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  • Mercoledì 27 settembre 2023

L’epidemia di peste suina africana in provincia di Pavia

Per limitare il contagio in corso dall'estate sono stati abbattuti quasi 34mila suini negli allevamenti della zona, anche in via preventiva

(ANSA ARCHIVIO/ROBERT GHEMENT/JI)
(ANSA ARCHIVIO/ROBERT GHEMENT/JI)
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A partire dalla scorsa estate in provincia di Pavia si è diffuso un importante focolaio di peste suina africana, una malattia letale principalmente per suini e cinghiali per la quale non esistono vaccini né cure, e che non è trasmissibile all’uomo. Il modo più comune per fermare la diffusione del virus è abbattere gli animali contagiati o considerati a rischio di contagio. Di recente nella zona del pavese sono stati uccisi quasi 34mila maiali in vari allevamenti intensivi, di cui oltre 20mila in via preventiva.

Il primo caso di peste suina africana fu registrato in Italia il 7 gennaio del 2022, quando in provincia di Alessandria, in Piemonte, il corpo di un cinghiale risultò positivo all’infezione. A maggio del 2022 emersero casi anche nel Lazio, in provincia di Roma: al tempo fece molto discutere la vicenda della “Sfattoria degli Ultimi”, un rifugio a nord della città dove venne ordinato l’abbattimento di decine di maiali e cinghiali, nonostante non fossero malati. Ci furono proteste di alcuni attivisti e alla fine gli animali non vennero uccisi. Lo scorso maggio altri casi di peste suina africana sono stati registrati in Calabria e in Campania.

Il virus è arrivato in Lombardia più di recente: il primo caso è stato rilevato il 21 giugno scorso a Bagnaria, in provincia di Pavia, in seguito alle analisi svolte sul corpo di un cinghiale. Il primo caso in un allevamento è stato segnalato il 18 agosto nel comune di Montebello della Battaglia, nell’Oltrepò pavese, poi ci sono stati contagi in altri sette allevamenti della zona. Altri otto allevamenti sono stati considerati a rischio, perché collegati in qualche modo a quelli contagiati. Alessandro Beduschi, assessore regionale all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, dice però che finora la diffusione del virus è rimasta circoscritta agli otto allevamenti inizialmente individuati.

Da metà a agosto a oggi sono stati abbattuti 13mila suini di allevamento direttamente colpiti dal virus, e altri 7.500 sono stati abbattuti per prevenzione, negli allevamenti che avevano avuto qualche tipo di contatto con quelli contagiati. Inoltre le autorità hanno individuato gli allevamenti che si trovano entro i 10 chilometri di distanza dai focolai, dove sono stati eliminati altri 13mila animali.

A causa del gran numero di abbattimenti ci sono state proteste, soprattutto nella sede di Cuori Liberi, un rifugio per animali da allevamento maltrattati a Zinasco, un piccolo paese a sudovest di Pavia. Nel tentativo di impedire che i nove maiali del rifugio venissero uccisi un gruppo di manifestanti ha presidiato il sito per due settimane prima che le forze dell’ordine arrivassero a sgomberarli, lo scorso 20 settembre. Gli animali sono stati abbattuti, anche se secondo gli attivisti alcuni non avevano contratto il virus. L’assessore Beduschi ha definito «irresponsabile» il comportamento dei manifestanti, affermando che la loro presenza sul posto ha impedito un «intervento tempestivo» delle autorità sanitarie.

Sempre a Zinasco la procura di Pavia sta indagando sul proprietario e sul veterinario di un allevamento, accusati di non aver segnalato alle autorità sanitarie i primi casi di morte sospetta di suini e quindi aver permesso, o perlomeno facilitato, la diffusione del virus.

Le direttive europee per il controllo della diffusione della peste suina africana prevedono che nei territori con un alto numero di contagi siano attivate misure restrittive speciali, che vietino o limitino attività considerate rischiose come lo spostamento degli animali o la caccia. A partire dall’8 settembre scorso 172 comuni della provincia di Pavia sono stati identificati come zone di protezione o di sorveglianza, e quindi sottoposti a limitazioni.

Secondo Fabio Ostanello, docente nel dipartimento di Scienze mediche veterinarie all’Università di Bologna, in assenza di vaccini contro la peste suina africana la migliore misura di prevenzione consiste nell’evitare che il virus entri in un allevamento, e quindi «identificare tutte le possibili vie di introduzione» e trovare misure per ridurre i rischi.

In ogni caso, Ostanello chiarisce che non c’è «nessuna preoccupazione» per i cittadini, dato che la malattia «non si trasmette all’uomo in nessun modo». Potrebbero invece sorgere problemi riguardo alla futura disponibilità di alimenti di origine suina, dato che decine di migliaia di animali sono stati abbattuti. Ostanello ha spiegato che potranno esserci anche importanti conseguenze sulle esportazioni, dato che le normative adottate da alcuni paesi come la Cina e il Giappone considerano “a rischio” tutto il territorio nazionale, e quindi bloccano completamente le importazioni, anche se i focolai sono circoscritti ad alcune province o regioni.

La Regione Lombardia, le aziende sanitarie locali (ATS) di Pavia e i Carabinieri stanno collaborando per fermare il contagio ed evitare che il virus si diffonda nel resto della regione. La Lombardia infatti è un’area di intensa produzione nel settore: sono presenti circa 2.700 aziende, concentrate soprattutto tra le province di Brescia, Mantova e Cremona, in cui si allevano 4,5 milioni di suini.

Al di là del caso lombardo, già dallo scorso anno erano emersi casi di peste suina africana anche in altre regioni italiane, tra cui la Liguria e la Sardegna. Nei territori coinvolti erano state quindi imposte altre limitazioni in base alle normative europee. Lo scorso febbraio il governo aveva nominato Vincenzo Caputo, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche, come commissario straordinario alla peste suina africana.

La malattia è causata dal virus indicato con la sigla ASFV, un patogeno particolarmente resistente. Sopravvive in ambienti esterni fino a 100 giorni, resiste per diversi mesi all’interno di salumi o nella carne congelata, e negli animali guariti dalla malattia. Le persone possono contribuire a diffonderlo soprattutto negli allevamenti, poiché il contagio può avvenire per contatto con qualsiasi oggetto contaminato, abbigliamento compreso. Gli esseri umani invece non si ammalano, come si dice in gergo sono solo un “veicolo di trasmissione” del virus.

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