C’è preoccupazione che un’area protetta nel Delta del Po sia cementificata

Venduta per una cifra modesta a una società immobiliare, secondo le associazioni ambientaliste c'è il rischio sia deturpata

La foce del Bevano (Foto Italia Nostra Ravenna)
La foce del Bevano (Foto Italia Nostra Ravenna)

Le associazioni ambientaliste locali sono molto preoccupate che parte di un’area di 471 ettari considerata di grande valore naturalistico all’interno del Parco del Delta del Po possa essere cementificata dopo essere stata acquistata all’asta dalla società immobiliare CPI Real Estate Italy. L’area, che apparteneva a un’altra società immobiliare poi messa in liquidazione, la Lido di Classe, comprende una parte della riserva conosciuta come Ortazzo, Ortazzino e Foce del Torrente Bevano, ed è stata venduta per 580mila euro circa, una cifra che la sezione di Ravenna dell’associazione ambientalista Italia Nostra ha definito «ridicola». Le tutele esistenti sono ritenute da alcuni sufficienti a scongiurare il rischio che, nonostante sia privata, nell’area siano costruiti fabbricati: ma secondo altri potrebbero essere aggirate.

Il sindaco di Ravenna Michele De Pascale, eletto con il centrosinistra, ha dato rassicurazioni parlando al Resto del Carlino: «non so ancora quali siano le intenzioni della nuova proprietà, ma voglio essere chiarissimo: in nessuna delle aree di Parco del territorio dell’Ortazzo-Ortazzino sarà mai costruito neanche un solo ulteriore metro quadrato. Mai il Comune lo autorizzerà e la città impedirà qualsiasi intervento da parte di altri livelli di governo». Ha aggiunto che il Comune «è pronto in ogni momento a comprare l’area e a tal fine opereremo anche con la nuova proprietà». Ma Francesca Santarella, responsabile di Italia Nostra Ravenna, spiega che «in realtà quell’area ha diversi livelli di tutela ambientale. Ci sono zone A e zone B in cui assolutamente non è possibile in nessun modo che venga messa mano, ma c’è una zona C che è tutelata in maniera minore. E dei rischi che lì qualcosa possa realmente accadere ci sono».

Le preoccupazioni derivano tra le altre cose dal fatto che nella certificazione comunale allegata al contratto di compravendita una parte del terreno acquistato, nella zona nord ovest, venga indicata come «spazio urbano prevalentemente residenziale con percorsi pedonali, ciclabili, spazi e strutture pubbliche e luoghi di culto». L’area così definita misura 90 ettari, circa 1 chilometro quadrato, ed è verosimilmente nella zona classificata come C del parco (la classificazione delle aree naturali è divisa in A, B, C e D, con un livello di tutela decrescente). L’assessore all’urbanistica del comune di Ravenna ha detto al Resto del Carlino: «Quella è un’area a vari livelli di tutela naturalistica e non è permesso lottizzare e costruire. È chiaro che andrò in fondo alla cosa, non capisco come nel contratto di compravendita possano comparire affermazioni relative all’edificazione di terreni in quell’area del parco del Delta del Po».

Inoltre la società immobiliare acquirente, come riporta il Resto del Carlino, in un allegato al bilancio del 2022 aveva scritto di «aver ampliato la propria base immobiliare attraverso l’acquisizione di nuove aree, in particolare aree fabbricabili nel comune di Ravenna provenienti dalla proprietà di Immobiliare Lido di Classe».

L’area è un sito di interesse comunitario, come definito da una direttiva europea del 1992, chiamata Direttiva Habitat e recepita in Italia nel 1997. I siti individuati con la sigla SIC (Site of Community Importance) devono essere dichiarati entro sei anni ZPS, Zone di Protezione Speciale, destinate alla conservazione della biodiversità. Queste zone, insieme a quelle Speciali di Conservazione, sono quelle che costituiscono Natura 2000, una rete di luoghi europei considerati di grande valore per la protezione e la conservazione degli habitat e delle specie animali e vegetali.

