Il discusso ruolo di Coco Chanel durante la Seconda guerra mondiale

Documenti da poco scoperti complicano ciò che si sapeva già della stilista, a lungo accusata di essere stata una spia nazista

(Keystone/Hulton Archive/Getty Images)
(Keystone/Hulton Archive/Getty Images)
Caricamento player

Negli ultimi quindici anni sono state pubblicate diverse ricerche, biografie e documentari che raccontano di come la celebre stilista francese Gabrielle Bonheur Chanel, famosa come Coco Chanel in tutto il mondo, durante la Seconda guerra mondiale fosse vicina a vari funzionari nazisti durante l’occupazione della Francia da parte della Germania. In quel periodo Chanel manifestò idee molto conservatrici e fortemente antisemite e omofobe e svolse anche alcune missioni di spionaggio per conto della Germania nazista.

In occasione di una nuova mostra su Chanel al Victoria and Albert Museum di Londra, Gabrielle Chanel. Fashion Manifesto, sono però stati resi pubblici alcuni documenti che mostrano come la stilista fosse anche un’esponente confermata della Resistenza francese, il movimento che lottava per la liberazione della Francia dall’occupazione nazista. La mostra esporrà in pubblico sia varie prove che mostrano la vicinanza di Chanel ai nazisti sia documenti mai pubblicati prima che mostrano come Chanel figurasse in un elenco di 400mila persone il cui ruolo nella Resistenza è sostenuto da documenti ufficiali.

«Abbiamo la verifica del governo francese, incluso un documento del 1957, che conferma la sua partecipazione attiva alla Resistenza», ha detto al Guardian Oriole Cullen, la curatrice della mostra. «Le nuove prove non la scagionano. Rendono solo il quadro più complicato. Tutto quello che possiamo dire è che era coinvolta in entrambe le parti del conflitto».

Secondo Cullen l’infanzia trascorsa da Chanel in un convento francese dopo la morte di sua madre e la scomparsa di suo padre avrebbero avuto come risultato delle inclinazioni all’autodifesa che «l’hanno resa istintivamente di destra». Secondo la curatrice, la stilista «è stata più che altro una sopravvissuta [alle circostanze sfortunate della sua infanzia, ndr], sempre alla ricerca di opportunità per portarsi avanti nella vita».

In base a ciò che già si sapeva, Coco Chanel collaborò attivamente con i servizi segreti tedeschi durante l’occupazione della Francia. Quando iniziò la guerra, nel 1939, chiuse tutti suoi negozi tranne quello al numero 31 di rue Cambon, dove vendeva gioielli e profumi, e si asserragliò nel suo appartamento al piano di sopra, lasciando i suoi 4.000 dipendenti senza lavoro.

Con l’invasione nazista si trasferì all’Hotel Ritz, quartier generale dei più importanti militari e diplomatici tedeschi, tra cui il barone Hans Günther von Dincklage, con cui ebbe una relazione. In Sleeping With the Enemy, importante biografia del 2011 scritta dallo storico Hal Vaughan, venne fuori che Dincklage aveva presentato Chanel al barone Louis de Vaufreland, un agente tedesco, che in cambio dei suoi servizi le aveva promesso la liberazione del nipote, imprigionato in Germania dal 1940.

Venne registrata con il nome in codice Westminster e inviata in missione a Madrid, in Spagna. Verso la fine del 1943 fu assoldata dal generale Walter Schellenberg, capo dei servizi segreti tedeschi, per una operazione poco chiara chiamata “Modellhut”: avrebbe dovuto avvicinare Churchill e riferirgli le intenzioni di alcuni importanti esponenti delle SS (il gruppo paramilitare del regime nazista) di arrendersi o collaborare. Dopo la guerra Schellenberg fu processato a Norimberga e condannato a sei anni di carcere ma venne rilasciato nel 1951 per motivi di salute; Chanel gli pagò le spese mediche, il vitalizio e poi il funerale.

Inoltre, durante l’occupazione nazista di Parigi Chanel cercò di riottenere il controllo dei diritti di Parfums Chanel, azienda che provvedeva alla produzione, alla pubblicità e alla distribuzione dell’iconico profumo ideato dalla stilista, Chanel nº5. Da accordi, Chanel otteneva una percentuale piuttosto bassa dei profitti di Parfums Chanel – il 10 per cento – mentre l’imprenditore Pierre Wertheimer, che era ebreo, ne tratteneva il 70 per cento: per cercare di riprendere il controllo dell’azienda, nel 1941 la stilista scrisse al funzionario tedesco che si occupava dei sequestri facendo leva sul suo essere ariana e sostenendo «un indiscutibile diritto alla priorità» di riottenere l’azienda.

Ma nel 1940 Wertheimer, temendo l’arrivo dei nazisti, aveva intestato l’azienda all’imprenditore francese e cristiano Félix Amiot che, finita la guerra, gliela restituì. Nel 1947 si trovò comunque un nuovo accordo: Chanel ricevette i profitti delle vendite del profumo in tempo di guerra, pari a 9 milioni di dollari dell’epoca, e il 2 per cento delle vendite in tutto il mondo, pari circa a 25 milioni all’anno, diventando una delle donne più ricche al mondo.

Finita l’occupazione, nel 1944 scappò in Svizzera anche per evitare ritorsioni e accuse di collaborazionismo; venne interrogata da Malcolm Muggeridge, funzionario dell’intelligence britannica, a proposito del suo rapporto con Dincklage ma l’intervento del primo ministro Winston Churchill, di cui era amica dagli anni Venti, fermò ogni incriminazione. La mostra al Victoria and Albert, visitabile dal 16 settembre, include anche le trascrizioni degli interrogatori di tre funzionari nazisti che indicarono Chanel come una fonte fidata dei tedeschi.