Com’è fatta Milano 2

Il quartiere costruito ai margini di Milano da Silvio Berlusconi, spesso citato in questi giorni, raccontato nella newsletter del Post "Colonne"

Il lago di Milano 2, con la piazzetta centrale sullo sfondo (Martina Pagani/Il Post)
Il lago di Milano 2, con la piazzetta centrale sullo sfondo (Martina Pagani/Il Post)
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La morte di Silvio Berlusconi, lunedì 12 giugno, ha portato a parlare nuovamente della sua lunga storia imprenditoriale, iniziata negli anni Sessanta con attività legate per lo più al settore immobiliare. La costruzione di Milano 2 fu una delle prime operazioni immobiliari di grande successo per Berlusconi: è un quartiere che fu costruito al confine con Milano negli anni Settanta, immaginato come una sorta di “città ideale” per la borghesia della città, e che viene spesso citato come esempio dello stile imprenditoriale di Berlusconi.

Su Colonne, la newsletter del Post dedicata a Milano che esce ogni venerdì, abbiamo raccontato come sia fatta Milano 2 e come se la passa oggi quasi 50 anni dopo la sua costruzione. A Colonne ci si iscrive qui.

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Poco fuori Milano, nel comune di Segrate, c’è un quartiere che si chiama Milano 2, costruito negli anni Settanta da Silvio Berlusconi, morto lo scorso lunedì all’età di 86 anni e all’epoca imprenditore noto soprattutto nel settore immobiliare. Segrate è a est di Milano, e Milano 2 è il suo quartiere più occidentale, tra il parco Lambro e l’ospedale San Raffaele.

Il quartiere venne costruito tra il 1970 e il 1979 dalla Edilnord, azienda di proprietà di Berlusconi, che aveva comprato quel terreno dal conte Leonardo Bonzi e che aveva stretto rapporti con politici locali e nazionali di centrodestra e centrosinistra, negoziando con loro per potersi muovere con più libertà. Tra il 1980 e il 1991 la Edilnord costruì anche il quartiere Milano 3, nel territorio del comune di Basiglio, a sud di Milano, molto simile a Milano 2 ma assai più estesa: occupa circa 14 chilometri quadrati, quasi cinque volte l’estensione di Milano 2.

Milano 2 nacque per «dare alle persone che ci abitano la sensazione di essere in vacanza» dice Enrico Hoffer, uno degli architetti che progettò il quartiere. Una cittadina in grado di essere autonoma, con ampi spazi verdi, palazzine di cinque o sei piani al massimo, un laghetto e percorsi pedonali e ciclabili separati da quelli per le auto. Berlusconi voleva creare un luogo tranquillo e silenzioso in cui attirare la ricca borghesia milanese, spaventata da una Milano caotica, inquinata e pericolosa, e disponibile a pagare prezzi più alti per i servizi che il quartiere forniva: una certa tranquillità, minore inquinamento, alcuni tipi di negozi sotto casa, le guardie armate disponibili 24 ore su 24. Per questo Milano 2 è stata spesso accusata di essere un “ghetto per ricchi”.

Bandiere a mezz’asta all’NH Hotel di Milano 2 dopo la morte di Silvio Berlusconi (Martina Pagani/Il Post)

A Milano 2 ci sono tre tipi di residenze: quelle a torre, i serpentoni più bassi con porticati e negozi, e gli edifici a forma di C o di L, i più riconoscibili, di colore rosso, con un giardino centrale e le terrazze fiorite. In mezzo al quartiere, dove c’è un laghetto molto curato, c’è una piazza centrale che è rimasta la promessa non realizzata del posto: per Berlusconi doveva essere un polo commerciale con tanti negozi o ristoranti, ma oggi è semivuota. Su quella piazza però venne aperta la redazione della Telemilanocavo: una circostanza favorita dal fatto che a Milano 2 arrivavano le prime televisioni via cavo, perché le antenne sui tetti erano considerate antiestetiche. All’inizio Telemilanocavo parlava solo di Milano 2, dalle partite di calcio alla messa in parrocchia: nel 1978 – quando si chiamava già Telemilano – fu però comprata da Berlusconi, che due anni dopo la fece diventare Canale 5, dando sostanzialmente inizio alla propria carriera mediatica.

Un altro dei punti cardine del progetto di Milano 2 era la separazione del traffico automobilistico da quello pedonale e ciclistico: effettivamente ancora oggi i percorsi su cui passano pedoni e biciclette sono costruiti a un livello stradale superiore rispetto a quello delle auto, si raggiungono con delle scale e sono collegate tra loro da ponti sotto i quali passano le strade per le auto e gli autobus, che non hanno i marciapiedi.

Il “biscione” simbolo di Canale 5 e della Fininvest nasce come stemma di Milano 2 (Martina Pagani/il Post)

Milano 2 è l’esempio da manuale di una gated community, «una comunità isolata che vuole essere protetta e autosufficiente, in modo da garantire uno standard di vita alto a certe classi sociali», spiega Maurizio Carones, consigliere della Fondazione dell’Ordine degli architetti di Milano. L’idea delle comunità chiuse è ormai superata, perché le città sono sempre più attrattive. A Milano, in particolare, l’idea di far abitare fuori dalla città le persone più ricche non sembra aver avuto particolare successo.

Milano 2 oggi è un quartiere verde e tranquillo, ma con poco da fare: ci sono un paio di bar e qualche ristorante, che chiudono molto presto. Non ci sono eventi culturali, pub, cinema o discoteche, che i residenti di Milano 2 vanno a cercare a Milano, e non a Segrate: «fino a qualche anno fa i residenti di Milano 2 non sapevano nemmeno dove fosse la stazione di Segrate, e il rapporto con Milano era decisamente più forte» spiega Gianluca Nardone, che ha vissuto nel quartiere per vent’anni, tra il 1975 e il 1995, e che poi come tanti suoi coetanei ha deciso di andarsene. «Qualcuno non se lo poteva permettere, qualcun altro era stanco del senso di accerchiamento e di pericolo che viene dall’esterno tipico delle gated community». Secondo diversi urbanisti le comunità di questo tipo, proprio per la loro chiusura, hanno la tendenza a cercare nemici esterni: nel caso di Milano 2 negli anni sono stati l’espansione dell’ospedale San Raffaele, la presenza del Centro Islamico a sud del quartiere e i cattivi odori che vengono dalla vicina ricicleria dell’AMSA.