A ottobre l’inflazione è scesa di molto

È una buona notizia ma non c’è molto da festeggiare: c'entra il modo in cui viene calcolata e non significa che il costo della vita sia in diminuzione

(Joe Raedle/Getty Images)
(Joe Raedle/Getty Images)
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A ottobre l’inflazione, ossia l’aumento generale del livello dei prezzi, è diminuita molto sia in Italia che nei paesi dell’Eurozona: in Italia è passata dal 5,3 per cento di settembre all’1,8 per cento, mentre nell’Eurozona dal 4,3 al 2,9 per cento. Sono cali eccezionali, che riportano il valore dell’inflazione a livelli che non si vedevano da due anni.

Il fatto che l’inflazione oggi sia in calo non significa che i prezzi stiano diminuendo: in quel caso l’inflazione sarebbe negativa e si chiamerebbe deflazione. Significa invece che l’aumento dei prezzi è diventato meno intenso rispetto a quello del mese precedente: se a ottobre 2022 un prodotto costava 100 euro, oggi in Italia ne costa 101,8, quindi comunque in aumento.

Ci sono diversi motivi che spiegano questo calo, quello principale è di natura statistica. Il tasso di inflazione infatti è calcolato in termini mobili: si confrontano i prezzi di ottobre del 2023 con quelli di ottobre del 2022, quelli di settembre del 2023 con quelli di settembre del 2022 e così via. La base di partenza è quindi sempre diversa e man mano il confronto viene fatto con mesi in cui i prezzi erano diventati altissimi.

L’inflazione annuale di questo mese, per esempio, viene calcolata confrontando i prezzi di oggi con quelli di ottobre 2022, ossia quando l’Italia e tutta l’Eurozona erano alle prese con la crisi energetica e prezzi altissimi del gas, cosa che fece aumentare tantissimo i prezzi dell’energia e quindi in generale quelli di un po’ di tutto. Per questo motivo a ottobre dello scorso anno l’inflazione era al suo picco: in Italia era all’11,8 per cento, nell’Eurozona era al 10,6.

Oggi i prezzi dell’energia sono tornati su livelli molto più bassi un po’ ovunque: in Italia sono calati del 17,7 per cento per quanto riguarda i beni energetici non regolamentati, e del 32,7 per cento quelli dei beni energetici regolamentati. Un contributo alla riduzione dell’inflazione c’è stato anche da parte dei prezzi del cibo, i cui aumenti sono meno intensi rispetto all’anno scorso, quando salirono molto sia per gli effetti della guerra in Ucraina, che rese più cari per esempio i cereali, sia per la crisi energetica che fece rincarare il costo della lavorazione.

Sono tutte buone notizie, se paragonate a quanto stava succedendo un anno fa. Resta però il fatto che l’inflazione è ancora un fenomeno molto persistente nell’economia e che i prezzi stanno ancora salendo dopo il forte aumento del costo della vita dello scorso anno.

Questo lo si vede dalla cosiddetta inflazione di fondo, quella che si ottiene togliendo dall’indice generale proprio i prezzi di cibo ed energia, cioè quelli più volatili e molto suscettibili a movimenti improvvisi. L’inflazione di fondo, seppur in calo, è ancora a livelli elevati: è pari al 4,2 per cento in Italia e al 5 nell’Eurozona.

Di norma l’inflazione di fondo è minore dell’inflazione generale, dal momento che quest’ultima include anche gli aumenti legati a cibo ed energia. Ora invece l’inflazione di fondo è più alta dell’indice generale: una circostanza eccezionale dovuta al fatto che i prezzi di cibo ed energia sono calati rispetto a un anno fa, compensando in parte i rincari avvenuti sul resto dei prodotti.

Un altro esempio che fa ben capire che il costo della vita continua ad aumentare riguarda quel gruppo di beni che l’ISTAT chiama “carrello della spesa”, che sono rappresentativi quindi di una spesa per le esigenze più comuni come i beni alimentari, per la cura della casa e per l’igiene personale. Continuano ad avere rincari notevoli: in Italia questi prodotti sono ancora più cari del 6,3 per cento rispetto a un anno fa.

La conseguenza finale è che, nonostante i dati indichino un calo notevole dell’indice generale, chi ha un reddito fisso continua gradualmente a sentirsi sempre più impoverito e le cose non torneranno come prima molto presto. La maggior parte dei fenomeni che hanno causato l’inflazione si è ormai esaurita, ma l’aumento dei prezzi è diventato persistente e svantaggia soprattutto chi ha redditi fissi, come i dipendenti e i pensionati: oggi con gli stessi soldi si possono fare o comprare meno cose e i risparmi sui conti correnti si sono svalutati.

Ci vorrà un po’ di tempo affinché i consumatori europei ritrovino il loro potere d’acquisto di prima della pandemia: è improbabile che i prezzi scenderanno ai livelli di prima, ma saranno i redditi a doversi adeguare al costo della vita. Il che implica che gli stipendi debbano gradualmente salire: può sembrare una soluzione ovvia, ma è un processo che rischia di alimentare ulteriori distorsioni e non è detto che le imprese saranno disposte ad adeguarsi molto presto.

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