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  • Domenica 2 luglio 2023

La “battaglia del pastificio” in Somalia, trent’anni fa

Fu la prima che coinvolse l'esercito italiano dalla Seconda guerra mondiale: morirono tre soldati e decine di combattenti somali

Somali che si riparano dietro una barricata in fiamme e lanciano sassi contro le truppe italiane dell'ONU (AP Photo/Hansi Krauss)
Somali che si riparano dietro una barricata in fiamme e lanciano sassi contro le truppe italiane dell'ONU (AP Photo/Hansi Krauss)
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Il 2 luglio del 1993 a Mogadiscio, la capitale della Somalia, ci fu un grosso scontro a fuoco tra le truppe dell’esercito italiano e i miliziani somali, durante un’operazione che faceva parte di una missione coordinata dall’ONU per stabilizzare il paese, appena uscito da una lunga dittatura. Lo scontro avvenne vicino al cosiddetto checkpoint Pasta, un posto di blocco allestito nei pressi di un pastificio Barilla abbandonato e da cui la battaglia prende il nome: durò poche ore ma fu molto violento e comportò la morte di tre soldati italiani e il ferimento di altri 22. L’episodio fu particolarmente rilevante anche perché fu la prima battaglia in cui l’esercito italiano venne coinvolto dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Nel 1991 in Somalia il presidente Mohammed Siad Barre venne deposto da una coalizione di forze ribelli, da anni contrarie al regime autoritario che aveva instaurato nel 1969 con un colpo di stato. La sua fuga portò le varie fazioni armate controllate da signori della guerra locali, cioè uomini che disponevano di milizie private, a scontrarsi tra di loro per ottenere il potere.

In conseguenza dei disordini, nel 1992 l’ONU approvò una risoluzione che autorizzava la prima di una serie di operazioni che avevano l’obiettivo di riportare stabilità in Somalia, cercando di favorire la sicurezza locale e di istituire un governo di transizione. Nel corso di varie missioni tra il 1992 e il 1994, l’ONU inviò in Somalia più di 20mila soldati per le operazioni di peacekeeping.

L’Italia partecipò alla seconda fase dell’intervento ONU nel paese, durante la missione UNOSOM II che durò dal 1993 al 1995. Le truppe italiane, che erano il secondo contingente più numeroso dopo quello statunitense, erano stanziate nei dintorni di Mogadiscio. La mattina del 2 luglio alcune di loro avevano il compito di effettuare un’operazione di rastrellamento denominata “Canguro 11” ad Haliwa, un distretto a nord di Mogadiscio. Il rastrellamento consisteva nella ricerca, casa per casa, di depositi di armi appartenenti a Mohamed Farrah Aidid, potente capo di un gruppo miliziano che all’epoca si contendeva il controllo della città con altri guerriglieri locali e che nel 1995 sarebbe diventato presidente della Somalia.

L’operazione iniziò alle 5 di mattina. Due colonne di mezzi militari italiani entrarono nel quartiere di Haliwa da due direzioni differenti: la prima colonna si chiamava “Alpha”, e proveniva dalla zona del Porto Vecchio, la seconda si chiamava “Bravo” ed era partita dalla città di Balad, lontana circa 20 chilometri da Mogadiscio. Il rastrellamento iniziò senza problemi: controlli come questo venivano sempre effettuati con la collaborazione di poliziotti somali e nel tempo il contingente italiano aveva stabilito un buon rapporto con gli abitanti locali.

A un’ora circa dal loro arrivo, i militari trovarono un grosso deposito di armi e, secondo le ricostruzioni dei soldati che parteciparono all’operazione, a certo punto la situazione cambiò improvvisamente. Gli abitanti del distretto uscirono dalle case, apparentemente senza motivo, e andarono in strada iniziando a lanciare sassi contro di loro.

Il generale Bruno Loi, a capo del contingente italiano, fermò quindi l’operazione di rastrellamento e ordinò il ritiro dei soldati. Durante il ritiro, la coda della colonna “Alpha” rimase bloccata da alcune barricate e i militari italiani si ritrovarono nel mezzo del fuoco incrociato dei miliziani di Mohamed Farrah Aidid, che erano appostati nel distretto.

Non è ancora chiaro perché il contingente italiano fu attaccato in un’operazione che era già stata compiuta altre volte con modalità simili. Secondo le ricostruzioni degli storici e in base alle testimonianze di chi vi partecipò, l’attacco sarebbe cominciato perché l’area delle operazioni condotte dalle forze italiane in quel momento era il rifugio di Mohammed Farah Aidid: lui stesso avrebbe ordinato ai miliziani di iniziare gli scontri per permettergli di scappare dalla zona.

Il sergente maggiore Stefano Paolicchi fu il primo militare italiano a morire, colpito alla milza da colpi di mitragliatrice. Il generale Loi ordinò al raggruppamento “Bravo”, che stava già rientrando a Balad, di tornare a Mogadiscio per fornire supporto militare ai mezzi rimasti bloccati vicino al checkpoint Pasta. Con l’arrivo dei rinforzi, anche aerei, gli scontri aumentarono di intensità e divennero sempre più violenti.

Negli scontri morirono altri due militari italiani: il caporale Pasquale Baccaro, dopo che il carro blindato su cui si trovava fu fatto saltare in aria, e il sottotenente Andrea Millevoi, colpito dai miliziani appostati in alto armati di kalashnikov.

Diversi altri militari rimasero feriti, senza che gli elicotteri italiani chiamati per il soccorso riuscissero ad atterrare per portarli via. Intorno alle 12 il generale Loi ordinò la ritirata dei soldati e lo smantellamento del checkpoint Pasta e di altri simili presenti in Mogadiscio, temendo che avrebbero potuto essere l’obiettivo di altri attacchi. Complessivamente nello scontro morirono tre soldati italiani e 22 rimasero feriti. Dalla parte somala si stimano decine di morti e più di cento feriti.

L’intervento dell’ONU in Somalia terminò pochi mesi più tardi, dopo la cosiddetta “battaglia di Mogadiscio” tra le truppe statunitensi e le milizie somale: fu una delle più sanguinose affrontate dall’esercito americano dalla fine della guerra in Vietnam. Nella battaglia morirono 18 soldati americani e più di 300 miliziani, e le polemiche politiche che ne seguirono portarono all’abbandono della missione UNOSOM. La battaglia è stata resa celebre anche dal film Black Hawk Down uscito nel 2001.