Agli inizi degli anni Settanta gli ettari di cui si parla oggi, compresi nell’area del Parco del Delta, erano stati acquistati da una società immobiliare con sede a Roma, la Lido di Classe. L’intenzione era quella di creare un grande villaggio turistico con stabilimenti balneari e un porticciolo alla foce del Bevano. Il piano regolatore del comune di Ravenna aveva dato l’assenso all’edificazione di 5 milioni di metri cubi di cemento, poi ridotti a tre nel 1975. I lavori erano già iniziati quando grazie alle denunce delle associazioni WWF, World Wildlife Fund, di Italia Nostra e di altri ambientalisti della zona, vennero bloccati.

Il 31 luglio 1975 il pretore Vincenzo Andreucci ordinò il sequestro dell’area e fece bloccare una carovana di betoniere già pronte ai lavori. Nel frattempo erano già state realizzate due strade, oggi coperte dalla vegetazione. Il pretore potè intervenire perché nel 1971 in Iran, a Ramsar, era stata firmata la Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale. La convezione stabilì una serie di norme per la protezione delle zone umide riconoscendo «l’interdipendenza tra l’uomo e il suo ambiente, considerando le funzioni ecologiche fondamentali delle zone umide come regolatori del regime delle acque e come habitat di una flora e di una fauna caratteristiche e, in particolare di uccelli acquatici» e stabilendo regole per «arrestare ora e per l’avvenire la progressiva invasione da parte dell’uomo e la scomparsa delle zone umide».

Per anni non successe nulla, poi nel 2017 la Immobiliare Lido di Classe (con capitale sociale di 255mila euro, detenuto da Italmobiliare spa, Banca Nazionale del Lavoro, Parsitalia spa) entrò in stato di liquidazione volontaria. Nel 2021 la società fu pignorata; il pignoramento fu poi cancellato perché la società aveva adempiuto ai suoi obblighi fiscali. Nel marzo del 2023 l’area fu venduta alla CPI Real Estate Italy spa, con sede a Roma, che fa parte del gruppo Cpi Property Group Sa con sede in Lussemburgo e che fu fondata dall’imprenditore ceco Radovan Vitek.

L’area è stata venduta per 56.915,91 euro (più Iva) per i fabbricati in parte diroccati, 51.654 euro per “i terreni a destinazione edificabile (90 ettari), 306.532 euro per i terreni a destinazione agricola e 164.897 euro per i terreni aventi destinazione né agricola né edificabile. In totale circa 580mila euro”.

Nell’atto di compravendita è anche specificato che il 19 ottobre 2022 la Immobiliare Lido di Classe aveva notificato all’Ente Parco del Delta l’intenzione di procedere alla vendita, offrendo il diritto di prelazione per l’acquisto entro tre mesi. Erano però scaduti senza che dall’Ente Parco arrivasse una proposta. L’Ente Parco, chiamato in causa in questi giorni, ha spiegato che non aveva potuto fare un richiesta di acquisto perché non aveva la disponibilità finanziaria. L’Ente dice di aver chiesto un mutuo di 500mila euro a due banche che però lo hanno negato e di aver interpellato sia la Cassa Depositi e Prestiti sia la tesoreria comunale di Ravenna. Dice Francesca Santarella: «Negli obiettivi dell’Ente Parco c’era da tempo l’acquisto di quell’area per renderla finalmente patrimonio pubblico. E si sapeva che la vecchia proprietà era stata messa in liquidazione. Eppure nulla è stato fatto e le notizie si sono sapute solo a cose fatte».

Secondo Italia Nostra il pericolo di edificazioni in un’area che dovrebbe essere protetta esiste, perché ritiene difficile la società immobiliare l’abbia acquistata per lasciarla così com’è. Nel suo sito Italia Nostra Ravenna scrive dei rischi che sta correndo «un’area tra le più importanti per biodiversità dell’Alto Adriatico, sottratta alla furia cementificatrice degli anni ’70 con una battaglia memorabile dal WWF, con la collaborazione anche di Italia Nostra e di tanti naturalisti che lottavano con coraggio sul campo per la tutela delle nostre zone più preziose, giunte a noi solo grazie a loro e che oggi assistono attoniti a quanto successo».

L’Ente del Parco del Delta del Po in una nota ha però scritto che «preme ricordare ed evidenziare, a chi avesse dubbi e timori, come i vincoli del piano territoriale del Parco e di rete Natura 2000 rendano l’area di fatto intoccabile e assolutamente protetta da ogni punto di vista. L’impegno a non cambiare queste norme costituisce al momento, in assenza di fondi disponibili, ciò che l’Ente Parco può fare. E non è cosa da poco».