Cosa succede al nostro corpo quando ci innamoriamo

Ormoni e altre sostanze mettono in subbuglio il cervello, ma non è solo questione di chimica

(Getty Images)
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Nella canzone “Via con me” c’è un invito alla persona amata a non perdersi «per niente al mondo lo spettacolo d’arte varia di uno innamorato di te». Quando Paolo Conte la scrisse all’inizio degli anni Ottanta pensava soprattutto alle grandi e talvolta assurde cose che si fanno per amore, ma a ben vedere durante l’innamoramento uno “spettacolo d’arte varia” si verifica anche all’interno del nostro organismo, ed è proprio questo a determinare in buona parte il modo in cui poi ci comportiamo e ciò che proviamo all’inizio di una relazione. Innamorarsi ha un profondo effetto sul nostro corpo, innesca una grande quantità di reazioni chimiche che ancora non conosciamo completamente e che potrebbero aiutarci a capire meglio alcuni meccanismi nella nostra mente oltre che nel nostro cuore.

All’amore si possono dare infinite definizioni: filosofiche, psicologiche, letterarie e musicali, per la fortuna di chi scrive e compone canzoni come Paolo Conte. È invece più difficile dare una descrizione scientifica che colga tutte le sue sfumature e le sue dinamiche. Da un punto di vista puramente evolutivo, l’amore deriva probabilmente dalla necessità nella nostra specie di trovare una persona con cui stringere un forte legame, importante per la riproduzione e per la cura dei figli nei loro primi anni di vita. Non riguarda solamente gli esseri umani: in generale, nel regno animale più la prole ha necessità di essere seguita a lungo nei primi periodi di vita, più i genitori tendono ad avere relazioni durature per condividere la responsabilità (ovviamente ci sono tantissime specie e di conseguenza innumerevoli eccezioni).

Ridurre l’amore alla sola riproduzione sarebbe però riduttivo, soprattutto per la nostra specie che grazie a una spiccata coscienza di sé e capacità di astrazione ha fatto proprio e ha elaborato il concetto di relazione amorosa (molto elaborato). Mentre in psicologia l’amore è considerato un fenomeno sociale e culturale, con sfumature e varianti, in biologia l’amore è visto come un impulso tipicamente animale e paragonabile a quello della fame o della sete. Per questo secondo modello, le sensazioni amorose sono influenzate dagli ormoni che contribuiscono a generare due pulsioni principali: quella sessuale e quella dell’attaccamento, cioè la creazione di un legame specifico tra due persone.

Tutto ha inizio quando si conosce una persona e la si inizia a vedere in un modo diverso, a trovare qualcosa di speciale e unico che suscita curiosità e interesse. Questa prima fase dell’innamoramento è di solito alquanto caotica ed eccitante per l’organismo, perché è guidata per lo più dagli ormoni sessuali, gli estrogeni e il testosterone, che fanno prevalere il desiderio e l’attrazione fisica. Viene di solito identificata come la fase del desiderio, che precede le altre due successive: attrazione e attaccamento.

Desiderio e attrazione
La fase del desiderio viene ricondotta alla nostra necessità di riprodurci e alla prosecuzione della specie. È l’ipotalamo, una struttura alla base del nostro cervello, a stimolare la produzione degli ormoni sessuali. Questi influiscono a loro volta sul funzionamento del cervello e in particolare della corteccia prefrontale, che comprende il controllo dei comportamenti razionali.

L’attrazione, la seconda fase, è strettamente legata a quella del desiderio, anche se in un certo senso indipendente: si può desiderare fisicamente una persona senza provare una particolare attrazione e viceversa. L’attrazione ha a che fare con i meccanismi del cervello che controllano i sistemi di ricompensa. È grazie a loro se i primi mesi di una nuova relazione vengono di solito vissuti con grande entusiasmo, voglia di fare e di essere il più possibile in contatto con la persona di cui si è innamorati.

La dopamina è tra le sostanze più coinvolte nei processi di ricompensa. Questo neurotrasmettitore è prodotto in varie aree del cervello, che sono stimolate a rilasciarlo quando facciamo qualcosa che dà una certa sensazione di benessere come mangiare un alimento buono, dissetarsi, ascoltare particolari suoni o avere rapporti sessuali. Quest’ultimo è sicuramente uno dei principali stimoli per la produzione di dopamina all’inizio di una relazione, insieme alla possibilità di trascorrere del tempo insieme con l’altra persona.

Un altro neurotrasmettitore importante nella fase dell’attrazione è la noradrenalina, che ha una funzione eccitante ed è responsabile di quel senso di euforia e di voglia di fare che si hanno durante l’innamoramento. La noradrenalina, insieme ad altre sostanze, è anche responsabile della mancanza di sonno e di fame, altra condizione che interessa quelle persone che dicono di essere talmente innamorate da non riuscire a dormire e a mangiare.

