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  • Domenica 1 ottobre 2023

In Giappone non c’è tolleranza per la marijuana, ma qualcuno è stufo

Lo stigma su chi la consuma è molto pesante, e alcuni attivisti stanno provando a cambiare le cose aiutandosi con una mascotte

di Flavio Parisi

La mascotte Arigatō Taima kun a Shibuya. (Flavio Parisi/il Post)
La mascotte Arigatō Taima kun a Shibuya. (Flavio Parisi/il Post)

Negli ultimi mesi chi il sabato o la domenica attraversa la piazzetta tra la stazione di Shibuya a Tokyo e il famoso incrocio con i passaggi pedonali incrociati può vedere un uomo di mezza età che canta al microfono, accompagnato da un bassista, interrompendosi di tanto in tanto per fare dei brevi comizi. Si chiama Nobutada Naitou, ma è più conosciuto con il soprannome di “Ras Nobu”, ed è lì per sensibilizzare le persone sulla legalizzazione della marijuana con il programma “Street Cannabis Speech”. Ha i capelli raccolti in dreadlocks e coperti da una cuffia di lana, canta su una base reggae ed è sempre affiancato da una mascotte dalla forma di foglia di cannabis di gommapiuma, che guarda tutti con due occhi semiaperti, a simulare quelli di una persona un po’ fatta.

Può sembrare strano che le leggi giapponesi, molto restrittive sull’uso degli spazi pubblici, permettano a Ras Nobu di usare un posto così centrale e affollato per parlare di marijuana, soprattutto perché il Giappone è il paese tra quelli del G7 con le leggi più punitive per quanto riguarda l’uso delle sostanze stupefacenti comunemente chiamate “droghe leggere”. Contemporaneamente, però, la libertà di espressione e di dissenso è garantita dalla costituzione, in vigore dal 1947, che protegge i diritti fondamentali dei cittadini giapponesi.

La legge giapponese sul controllo della cannabis del 1948 stabilisce che coltivare, detenere, cedere e vendere questa pianta sono atti punibili con la detenzione fino a 10 anni e una pena pecuniaria fino ai 3 milioni di yen (oltre 19mila euro). Le norme ovviamente si applicano anche ai cittadini stranieri, e chi arriva in Giappone con una dose anche minima nel bagaglio rischia molto, come successe a Paul McCartney nel 1980, quando fu arrestato appena atterrato a Tokyo per un tour con i Wings, perché trovato in possesso di 200 grammi di marijuana. Una quantità spropositata, ma in qualche modo riuscì a ottenere un trattamento di favore e fu rilasciato dopo una notte. Il tour dei Wings comunque saltò.

Paul McCartney arrestato per possesso di marijuana all’aeroporto Narita di Tokyo nel 1980 (AP Photo)

Le legge giapponese comunque protegge i contadini che la coltivano da sempre (resti di cannabis sono stati trovati negli insediamenti abitati in epoca preistorica Jōmon, risalenti a circa 10.000 anni fa): l’uso in forma di erba da fumare della marijuana infatti non è menzionato nella legge, in modo che gli stessi coltivatori non commettano un reato in caso di consumo accidentale.

Quando la polizia trova qualcuno in possesso di sostanze illegali la notizia ha una grande risonanza sui media, come è successo lo scorso agosto per uno studente che – come i notiziari hanno specificato – apparteneva al club di football americano della sua università. La notizia è stata percepita come particolarmente preoccupante dall’opinione pubblica giapponese, che spesso descrive gli universitari che fanno sport come la parte migliore della società.

Quando si tratta di arresti di personaggi famosi, la pubblicazione della notizia porta alla compromissione dell’immagine pubblica dell’accusato. È successo negli ultimi anni ad attori, personalità dello spettacolo e cantanti, in particolare rapper che, a dire la verità, esaltano nelle rime dei loro dischi il consumo di marijuana. Che si tratti di possesso di MDMA, cocaina o cannabis il risultato è molto simile: la persona è investita dallo stigma, perde credibilità, spesso tutti i contratti di sponsorizzazione e la possibilità di riscattarsi e continuare a lavorare nel mondo dello spettacolo.

– Leggi anche: Da dove viene la cannabis

Il fatto è che la politica della “tolleranza zero” verso le droghe, senza distinzioni, messa in atto dai legislatori del Giappone si salda con la mentalità sociale che tende in generale a porre uno stigma su chi ha dei comportamenti illegali. Parlare di marijuana in Giappone o ammettere di averci a che fare è tabù, oltre che pericoloso: facendo sapere che si adotta una pratica illegale si rischia di alienarsi il rispetto del prossimo, oltre che di esporsi a possibili denunce. Chi fuma cannabis lo fa in segreto e solo con persone fidatissime, per evitare di essere identificato come “drogato”, etichetta che per l’opinione comune generale accomuna i consumatori di qualsiasi sostanza stupefacente.

