anni Ottanta furono utilizzate quasi solo berline della Fiat e anche se ora i marchi sono diversi – Mercedes, Maserati, Volvo e Jaguar, tra i più noti – il lavoro è rimasto più o meno lo stesso.

Si parte da un’auto normale che nella maggior parte dei casi viene acquistata dalle aziende su commissione, dopo aver ricevuto un ordine dai clienti. Ogni produttore ha un catalogo molto corposo: oltre al colore della carrozzeria e degli interni bisogna decidere la qualità di materiali e allestimenti. Possono essere installati meccanismi come lo scorrimento automatizzato delle bare, l’apertura manuale o automatica del portellone, luci particolari oppure sensori e telecamere per facilitare le manovre. Le agenzie funebri che lavorano in zone di montagna possono chiedere la trazione integrale e quelle che sono solite fare lunghi viaggi spesso chiedono il cruise control, cioè regolazione automatica della velocità e della distanza dalle altre auto.

Una volta entrata in officina, l’auto originale viene smontata quasi del tutto: si rimuovono i sedili, gli interni, le portiere. A quel punto ci sono due possibilità. Se il cliente vuole mantenere soltanto due posti, il guidatore e il passeggero, l’auto viene allungata nella sezione posteriore di circa cinquanta centimetri. Se invece i posti rimangono quattro il lavoro è più complesso: l’auto deve essere tagliata in due parti per allungare il passo, cioè la distanza tra i due assi delle ruote. «Non posso dirle di quanto allunghiamo il telaio, ogni azienda lo fa in modo diverso: è un segreto», dice Rosanna Scandiuzzi che lavora nell’amministrazione della Zanardo Autofactory di Mareno di Piave, in provincia di Treviso. «La nostra particolarità è che facciamo quasi tutta la struttura in carbonio, anche il tetto. Questa lavorazione costa di più, però è unica».

Fino a una decina di anni fa Cantinelli utilizzava lamiera modellata con presse idrauliche. Era un lavoro che richiedeva molto tempo e una certa esperienza. «Ora mi sono adeguato come la maggior parte dei colleghi: utilizzo la vetroresina modellata in stampi. Si fa molto prima e si può organizzare meglio la produzione». Le aggiunte devono avere gli stessi spessori delle due sezioni dell’auto. Le parti di telaio vengono saldate, mentre quelle in vetroresina applicate alla struttura portante così come le nuove parti della carrozzeria. Quando si taglia l’auto in due bisogna rifare l’impianto elettrico, i freni e tutti i collegamenti. Anche le sospensioni devono essere modificate.

Per alcuni anni e fino al 2009 alcune case automobilistiche, tra cui Mercedes, fornivano alcuni kit per allungare i telai, che facilitavano il lavoro dei meccanici. Il numero esiguo di richieste, però, ha portato Mercedes a interrompere la vendita e da allora tutte le aziende si sono arrangiate come accadeva in passato. «Ogni volta che viene cambiato o aggiornato un modello per noi è una fatica e un salasso», dice Scandiuzzi. «Dobbiamo rifare tutti i progetti da zero e modificare molti componenti. La filiera va ricostruita».

Quando la struttura è pronta si passa all’allestimento degli interni. Al di là delle richieste personalizzate, ci sono alcune regole che valgono per tutti. Il regolamento di polizia mortuaria del 1990 impone a tutte le aziende di prevedere interni completamente lavabili. Questa direttiva, spiega Wainer Righi della Renova di Modena, vale soprattutto per i furgoni utilizzati per il recupero di corpi in casi particolari, perché in realtà le bare sono già sigillate e non c’è il rischio di perdite di sostanze organiche. Ogni anno l’azienda sanitaria provinciale deve comunque fare una revisione del mezzo per controllare che i requisiti siano rispettati.

Prima della vendita, invece, l’auto deve essere immatricolata come carro funebre. «Vengono fatte molte verifiche e test seguendo parametri introdotti da direttive europee», continua Righi. Per esempio si misura l’efficienza dei freni e delle sospensioni. «Non siamo obbligati ad avere autorizzazioni dalle case automobilistiche per le modifiche, anche se in alcuni casi siamo riusciti ad avere contatti. La responsabilità sulla sicurezza del mezzo è nostra e per questo bisogna lavorare con molta attenzione».

auto funerale silvio berlusconi

L’auto scelta per il funerale di Silvio Berlusconi (Claudio Furlan/LaPresse)

Negli ultimi anni alcune aziende italiane hanno iniziato a modificare auto ibride, e qualcuno ha tentato anche di trasformare auto elettriche, per esempio le Tesla. In questo caso però non è possibile tagliarle in due per vie degli impianti e delle batterie: si possono soltanto allungare nella parte posteriore. In generale le officine italiane sono favorevoli a sperimentare nuove soluzioni tecniche. Sugli allestimenti, invece, esiste una sorta di codice non scritto e condiviso tra i produttori. «Gli impresari funebri sono molto esigenti», dice Cantinelli. «Spesso fanno richieste insolite su colori e luci, però noi cerchiamo di far valere la nostra filosofia e il nostro stile. Alcune cose le accettiamo, molte altre no».

Il prezzo dei carri funebri varia molto a seconda dell’allestimento scelto e dell’auto di base: possono costare da 70mila euro fino a superare i 150mila. Le versioni scelte più spesso dalle agenzie funebri vanno da 110 a 130mila euro.