A dieci anni dalla chiusura Malagrotta è ancora un problema ambientale

Sono stati stanziati da poco i fondi per mettere in sicurezza l'enorme discarica romana, ma anche in futuro la zona sarà legata ai rifiuti

di Valerio Clari

Uno dei TMB per il trattamento dei rifiuti indifferenziati di Malagrotta nel 2020 (AP Photo/Andrew Medichini)
Uno dei TMB per il trattamento dei rifiuti indifferenziati di Malagrotta nel 2020 (AP Photo/Andrew Medichini)
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A vederla da lontano sembra un’innocua collinetta erbosa con qualche arbusto, come molte altre della zona della Valle Galeria, area agricola all’interno del Comune di Roma che ha attraversato un’intensa industrializzazione a partire dagli anni Sessanta. Osservando un po’ meglio si notano alcune strutture metalliche: sono pozzi che servono per estrarre il percolato, il liquido inquinante prodotto naturalmente dai rifiuti umidi. La collina infatti è parte della discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa e chiusa dal 2013. Si trova nel Municipio XII, zona ovest della capitale, non lontano da Fiumicino.

Sono passati dieci anni da quando l’ultimo camion portò qui i rifiuti per lasciarceli. I camion arrivano ancora, numerosi, ma per altri motivi. Sul sottile strato di terra con cui sono stati ricoperti i rifiuti la vegetazione è tornata a crescere. La collinetta è un cumulo di spazzatura di 90 metri di altezza, che si estende per 244 ettari di terreno, quasi 2,5 chilometri quadrati. Per dirla con il consueto paragone dei campi da calcio, sarebbero oltre 300, uno vicino all’altro. Dopo la chiusura, per dieci anni la necessaria messa in sicurezza è stata rinviata e poi mai effettuata.

Malagrotta era una cava dismessa, di fatto un’enorme buca che per quarant’anni aveva ricevuto oltre 4.000 tonnellate al giorno di rifiuti indifferenziati di Roma e da alcuni comuni limitrofi. Era una soluzione relativamente a buon mercato per il problema dei rifiuti della capitale, però con risvolti ambientali molto gravi: il problema principale di questa discarica era che ci finivano i rifiuti non trattati, «tal quale» come si dice in gergo, contravvenendo alla normativa europea. Avrebbe dovuto chiudere già nel 2007: per la mancata soluzione del problema Malagrotta l’Italia e la Regione Lazio erano state sanzionate dall’Unione Europea e rischiavano nuove sanzioni.

La buca poi era stata riempita ed era salita oltre il livello del terreno, costituendo una serie di colline. All’interno della discarica si poteva circolare su strade pensate per auto e camion, e per girare intorno all’area bisognava (e bisogna ancora) percorrere oltre cinque chilometri. Il perimetro era circondato da paratie isolanti, non sempre alte a sufficienza, e sopra i cumuli di rifiuti era stata rovesciato uno strato di terra per limitare i miasmi: è su quella terra che è cresciuta l’erba, soprattutto negli ultimi dieci anni in cui la discarica è stata chiusa.

A inizio marzo sono stati infine stanziati dal governo i 249 milioni necessari per due diverse operazioni che dovrebbero «mettere in sicurezza» Malagrotta nel giro di quattro anni, con finanziamenti europei del Fondo per lo sviluppo e la coesione. Per la realizzazione di queste operazioni, tecnicamente complesse vista l’estensione dell’area, è stato nominato un commissario unico, il generale dei Carabinieri Giuseppe Vadalà.

Una mappa degli impianti e delle strutture (Comitato Valle Galeria Libera)

L’acqua piovana filtrando nel terreno e nei rifiuti accumulati crea percolato, un liquido inquinante che contamina il terreno e che è necessario contenere, perché può fuoriuscire e contaminare i fiumi. Il Rio Galeria e il Rio Santa Maria Nuova scorrono vicino all’area della discarica, il secondo poi diventa affluente del primo, che sfocia nel mare. Lungo il corso del fiume ci sono campi, allevamenti di bovini, persino un maneggio.

Gli stessi rifiuti accumulati producono anche biogas, che opportunamente immagazzinato diventa combustibile e può essere sfruttato o rivenduto, mentre se bruciato per eccedenze produce direttamente CO2 e altri gas.

