I Simpson si sono ripresi

Dopo un declino durato oltre vent'anni le ultime stagioni stanno sorprendendo positivamente fan e critici: il merito è dell'attuale showrunner

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Lo scorso mese Kotaku, una rivista online specializzata in videogiochi e cultura pop, ha pubblicato un elenco dei «peggiori episodi di sempre dei Simpson», un tipo di lista piuttosto diffuso e nella quale quasi mai finiscono episodi provenienti dalle prime nove stagioni della serie. È infatti opinione condivisa tra fan e critici che la serie animata più famosa e apprezzata al mondo abbia avuto un “periodo d’oro”, corrispondente più o meno alle stagioni fino all’ottava, seguito da un lento declino, diventato assai vistoso dalla venticinquesima in poi. Ma sembra che qualcosa stia cambiando, e nelle stagioni più recenti ci sono stati diversi episodi che hanno stupito fan e critici in termini di originalità e capacità di divertire.

Secondo Jesse David Fox, critico della rivista New York, la serie «è tornata a essere bella», riuscendo a superare il lungo momento di crisi che tra i fan viene anche chiamato «l’era oscura dei Simpson». Il principale responsabile di questo cambiamento è Matt Selman, scrittore e produttore statunitense che a partire dal 2011 (con la ventitreesima stagione) ha cominciato a fare lo showrunner di alcuni episodi della serie. Per showrunner si intende la persona che gestisce in prima persona le operazioni relative a una serie televisiva o un suo singolo episodio, seguendo ogni fase della sua produzione (a volte ci si riferisce a questa figura come a “produttore esecutivo”, ruolo che però spesso è distribuito tra più persone).

Selman iniziò curando due episodi a stagione, che finivano spesso per essere tra i migliori: «gli affezionati sanno che c’era qualche grande episodio anche nell’Era Oscura, la maggior parte dei quali aveva Matt Selman al timone» ha scritto Fox. Di anno in anno il numero di puntate affidate a Selman è aumentato gradualmente fino a quando, nel 2021 (con la trentatreesima stagione), si è trovato sostanzialmente a capo della serie. Secondo alcuni critici, la stagione che ha cambiato il corso della serie è stata proprio questa, in cui sono comparsi episodi particolarmente ispirati in cui la satira sociale non risultava datata né forzata, com’era successo in molti casi negli anni precedenti.

Tra le puntate più riuscite c’è il doppio episodio “A Serious Flanders” (in italiano “Un Flanders serio”), riuscita parodia di Fargo, serie tv a sua volta ispirata all’omonimo film dei fratelli Coen (il titolo era una citazione di un altro film dei fratelli Coen, A serious man). Le vicende dell’episodio si svolgono al di fuori del canone ufficiale della serie, e cioè non hanno conseguenze sulla linea narrativa principale (se un personaggio viene ucciso, nel resto della serie rimane in vita, come avviene tradizionalmente negli speciali di Halloween dei Simpson). “Un Flanders serio” è stato apprezzato anche per i suoi elementi metanarrativi, perché la storia viene presentata come fosse una serie televisiva a sé stante: all’inizio della puntata viene mostrata la schermata di una piattaforma per lo streaming (che in questa caso si chiama Simpflix, un evidente richiamo a Netflix), dal cui catalogo viene selezionato proprio “A Serious Flanders”, a ribadire l’omaggio a un certo tipo di dramma televisivo in voga negli ultimi anni.

– Leggi anche: Il declino dei Simpson

In altri episodi della stagione la serie ha affrontato il tema del rapporto con il proprio corpo e l’accettazione di sé (“La pancia di Lisa”) o quello dell’omosessualità di Waylon Smithers, assistente di Mr. Burns (“Ritratto del lacchè in fiamme”), che aveva ufficialmente detto di essere gay in una puntata della ventisettesima stagione, dopo quasi trent’anni in cui comunque il suo orientamento sessuale era stato molto esplicito.

A confermare la speranza di alcuni critici su un possibile ritorno dei Simpson è stata la stagione seguente, che si è appena conclusa negli Stati Uniti (in Italia sarà disponibile da settembre). Sin dalla prima puntata, una parodia delle assurdità della community di utenti internet e della rilevanza delle teorie cospirazioniste, la serie è sembrata in grado di commentare gli eventi di attualità senza risultare fuori luogo o in ritardo rispetto all’incessante ciclo di notizie contemporaneo.

A sorprendere di più è stato però il terzo episodio della stagione, “Lisa, la boy scout”, che inizia come il più classico degli episodi dei Simpson (Bart si prepara a un raduno scout e si arrabbia quando scopre che anche Lisa vi parteciperà) ma viene presto dirottato da due hacker senza volto che prendono il controllo della puntata trasmettendo filmati “proibiti”. L’episodio diventa una collezione di clip inedite e bislacche, in cui Bart torna indietro nel tempo al primo episodio della serie o in cui si scopre che Lenny – storico amico di Homer – è in realtà frutto dell’immaginazione di Carl. Il sito Den of Geek, specializzato in cultura pop, l’ha definito «un classico istantaneo».

“Lisa, la boy scout” è una variazione su un format già esplorato in una delle puntate più celebrate della serie, “22 cortometraggi di Springfield” (della settima stagione), che racconta una giornata tipo della città di Springfield, in cui sono ambientati i Simpson, con tante brevi scene su altrettanti personaggi, spesso secondari, in un racconto corale molto riuscito. Anche “La paura fa novanta”, ovvero lo speciale di Halloween incluso come da tradizione in ogni stagione, è piaciuto particolarmente ai critici: per la prima volta si è sviluppato in due puntate, la prima delle quali è una parodia di It di Stephen King (intitolata “Not It”) in cui il ruolo del clown Pennywise è affidato a una versione horror di Krusty il Clown.

