Tim ha infine scelto di continuare a negoziare la vendita della rete con il fondo KKR, escludendo per il momento CDP

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)
(Cecilia Fabiano/ LaPresse)

Giovedì sera Tim ha comunicato di aver scelto di continuare le trattative in esclusiva per la vendita della sua rete infrastrutturale con il solo fondo statunitense KKR, la cui offerta è stata ritenuta dalla società «preferibile in termini di eseguibilità e relativa tempistica, nonché superiore rispetto all’offerta concorrente» di Cassa Depositi e Prestiti – ossia l’istituto finanziario controllato dal ministero dell’Economia – insieme al fondo australiano Macquarie.

La decisione arriva dopo mesi di offerte al rialzo da parte dei due offerenti – il fondo KKR da una parte e CDP e Macquarie dall’altra – per l’acquisto di tutta la rete infrastrutturale di Tim, che comprende gran parte dell’insieme di strutture che in Italia permettono di parlare al telefono e di usare la connessione internet. Tra i motivi per cui Tim avrebbe preferito l’offerta di KKR c’è sicuramente quello economico: secondo le ricostruzioni dei giornali KKR aveva offerto 23 miliardi di euro, mentre CDP-Macquarie 19,3. In più la scelta di CDP-Macquarie avrebbe probabilmente comportato alcune lungaggini. Cassa Depositi e Prestiti possiede anche partecipazioni in altre aziende delle telecomunicazioni, anche direttamente concorrenti con alcune controllate di Tim. La prospettiva di una eventuale acquisto da parte di CDP avrebbe richiesto con ogni probabilità una pronuncia del Commissario europeo per la concorrenza, per valutare che non ci siano violazioni delle regole antitrust: questo avrebbe allungato molto i tempi, mentre l’offerta di KKR sarebbe efficace da subito.

L’amministratore delegato di Tim Pietro Labriola dovrà ora gestire la fase delicata di trattative con KKR per stabilire i dettagli pratici della cessione della rete. La trattativa sarà complicata da due questioni: la prima è che la rete ha un enorme interesse nazionale, quindi l’operazione potrebbe essere condizionata dal governo attraverso il meccanismo del “golden power”, ossia quell’insieme di regole per cui il governo può bloccare o influenzare certe operazioni societarie per tutelare l’interesse nazionale; la seconda riguarda il socio di maggioranza di Tim, il gruppo francese delle telecomunicazioni Vivendi, che è contrario a vendere la rete a una cifra inferiore ai 30 miliardi di euro.

– Leggi anche: A che punto siamo con i tentativi di acquistare la rete di Tim

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