Per sbarazzarci dei granchi blu abbiamo iniziato a venderli all’estero

Un'azienda di Rimini ne ha spedito un primo container negli Stati Uniti, dove è apprezzato e c'è mercato

granchio blu
(AP Photo/Luigi Navarra)
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Lo scorso 11 agosto un’azienda di Rimini ha spedito un primo container con quasi 18 tonnellate di granchi blu interi o già lavorati, pronti per essere utilizzati nei ristoranti. La prossima settimana è prevista la spedizione di un nuovo carico e altri se ne aggiungeranno nei prossimi mesi. La vendita sul mercato statunitense di questo crostaceo potrebbe essere una soluzione almeno parziale alla sua proliferazione, che in Italia sta causando non pochi danni: in alcune regioni il granchio blu mangia la maggior parte delle vongole e delle cozze allevate nelle lagune, soprattutto in Emilia-Romagna e in Veneto.

La vendita oltreoceano è un po’ un ritorno, perché il granchio blu, che viene chiamato così per il colore delle sue chele, è una specie originaria della costa orientale degli Stati Uniti. Diversi studi hanno stimato il suo arrivo nel mar Mediterraneo intorno alla metà del Novecento, prima in Tunisia e Algeria e poi nel mar Egeo, tra Turchia e Grecia, e infine nel mar Adriatico. Una delle ipotesi più condivise è che abbia viaggiato dal continente americano all’Europa nelle acque di zavorra delle navi mercantili (quei carichi di acqua che viene prelevata o rilasciata a seconda delle esigenze di stabilità che ha la nave durante la navigazione).

Il granchio blu è quindi una specie aliena o alloctona, che l’azione diretta o indiretta dell’uomo ha spostato in una zona diversa rispetto al suo ambiente originario.

È lungo circa 9 centimetri e gli esemplari più grandi sono larghi oltre 23 centimetri. Dal 2008 la sua presenza è stata osservata in diverse regioni italiane. È stato trovato in Puglia, Abruzzo, nel bacino di Torre Colimena nel mar Ionio, vicino al porto di La Spezia in Liguria, sulla costa orientale della Sicilia, in Sardegna, sul litorale romano, e nelle ultime settimane le segnalazioni si sono moltiplicate in molte altre località.

Negli ultimi mesi i granchi hanno divorato la maggior parte delle vongole allevate negli allevamenti dell’Emilia-Romagna e del Veneto, dove si concentra oltre la metà della produzione nazionale. Nella zona di Porto Tolle vengono prodotti 52mila quintali di vongole all’anno e 20mila quintali di cozze DOP: nel 2022 la produzione è aumentata del 10 per cento, ma nel 2023 si stima un calo dell’80 per cento a causa del granchio blu. «La semina di quest’anno è stata totalmente distrutta e annientata dal granchio blu, con una situazione che ogni giorno peggiora», ha detto il presidente del Veneto, Luca Zaia, durante un incontro con gli allevatori e i pescatori. «Il futuro dell’economia basso-polesana [del Polesine, una zona in provincia di Rovigo, ndr] è compromesso, occorre da subito che il governo decreti lo stato di emergenza e si possano indennizzare i pescatori, riorganizzare le semine di novellame, contenere la popolazione dei granchi blu».

– Leggi anche: Il granchio blu ha invaso il delta del Po

Nelle ultime settimane alcuni esponenti del governo tra cui il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, hanno cercato di incentivare il consumo alimentare del granchio blu attraverso interviste e post sui social network. «Il modo migliore [per limitare la proliferazione dei granchi, ndr], non avendo un predatore naturale nei nostri mari, è quello di spiegare come sia un ottimo nutrimento per l’essere umano», ha detto il ministro. Lollobrigida ha poi diffuso una foto della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che regge un piatto pieno di granchi blu pronti per essere mangiati.