Questo dipende in buona parte dal fatto che l’immagine degli stupefacenti in Giappone è ancora influenzata dalla memoria di quando le metanfetamine, droghe sintetiche altamente stimolanti, si diffusero dopo la guerra, spinte dai traffici della Yakuza, la mafia giapponese che richiede ai sottoposti efficienza e resistenza ai turni di lavoro sfiancanti. Le metanfetamine furono la droga di elezione della manovalanza criminale, spesso stemperate dall’alcol usato in dosi massicce per controllarne gli eccessi.

Gli effetti completamente diversi del THC, il principio attivo della cannabis che induce invece al rilassamento e a un’euforia priva di aggressività, stanno però facendo presa su una nuova generazione di giapponesi che comincia a conoscerlo specialmente durante i viaggi all’estero. Ed è significativo (oltre che discusso dal punto di vista del diritto) che il governo giapponese nel 2019 abbia annunciato che la legge nazionale sul controllo della cannabis si possa applicare ai comportamenti dei cittadini giapponesi all’estero, sanzionando chi abbia consumato la cannabis fuori dai confini nazionali. È chiaro che si trattasse della risposta giapponese alla legalizzazione della cannabis in molti stati americani, e in seguito alla depenalizzazione messa in atto nella più vicina Thailandia.

Negli ultimi anni, comunque, un nucleo di attivisti impegnati nella sensibilizzazione sul tema della marijuana ha continuato a riunirsi e a manifestare periodicamente, e Ras Nobu (l’uomo dei comizi nello spiazzo davanti alla stazione di Shibuya) è l’iniziatore dell’ultima ondata di manifestazioni che è partita due anni fa con una “Marijuana March” a cui Nobu ha partecipato praticamente da solo. Ma la sua assidua presenza sui social ha spinto molti altri a unirsi negli eventi successivi.

Ras Nobu a Shibuya (Flavio Parisi/il Post)

Adesso tra i sostenitori della depenalizzazione della marijuana ci sono anche personaggi famosi come Saya Takagi, un’attrice famosa negli anni ’90 che ha ricevuto una condanna (sospesa) a un anno di detenzione per il possesso di cannabis. Ras Nobu spiega che molti dei giapponesi che seguono il suo movimento hanno scoperto l’uso della marijuana all’estero o, come è capitato a lui negli anni ’80, tramite amici che l’avevano portata con sé da viaggi negli Stati Uniti. Nel gruppo di attivisti ci sono anche persone affette da stati di ansia o dolori fisici costanti, che fumano la marijuana per stare meglio. «Il problema», spiega Nobu, «è il meccanismo giapponese di stigmatizzazione del consumo delle sostanze che spinge automaticamente alla discriminazione sulla base di concetti arbitrari. Questa mentalità è particolarmente ipocrita in un paese che ha normalizzato completamente l’abuso di alcol e che preferisce accomunare tutte le altre sostanze senza nemmeno prendere in considerazione politiche di riduzione del danno», che cioè agiscano sulla limitazione delle conseguenze pericolose del consumo di stupefacenti, senza discriminare i consumatori.

Effettivamente il consumo di alcol è onnipresente e massiccio nello stile di vita giapponese: si usa per aiutare la socialità negli incontri e nelle cene di lavoro, per creare cameratismo nei gruppi di persone che svolgono qualsiasi attività dall’età universitaria in poi, per rilassarsi o per dimenticare i problemi. Il sakè ottenuto dalla fermentazione del riso è, tra le altre cose, una bevanda sacra che viene offerta agli altari shintō e poi condivisa tra i partecipanti ai riti religiosi. Normalmente, soprattutto la sera, l’ubriachezza non è un tabù a meno che non sia troppo molesta, e dire che il giorno prima si è bevuto molto può essere un buon tema per rompere il ghiaccio in una conversazione.

– Ascolta: il podcast del Post “L’erba del vicino”, sulla legalizzazione della marijuana negli Stati Uniti

Per contrastare i pregiudizi, uno degli attivisti che si incontrano a Shibuya ha creato una mascotte, il modo migliore in Giappone per far familiarizzare la popolazione con elementi e concetti nuovi. È così nato Arigatō Taima kun, letteralmente “Grazie Ganja”, una foglia di marijuana a grandezza umana sempre presente a manifestazioni, comizi e concertini estemporanei di musica reggae. Il suo creatore (che si fa chiamare come il personaggio) spiega che il suo pupazzone di gommapiuma riesce a fare avvicinare i passanti che perlomeno all’aspetto non sembrano frequentatori della cannabis, e in molti si affiancano per interagire e farsi un selfie. L’immagine mite del personaggio si basa anche sul fatto che è un amante del pulito e spazza il marciapiede intorno alle zone fumatori dopo le manifestazioni prima di andarsene. Questa foglia di marijuana segue i dettami classici della progettazione di una mascotte: deve avere una passione ma anche interagire in modo virtuoso con il prossimo, restituendo alla società qualcosa e innescando un circolo virtuoso. In questo caso il comportamento esemplare è lasciare un posto migliore di come lo si è trovato.

