Anche i delfini “parlano” ai loro piccoli in modo diverso

Secondo uno studio basato su più di trent'anni di registrazioni, i fischi distintivi delle tursiopi sono più acuti quando rivolti ai figli

Una delfina e il suo piccolo nel Seaquarium di Miami, in Florida, nel 2014 (AP Photo/Wilfredo Lee, LaPresse)
Una delfina e il suo piccolo nel Seaquarium di Miami, in Florida, nel 2014 (AP Photo/Wilfredo Lee, LaPresse)
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Anche i delfini tursiopi, come gli umani, comunicano con i loro neonati con suoni più acuti rispetto a quelli che rivolgono agli adulti. È la conclusione di uno studio scientifico pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences e realizzato registrando per più di trent’anni i suoni prodotti da 19 femmine tursiopi che vivono nella baia di Sarasota, in Florida.

Secondo gli autori dello studio, anche per i tursiopi si può dunque parlare di “maternese”, espressione con cui in ambito accademico si indicano i versi e i suoni, spesso privi di senso compiuto, con cui in molte culture del mondo ci si rivolge ai bambini che ancora non sanno parlare e che si pensa aiuti a creare legami affettivi e ad avvicinare all’uso della lingua. Nel caso degli umani si usa anche la variante “parentese” (dall’inglese parent, genitore), dato che anche i padri possono usare questo tipo di comunicazione.

I tursiopi (Tursiops truncatus) hanno alcune caratteristiche comuni con gli umani: sono animali sociali; anche tra loro il rapporto tra madri e figli è duraturo (nella baia di Sarasota dura tre anni in media, a volte di più); e per tutta la vita possono imparare a produrre nuovi suoni. Come le altre specie di delfini, i tursiopi emettono suoni utilizzando dei sacchi pieni d’aria che si trovano appena sotto lo sfiatatoio, il buco attraverso cui respirano, e che permettono loro di fischiare, in sostanza. Tra i diversi suoni che producono, ciascuno ha un proprio fischio personale, che costituisce una sorta di “nome” per ogni individuo e viene utilizzato nella comunicazione con altri delfini.

Non conosciamo bene il significato e le funzioni di queste comunicazioni, ma per quanto riguarda i fischi personali si pensa che servano per aggiornare gli altri delfini sulla propria posizione. «È come se si dicessero periodicamente “Io sono qui, io sono qui”», ha spiegato ad Associated Press Laela Sayigh, biologa marina del Woods Hole Oceanographic Institution e una degli autori dello studio. E quando a farlo sono le madri rivolte ai loro piccoli il suono è più acuto, stando alle analisi di Sayigh e dei suoi colleghi, che hanno confrontato i fischi personali prodotti dalle stesse delfine nei casi in cui comunicavano con i figli piccoli e in quelli in cui li indirizzavano ad altri adulti. Più nello specifico, la frequenza massima del fischio personale e l’ampiezza di frequenze usata per produrlo sono maggiori quando le tursiopi comunicano con i figli.

Sono state fatte diverse ipotesi sul perché i delfini usino il “maternese”. Una possibilità è che serva per aiutare i piccoli a produrre i suoni, come è stato teorizzato per gli umani. Un’altra è che sia più efficace ad attirare la loro attenzione. Secondo alcune ricerche degli anni Ottanta sarebbe questa la funzione principale del parentese tra gli umani.

Per quanto riguarda questo studio non si possono trarre eccessive conclusioni perché i ricercatori hanno preso in considerazione i soli fischi personali e non le altre forme di comunicazione usate dai delfini: in sostanza non sappiamo se anche quando producono altri suoni le madri tursiopi usino frequenze diverse nel caso in cui si rivolgano ai loro piccoli.

Lo studio comunque potrebbe implicare qualcos’altro di altrettanto interessante per la scienza del comportamento animale: che il maternese sia un prodotto dell’evoluzione convergente, cioè di processi evoluzionistici che si verificano in diverse specie in modo indipendente.

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