La prima parte della messa in sicurezza, per cui devono ancora essere istituite le gare di appalto, prevede di chiudere l’area con una copertura provvisoria, detta capping, per evitare che nuove piogge vengano a contatto con i rifiuti. La prima fase prevede anche che i pozzi, già presenti, diventino 2.800 ed estraggano tutto il percolato e il biogas. Secondo le ultime valutazioni sono presenti 10 milioni di metri cubi di percolato e 20 milioni di metri cubi di biogas, prodotto dai rifiuti organici. Il percolato estratto verrà trattato, condensato eliminando il 90 per cento di acqua, e il residuo ottenuto verrà smaltito.

La seconda fase prevede invece che l’area venga circondata da un cosiddetto polder, un sistema di paratie plastiche lungo tutto il perimetro che isolino la discarica ed evitino contaminazioni dei terreni circostanti. Ne esiste già uno lungo in totale 5,8 chilometri, verrà ampliato a 6,3 chilometri, chiudendo un’area più ampia. Quando una discarica è attiva viene isolata dal resto dei terreni per evitare contaminazioni, quando viene chiusa l’effettivo isolamento andrebbe verificato e dove necessario migliorato, prima della messa in sicurezza definitiva.

Massimo Prudente è presidente del Comitato Valle Galeria Libera e ha seguito, in tutti questi anni, gli sviluppi legati alla discarica: «Il perimetro del polder va ampliato perché il precedente, in corrispondenza di due avvallamenti, era a rischio di fuoriuscita di percolato in caso di forti piogge». Il nuovo sarà alto 35 metri, una volta completato seguirà un “capping” definitivo con terre, materiali argillosi e tecnici.

A quel punto (nel 2027 se le previsioni verranno rispettate) il sito sarà in sicurezza, almeno per quel che riguarda i rifiuti accumilati dal 1974 al 2013. I piani a lunga scadenza prevedono di restituire l’area alla cittadinanza con un parco pubblico, ma questa parte di progetto è meno concreta, anche perché formalmente l’area è ancora di proprietà privata. La discarica di Malagrotta è di Manlio Cerroni, imprenditore 96enne che per la gestione della discarica e l’accumulo di percolato venne arrestato nel 2014, assolto nel 2018 e poi nuovamente rinviato a giudizio nel 2022, in un’altra inchiesta. La sua azienda, la E. Giovi, dal 2018 è in amministrazione giudiziaria, quel provvedimento che viene deciso quando una parte del patrimonio di una società viene sequestrato.

L’altro motivo per cui è difficile immaginare un parco urbano a Malagrotta è che lì intorno abbondano centri di smaltimento e trasferimento rifiuti, in attività, andati a fuoco o dismessi, nonché impianti industriali più o meno inquinanti. In sostanza, nonostante la chiusura della discarica, l’area di Malagrotta è ancora un polo importantissimo per il ciclo di smaltimento dei rifiuti di Roma.

Maria Teresa Cipollone è un’altra attivista e residente in un’area che ha circa 30.000 abitanti, in aumento nonostante la cattiva fama. E racconta: «La prima raffineria si installò qui nel 1965, poi seguirono bitumifici e aziende che immagazzinavano gas nelle bombole, ora abbiamo un enorme deposito di carburanti, che rifornisce gli aerei di Fiumicino; un inceneritore di rifiuti ospedalieri, fermo dal 2014 dopo un allagamento; un gassificatore mai davvero entrato in funzione perché pericoloso; siti per la trasferenza di rifiuti e due TMB. Uno è quello andato a fuoco un anno fa».

I TMB, impianti di trattamento meccanico biologico, sono essenziali per separare e trattare i rifiuti indifferenziati che a Roma costituiscono ancora più del 50 per cento di quelli totali. Separano la cosiddetta frazione umida (i rifiuti organici) da quella secca (metalli, carta, plastiche e vetro), processo che comunque non è conclusivo del ciclo e prevede ulteriori trattamenti per il riciclo o un deposito in discarica. Poco meno di un anno fa uno dei due TMB presenti in zona è andato a fuoco, per due differenti incendi scoppiati in due parti della struttura: l’inchiesta è aperta, le cause del rogo non sono ancora state chiarite. Entrambi gli impianti si trovano nell’area di proprietà di Cerroni.