La mascotte Arigatō Taima kun a Shibuya (Flavio Parisi/il Post)

Un’altra iniziativa per modificare la percezione del pubblico sulla marijuana è stata la fondazione di una girl band chiamata Asa Girls, sullo stile delle più celebri formazioni femminili giapponesi come le AKB48. Asa è la parola giapponese che significa canapa e quando preceduta dal carattere di “grande” indica la cannabis: infatti la pianta e la sua coltivazione, come già detto, esistono nella cultura dell’arcipelago giapponese da millenni. Se sul suo uso come sostanza da fumare le teorie degli archeologi non hanno trovato conferme certe, è sempre stata usata per produrre tessuti e funi usate nei santuari shintō, e i suoi semi sono uno degli ingredienti della miscela di 7 spezie usata sulla carne di pollo e chiamata shichimi. Arrivando ai giorni nostri, nel famosissimo manga Demon Slayer il kimono di Nezuko, sorella del protagonista, è decorato con un motivo comunissimo nei tessuti che simboleggia le foglie di canapa, pianta che cresce velocissima e sana, come ci si auspicava che accadesse alle figlie già in epoca Edo.

Come detto, possedere la cannabis è vietato in Giappone, e una revisione della legge prevista per ottobre dovrebbe includere nel testo anche la proibizione per il consumo. Negli anni la normativa è stata aggiornata mano a mano che nuovi cannabinoidi venivano analizzati e scoperti, e le nuove sostanze psicoattive venivano incluse tra quelle proibite dalla legge per il controllo delle sostanze narcotiche e psicotrope. In questo modo, per brevi periodi, i vuoti legislativi hanno permesso la diffusione semilegale di alcuni tipi di composti derivati dal THC, e quando lo scorso luglio il ministero della Salute ha annunciato che avrebbe esteso il divieto a due nuovi tetracannabinoidi, in rete si sono moltiplicate le offerte di chi voleva disfarsene in anticipo a prezzi bassissimi prima di poter essere considerato in possesso di una sostanza illegale.

La vendita delle sostanze derivate che non contengano THC non è però vietata, e negli ultimi tempi sono aumentati i negozi che offrono prodotti contenenti CBD, l’altro principio attivo della marijuana, molto meno psicoattivo ed essenzialmente rilassante. I negozi di Tokyo che li vendono sono frequentati tra gli altri dai nostalgici della marijuana fumata all’estero, meravigliati dall’aroma di alcuni vaporizzatori, ma anche da impiegati che, su consiglio degli amici, vengono per farsi comprare qualche prodotto che aiuti a rilassarsi e, insieme, a concentrarsi.

La diffusione dei prodotti contenenti CBD, tra cui le bevande commercializzate come rilassanti, potrebbe contribuire a ridurre i pregiudizi dei giapponesi verso la marijuana, ma lo stigma persiste per quanto riguarda le sostanze psicoattive (il THC). Ultimamente anche le Asa Girls hanno smesso di esibirsi. Come racconta Ras Nobu, infatti, essere visibili come sostenitrici della marijuana le avrebbe di certo penalizzate quando avessero dovuto cercare lavoro, nonostante si esibissero mascherate proprio per questo motivo.

È difficile dire cosa succederà in Giappone alle leggi riguardanti la cannabis: oltre al decisamente minoritario Partito della Cannabis, fondato nel 2022, altre formazioni politiche all’opposizione stanno cominciando a includere nei loro programmi l’uso della cannabis terapeutica, ma il problema della politica giapponese è che pochissimi tra i giovani aventi diritto al voto effettivamente votano, mentre per stimolare un cambio di approccio nella legislazione bisognerebbe probabilmente che l’affluenza aumentasse molto tra le nuove generazioni. Il disinteresse rispetto alla partecipazione politica è favorito da molti fattori, tra cui il divieto di parlare di politica nelle scuole dell’obbligo e la poca propensione dei giapponesi a discutere delle scelte di governo e opposizioni con amici o sconosciuti.

Intanto il governo continua ad attuare la politica della tolleranza zero, anche attraverso la sua mascotte Dame, zettai! “No, assolutamente”, un globo terrestre con le gambe che combatte contro l’uso di qualsiasi droga (tranne l’alcol). Gli attivisti del movimento per la depenalizzazione, in risposta, si sono presentati a un evento informativo promosso dalla polizia e i presenti hanno potuto fare delle foto alla mascotte governativa proibizionista affiancata da “Grazie, Ganja”, in una scena particolarmente giapponese.