Anche se non potrà risolvere tutti i problemi, la commercializzazione del granchio blu può essere una via per limitare la sua diffusione così invasiva. Le cinque fondatrici di Blueat, un’azienda di Rimini, se ne sono accorte già da un paio di anni. Carlotta Santolini, biologa marina, dice che l’idea di sfruttare il granchio blu le è venuta dopo un periodo di lavoro di tre mesi in barca, tre anni fa. «Ho intervistato molti pescatori che mi hanno raccontato i problemi causati dalla diffusione del granchio blu e mi sono convinta che potesse essere una risorsa alimentare», dice. Negli ultimi due anni Santolini ha lavorato insieme a quattro colleghe per creare Blueat: hanno preso contatti con i pescatori e con un’azienda per la lavorazione e la trasformazione del granchio in polpa e sughi per poi rivolgersi al mercato statunitense.

Negli Stati Uniti, in particolare nella baia di Chesapeake, tra il Maryland e la Virginia, il granchio blu è un prodotto assai apprezzato e importante per l’industria ittica. Viene pescato, cucinato al vapore o bollito, usato come ingrediente per paste, insalate e zuppe. Non sono ricette semplici, perché per ricavare la polpa serve una preparazione di almeno una ventina di minuti. Può costare oltre 100 dollari al chilo, poco più di 90 euro. «È un mercato molto promettente, anche perché gli americani sono megalomani e ne vogliono grandi quantità», continua Santolini. «Negli Stati Uniti se ne pesca molto, ma la domanda è molto più alta dell’offerta. Il nostro primo container è stato spedito a Miami a un intermediario americano che si occupa di rifornire i ristoranti: per noi è una grande opportunità».

Anche in Italia alcuni ristoranti hanno iniziato a proporlo nei loro menù: fino a pochi anni fa, quando era sconosciuto, si vendeva a tre o quattro euro al chilo, ora può raggiungere i 10 euro al chilo. Blueat ha coinvolto nella filiera circa un migliaio di pescatori ed è arrivata a raccogliere 4 tonnellate di granchi blu al giorno con l’obiettivo di arrivare a 14. Nelle ultime settimane soltanto in Veneto sono state raccolte 13 tonnellate al giorno di granchi blu.

Un altro possibile utilizzo del granchio blu è tutt’altro che alimentare. La Coldiretti del Veneto, l’associazione che rappresenta allevatori e pescatori, ha finanziato un progetto per usare il granchio blu come combustibile per produrre biogas attraverso un processo chiamato di biodigestione. Il biogas è prodotto dalla fermentazione batterica in assenza di ossigeno e a temperatura controllata (anaerobiosi) di sostanze di origine organica (animale o vegetale). Queste sostanze possono provenire da colture prodotte per questo scopo ma anche da scarti dell’agricoltura, dell’industria alimentare e dell’industria zootecnica, e perfino da più banali rifiuti alimentari che produciamo mangiando.

Un primo tentativo verrà fatto con un carico di una tonnellata di granchio blu trattato da un’azienda veneta: gli animali verranno macinati e pastorizzati per un’ora a 72 gradi per poi essere stoccati in un impianto per la produzione di biogas. Secondo le stime di Coldiretti, soltanto in Veneto le aziende che producono biogas potrebbero trattare fino a 100 tonnellate di granchi al giorno.

Sia il Veneto che l’Emilia-Romagna hanno chiesto al governo di istituire lo stato di emergenza per rimandare le scadenze fiscali ai pescatori e stanziare indennizzi. Finora il ministero dell’Agricoltura ha stanziato 2,9 milioni di euro per finanziare la cattura e lo smaltimento dei granchi blu e ha permesso di utilizzare «nasse, cestelli e reti da posta fissa» entro una distanza di 500 metri dalla costa e vicino alle foce dei fiumi. Da giovedì scorso, inoltre, è iniziata un’indagine approfondita sulla diffusione del granchio blu fatta dall’ARPAV, l’Agenzia regionale veneta per la prevenzione e la protezione ambientale, insieme a Veneto Agricoltura, l’agenzia per l’agricoltura, e all’Università di Padova.

– Ascolta anche: Vicini e lontani, il podcast del Post e Oikos sulle specie aliene