Nelle immagini aeree l’incendio del TMB di Malagrotta il 16 giugno 2022 (ANSA/EMANUELE VALERI)

Il rudere è visibile da una delle strade che attraversano la valle, in mezzo agli arbusti, così come si vede bene la ciminiera dell’inceneritore dei rifiuti ospedalieri, fermo da quasi dieci anni e rimasto così come lo aveva lasciato un’inondazione. Alcuni falchi pellegrini hanno un nido su una delle mini-piattaforme simili a balconcini che intervallano la scalinata verso la sommità delle ciminiera: sono lì dal 2020, si può vedere la nidiata in webcam.

Emanuela D’Antoni, che qui ha casa e terre, viaggia per queste strade con un’auto su cui spiccano grandi adesivi per battaglie ambientaliste, con una macchina fotografica sempre al collo per scattare foto agli uccelli. Lungo i suoi percorsi le capita spesso, a ogni ora del giorno, di incrociare camion che trasportano rifiuti: «Il fatto è che qui siamo a poche centinaia di metri dalla riserva naturale statale Litorale romano e da un’area dove risiedono molte specie di uccelli», dice. D’Antoni si riferisce alle IBA, che sta per Important Bird and Biodiversity Areas, zone ritenute importanti per la conservazione delle specie aviarie e selezionate dall’organizzazione BirdLife International.

Ponte Malnome è a cinque minuti da Malagrotta. Lì ci sono alcune aree di proprietà dell’AMA, l’azienda romana che si occupa dei rifiuti, destinate alla cosiddetta trasferenza: parte della spazzatura indifferenziata raccolta in città viene convogliata qui, impacchettata in materiale isolante che ne faciliti il trasporto e poi entro 48 ore spedita verso i centri di smaltimento. Inizialmente arrivavano 300 tonnellate di indifferenziato al giorno, per una soluzione temporanea decisa dall’ex sindaca Virginia Raggi che doveva durare 180 giorni. Sono passati quattro anni e oggi arrivano 900 tonnellate al giorno. Ogni 24 ore sono 40-50 i camion di rifiuti che arrivano, e altrettanti quelli che ripartono.

Anche se due anni fa è stata bloccata l’apertura di un’altra discarica nella cava del Monte Carnevale, a meno di un chilometro in linea d’aria da Malagrotta, la gestione ambientale della zona resta un problema specialmente per la popolazione locale, e lo sarà anche dopo la messa in sicurezza della discarica. Le persone residenti in zona raccontano di forti odori, miasmi, depositi di polvere nera su finestre e balconi, e lamentano una diffusione superiore al normale di malattie, secondo loro collegate alla vicinanza degli impianti e della discarica.

Nel 2001 l’area venne sottoposta a una valutazione del Servizio sanitario regionale in collaborazione con l’Agenzia regionale di protezione ambientale (ARPA) del Lazio: il rapporto finale diceva che erano «stati riscontrati, sia per la mortalità e soprattutto per le ospedalizzazioni, alcuni eccessi di rischio degni di nota, in particolare per malattie respiratorie, cardiovascolari e per alcune forme tumorali», ma non vennero individuati rapporti di causa inconfutabili.

Nonostante tutto comunque la popolazione di Valle Galeria è in crescita. Nell’area non c’è una piazza, non ci sono cinema, né campi sportivi o biblioteche. Il bar è uno, per i ristoranti bisogna dirigersi altrove. Eppure stanno crescendo le aree residenziali, anche di edilizia convenzionata.

Il futuro di questa zona avrà a che fare con i rifiuti anche se il piano di messa in sicurezza della discarica verrà portato a termine. Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, vuole costruire un termovalorizzatore a Santa Palomba, nell’estrema periferia sud, e altri quattro nuovi impianti. Uno è un biodigestore anaerobico da 100mila tonnellate l’anno, un impianto che converte i rifiuti organici domestici e gli scarti agricoli che verrà costruito a Casal Selce, a cinque minuti di auto da Malagrotta.