È stato inoltre rilevato che in questa fase si hanno livelli più bassi di serotonina, un neuromodulatore e neurotrasmettitore coinvolto in numerosi processi che regolano l’umore, le capacità cognitive e la memoria. Non è chiaro come influisca sull’attrazione, ma una carenza di serotonina è stata riscontrata nelle persone che soffrono di disturbi ossessivo-compulsivi.

Attaccamento
Le fasi del desiderio e dell’attrazione si incrociano più volte durante l’innamoramento, spesso concorrendo l’una all’altra, anche se come abbiamo visto sono generalmente guidate da sostanze diverse. Col passare del tempo, e se non ci sono stati imprevisti, si aggiunge l’attaccamento, che ha più a che vedere con la costruzione di relazioni durature e profonde. In questa fase gli ormoni più coinvolti secondo le ricerche sono l’ossitocina e la vasopressina.

La produzione dell’ossitocina è stimolata da alcune attività come il sesso, il parto e l’allattamento. Sono evidentemente cose alquanto diverse tra loro, ma hanno in comune il fatto di essere esperienze che portano a un certo attaccamento. È stato osservato che i livelli di ossitocina tendono ad aumentare quando le persone hanno contatti fisici affettuosi, ma anche quando osservano immagini altamente evocative come una fotografia dei propri figli o del proprio partner.

La vasopressina ha una struttura chimica molto simile a quella dell’ossitocina e si ritiene che abbia un ruolo nella formazione dei ricordi, sia a lungo sia a breve termine. Le conoscenze su questa sostanza sono ancora limitate e dibattute, ma nei test su animali è stato rilevato come la sua produzione, che viene facilitata durante l’attività sessuale, avvenga in concomitanza con il mantenimento di comportamenti che favoriscono la stabilità di coppia, con diversi esiti nelle specie monogame e in quelle promiscue.

Da un punto di vista biologico, l’attività sessuale continua ad avere una certa importanza nel mantenere una relazione anche in questa fase, perché ha la capacità di fare da rinforzo all’attaccamento stimolando la produzione di ossitocina e vasopressina. Durante l’innamoramento, desiderio e attrazione favoriscono il successivo processo di attaccamento, ma non sempre la relazione prosegue stabilizzandosi e superando il periodo di transizione che porta a una relativa riduzione della parte più appassionata.

Di solito gli alti livelli di intimità raggiunti, l’impegno reciproco e i ricordi delle esperienze avute insieme aiutano a sostenere la relazione nel lungo periodo, e anche in questo caso gli ormoni sembrano avere un ruolo importante nel rinnovare l’interesse per l’altro a beneficio della coppia. In questo l’ossitocina ha un ruolo importante, perché del resto è coinvolta in tutte le altre “forme” di amore, come quelle che riguardano gli affetti familiari, le amicizie e persino i rapporti con gli animali domestici. L’ormone sembra avere un ruolo nelle relazioni sociali e contribuire alla salute e alla longevità, almeno secondo alcune ricerche.

Uno studio pubblicato nel 2019 ha segnalato come l’ossitocina sia associata a una migliore qualità della vita e a connessioni sociali più salutari tra le persone con o senza depressione, per esempio. Studi di questo tipo sono comunque difficili da organizzare per la grande quantità di variabili coinvolte, senza contare che ciascuno di noi è fatto diversamente e reagisce in modo diverso alle sostanze.

Innamorarsi o provare amore per una persona è qualcosa di estremamente complicato, un misto di chimica ed esperienze difficile da dipanare. In un certo senso può essere considerato anche un vantaggio evolutivo: se ci fosse il modo di “spegnere” le fasi dell’innamoramento con grande efficacia, forse oggi non saremmo qui a ragionare e studiare l’amore e i suoi effetti sul nostro organismo. Come ha scritto il neurologo Parashkev Nachev:

L’amore – come tutti i nostri pensieri, le emozioni e i comportamenti – si basa su processi fisici nel cervello, su una loro interazione molto complessa. Ma dire che l’amore è “solo” chimica del cervello sarebbe come dire che le opere di Shakespeare sono “solo” parole, o che la musica di Wagner è “solo” un insieme di note o che una scultura di Michelangelo è “solo” marmo: manca semplicemente il punto. Come l’arte, l’amore è molto di più della somma delle sue parti.

Nonostante le crescenti conoscenze sugli ormoni, sui meccanismi che instaurano e sul modo in cui attivano parti del nostro sistema nervoso, moltissimi aspetti dell’amore continuano a sfuggire alla scienza a conferma di quante poche cose sappiamo ancora sul funzionamento del cervello umano. Intuiamo alcune caratteristiche dell’innamoramento osservando gli effetti che si producono sul nostro organismo, ma non riusciamo ancora a comprenderne in modo preciso le cause di uno spettacolo d’arte varia che ci accompagna da sempre.