Cosa succede ai Campi Flegrei

Negli ultimi due mesi sono aumentati i terremoti che dal 2005 accompagnano un sollevamento del suolo, ma non c'è da preoccuparsi

Un geologo ai Campi Flegrei nel 2017 (Lena Klimkeit/dpa, ANSA)
Un geologo ai Campi Flegrei nel 2017 (Lena Klimkeit/dpa, ANSA)
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Domenica 11 giugno, alle 8:44 del mattino, c’è stato un terremoto di magnitudo 3.6 che ha avuto origine a 3 chilometri di profondità sotto ai Campi Flegrei, la grande area vulcanica a nord-ovest della città di Napoli e del suo golfo. Non ci sono stati danni nei centri abitati vicini, a partire da Pozzuoli, ma è stato comunque un terremoto degno di nota perché insieme a un altro della stessa magnitudo registrato nel marzo del 2022 è stato il più forte nella zona dal biennio 1982-1984, quando in alcuni mesi ci furono più di 1.200 terremoti con magnitudo fino a 4.

Come ha spiegato il progetto di divulgazione scientifica sui social Il Mondo dei Terremoti, il terremoto di domenica si è aggiunto a una serie che era iniziata nel 2005 ed è dovuta al progressivo sollevamento del suolo dell’intera area vulcanica. Negli ultimi mesi i terremoti sono stati particolarmente frequenti: ad aprile sono stati 675, a maggio 661. Per la maggior parte si è trattato di terremoti deboli e poco percettibili dalle persone, ma sono comunque un segno dell’attività geologica in corso.

I Campi Flegrei non hanno un unico cono vulcanico principale, come il vicino Vesuvio, ma sono fatti di vari centri vulcanici che si trovano all’interno e attorno a una zona depressa chiamata caldera. La caldera si è creata in passato con il collasso del tetto di un grande serbatoio di magma, dopo che questo stesso magma era fuoriuscito nel corso di due eruzioni, 40mila e poi 15mila anni fa. Successivamente la zona è via via sprofondata. Negli ultimi 5.500 anni ci sono state più di 27 eruzioni: l’ultima fu nel 1538 e da allora l’attività vulcanica è proseguita solo con fumarole e acque termali. L’intera zona occupa un’area di circa 12 chilometri per 15, che comprende i comuni di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto e Giugliano, oltre a una parte di Napoli.

I terremoti registrati nel mese di maggio 2023 nei Campi Flegrei (Osservatorio vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia)

Nel corso del Novecento il suolo della caldera ha subito in tre periodi un processo di sollevamento, che ha riguardato in particolare Pozzuoli, dove si è alzato anche di 3 metri e mezzo. I due periodi di sollevamento furono tra il 1950 e il 1952, tra il 1969 e il 1972 e tra il 1982 e il 1984; successivamente c’è stato un nuovo graduale abbassamento, interrotto a partire dal 2004 con il sollevamento ancora in corso. In questi 18 anni il suolo si è sollevato anche più di un metro, ma in generale il processo è stato più lento e ha causato un minor numero di terremoti rispetto agli anni Settanta e Ottanta.

Ci sono varie teorie sulle ragioni del sollevamento, che nel gergo degli scienziati che studiano i Campi Flegrei è detto “bradisismo”. Quella principale è che il magma che si trova in profondità starebbe rilasciando grandi quantità di vapor acqueo che a sua volta starebbe riscaldando le rocce che dividono lo stesso magma dal suolo, creando delle deformazioni del terreno, causando i terremoti e un’attività più intensa delle fumarole.

Il 9 giugno un gruppo di scienziati internazionale di cui fanno parte anche dei membri dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) ha pubblicato uno studio sulla rivista Communications Earth and Environment a proposito della possibilità che i movimenti della caldera arrivino a una rottura della sua crosta, cioè dello strato più superficiale. Per quello che si sa non si può escludere del tutto che nel processo sia coinvolto del magma, ma per il momento non c’è di fatto nessuna ragione per pensare che ci sarà un’eruzione vulcanica per come la si intende generalmente, cioè con fuoriuscita di lava.

Lo stato di allerta per la Protezione Civile è “giallo” per via dei terremoti, non perché si tema un’eruzione.