La Corte Suprema di Hong Kong ha respinto la richiesta del governo di vietare la canzone di protesta “Glory to Hong Kong”

(AP Photo/Vincent Yu, File)
(AP Photo/Vincent Yu, File)

Venerdì la Corte Suprema di Hong Kong ha respinto la richiesta del governo locale di vietare la canzone “Glory to Hong Kong”, diventata l’inno non ufficiale delle estese proteste per la democrazia del 2019, represse dal governo cinese. Il 5 giugno il governo di Hong aveva chiesto alle autorità giudiziarie locali di vietare ogni forma di distribuzione e circolazione della canzone, compresa la sola melodia e qualsiasi adattamento, definendola un inno alla «secessione» dalla Cina e un «grave danno nazionale». La Corte ha motivato il rifiuto a questa richiesta spiegando che il divieto potrebbe minare la libertà di espressione con quelli che il giudice ha definito «effetti agghiaccianti».

La richiesta era stata fatta dopo che a Hong Kong la canzone era stata suonata in occasione di diversi eventi sportivi internazionali, tra cui gare di rugby e hockey su ghiaccio, al posto dell’inno nazionale cinese “Marcia del volontari”. Nei giorni immediatamente successivi alla richiesta la canzone era finita in cima alle classifiche dell’iTunes Store di Apple a Hong Kong, ma numerose sue versioni erano poi scomparse da Spotify, iTunes, Facebook, dai reel di Instagram e da KKBOX, un servizio di streaming musicale sviluppato a Taiwan di proprietà giapponese.

Hong Kong è una regione amministrativa speciale della Cina in cui negli ultimi anni il governo centrale ha progressivamente eroso libertà e diritti civili e politici: dopo aver represso l’opposizione e imposto una nuova legge elettorale, oggi la Cina è arrivata di fatto a controllare il parlamento e il governo di Hong Kong.