La pandemia ha avuto un ruolo nel processo di svecchiamento della serie. A partire dal 2020 Selman ha rinnovato la squadra di autori e ha cambiato il modello di lavoro per dare più indipendenza e autorità ad alcuni sceneggiatori di lungo corso. «La proposta era semplice», ha spiegato Selman: «Aiutatemi a fare quello che stiamo già facendo ma ora fatelo più voi». Il processo di rinnovamento ha coinvolto anche gli stessi personaggi della serie: nel 1989 la famiglia Simpson era nata per raccontare le disfunzionalità della famiglia tipo statunitense dell’epoca, piccolo borghese e perfettamente a suo agio in una società materialista e consumistica. Più di trent’anni dopo, con l’aggravarsi delle diseguaglianze sociali, quello stile di vita con tutti i suoi difetti risulta un modello fin troppo agiato per molti statunitensi e «non più raggiungibile», come notato dalla rivista The Atlantic.

Alla squadra di autori è stato quindi chiesto di aggiornare i riferimenti sociali ed economici: «Homer e Marge, perpetuamente trentenni, ora vivono nel 2023, quindi sono genitori della generazione dei millennial e devono affrontare i problemi dei genitori millennial», ha scritto Fox. Anche il ruolo di Bart è stato rivisto: nei suoi primissimi anni, la serie dovette buona parte del successo al personaggio, ritenuto rivoluzionario per l’epoca, di un giovane ragazzo ribelle, armato di fionda e sempre pronto a commenti sagaci. Ma gli anni della cosiddetta “Bartmania” passarono presto, lasciando il passo a un nuovo canone in cui era Homer – sempre più distratto e scemo – a prendere il centro della scena. Gli autori stanno lavorando anche per liberare il personaggio di Bart da un ruolo ormai riduttivo di giovane teppista. Nel corso dell’ultima stagione, dopo l’ennesimo scherzo teso dal figlio, Homer e Marge si ritrovano a immaginare come sarebbe stata la loro vita se non fosse mai nato. L’esperienza li porta però a rivalutare le particolarità del loro figlio, invece di augurarsi di averne avuto uno più calmo e obbediente.

A stupire alcuni critici non sono stati tanto i temi trattati nelle ultime serie di per sé, ma la profondità con cui vengono raccontati. Nel corso della sua “Era Oscura”, la serie aveva provato spesso a interpretare il presente attraverso la satira e la parodia, dimostrandosi però poco in grado di proporre analisi incisive o intuizioni particolarmente memorabili. Questa lunga fase è anche detta “Zombie Simpsons”, un’espressione diffusa da un forum dedicato alla serie con cui si voleva sottolineare la sostanziale differenza di qualità tra le stagioni classiche e quelle successive, che risultavano ad alcuni fan senza ispirazione e senza vita. Da anni si discute dei confini che dovrebbe avere la fase “Zombie” dei Simpson: molti fan indicano la fine dell’era “classica” con le stagioni tra la nona e la tredicesima, a seconda dei casi.

In particolare, una condivisa teoria individua il momento del cosiddetto “salto dello squalo”, quello cioè in cui una serie smette di essere bella e originale e inizia a peggiorare, con il secondo episodio della nona stagione, andato in onda il 28 settembre 1997 con il titolo di “Il direttore e il povero”. Quello in cui si scopre che il direttore Skinner è in realtà un impostore che dopo la guerra in Vietnam assunse l’identità di un suo commilitone che credeva morto.

Il declino della serie è stato graduale ma continuo nel corso degli anni, a causa dell’abbandono di alcuni dei suoi autori più importanti, come John Swartzwelder, Larry Doyle e Conan O’Brien, e del sempre minore coinvolgimento dei tre creatori dello show (oltre a Matt Groening, anche Sam Simon e James L. Brooks). Secondo un altro sito specializzato in cultura pop, Screen Rant, non ci sono però speranze che la serie possa tornare ai suoi fasti iniziali, «nonostante molti episodi della trentatreesima stagione siano sorprendentemente riusciti». Più in generale, sarebbe probabilmente impossibile oggi per una serie raggiungere il livello di qualità e di influenza culturale che ebbero le prime stagioni dei Simpson, che furono quello che furono anche perché furono la prima serie animata per adulti di massa, e diventarono un riferimento per tutta la comicità televisiva che venne dopo.

A distanza di più di trent’anni dalla sua nascita, I Simpson continua a occupare un ruolo unico nel panorama culturale e televisivo statunitense, e non solo, anche grazie alla vendita di prodotti collegati alla serie. Nel 2013 la rivista Variety valutò il giro d’affari totale legato al merchandising in circa 4,6 miliardi di dollari: anche per questo la 20th Century Fox, società produttrice, ha continuato a puntare sulla serie nonostante il periodo di crisi che attraversava. Nel 2019 l’azienda fu acquisita da Disney, che si preparava a introdurre il suo servizio streaming Disney+. Da allora la serie è disponibile sulla piattaforma, dove anche grazie al suo enorme catalogo (più di settecento episodi disponibili in tutto), è l’ottavo show più visto tra quelli on demand negli Stati Uniti, con una crescita del 24% nel corso delle ultime due stagioni, ed è il quarto titolo più visto di Disney+ se si contano le ore di streaming globali.