Ad Ankh si diventa subito devoti

Nel senso che si interpretano divinità egizie che non vogliono essere dimenticate e che è uno dei migliori giochi recensiti da Consumismi fin qui

di Viola Stefanello

(il Post)
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Kamchatka è una rubrica mensile di Consumismi in cui proviamo giochi da tavolo per conto vostro e vi diciamo se ci siamo divertiti, cosa ne pensiamo e a chi potrebbero piacere. Non parleremo di grandi classici come Risiko!, ma l’abbiamo chiamata “Kamchatka” perché speriamo di conquistare voi come tutti i giocatori hanno fatto almeno una volta con il più famoso dei suoi territori.

Nel tempo, alcuni giochi da tavolo sono entrati talmente a far parte della cultura popolare da rappresentare per moltissime persone l’intera categoria. Uno di questi giochi è senza dubbio Risiko!, a cui non a caso è dedicato il titolo di questa rubrica. Versione italiana di un gioco francese uscito nel 1957 col nome di La conquête du monde, prende il nome dall’edizione tedesca, la maggior parte delle regole da quella francese e alcuni appunti nel manuale dall’edizione angloamericana. In comune con tutte le altre versioni ci sono i materiali che l’hanno reso immediatamente riconoscibile: i “carriarmatini” colorati e il tabellone che rappresenta una versione stilizzata e molto semplificata di una mappa del mondo.

Per molti i carri-armatini di Risiko! sono soltanto dei piccoli pezzi di plastica colorata che rappresentano enormi armate pronte a invadere territori altrui. Per gli appassionati intenti a catalogare i loro giochi preferiti sulla base di etichette più o meno rigide, invece, gli stessi piccoli pezzi di plastica fanno di Risiko! l’illustre antenato di un genere di giochi piuttosto apprezzato: i cosiddetti “dudes on a map”, traducibile con un umile “tizi su una mappa”.

I giochi di “tizi su una mappa” sono accomunati principalmente da tre caratteristiche: ci devono essere delle miniature più o meno complesse; queste miniature devono servire a marcare il controllo di un territorio; i giocatori devono scontrarsi direttamente tra loro per controllare il suddetto territorio. Sono giochi che spesso danno il meglio di loro con quattro o cinque giocatori, hanno delle regole piuttosto semplici e si esauriscono di solito in due o tre ore di partita. Includono talvolta delle dinamiche di “engine building”, ovvero di costruzione di un “motore produttivo” che permette di moltiplicare in modo sempre più efficace risorse e punti man mano che la partita avanza.

Alcuni game designer di successo hanno fatto carriera concentrandosi quasi esclusivamente sulla progettazione di “dudes on a map”, interpretando di volta in volta il genere in modo da offrire ambientazioni ed esperienze di gioco diverse. È senza dubbio il caso di Eric Lang, autore di un’apprezzatissima trilogia di giochi in cui i “tizi sulla mappa” sono divinità appartenenti a varie culture religiose antiche: Blood Rage, gioco del 2015 in cui i giocatori controllano dei clan di Vichinghi che cercano di entrare nel Valhalla (una specie di aldilà) prima che sopraggiunga l’apocalisse; Rising Sun, gioco del 2018 in cui i giocatori interpretano i Kami, divinità della mitologia giapponese che scelgono di tornare dagli inferi per restituire il Giappone alla sue storiche tradizioni spirituali; e il più recente Ankh: Divinità Egizie, uscito nel 2021.

In Ankh, che secondo molti esperti è il titolo più riuscito e profondo della trilogia di Lang, i “tizi” sono divinità rappresentate da miniature decisamente imponenti e un po’ inquietanti, e la mappa è quella dell’antico Egitto, tra le zone fertili bagnate dal Nilo e quelle desertiche. Il gioco è stato finanziato con una raccolta fondi sulla piattaforma Kickstarter e ha raccolto più di 3,3 milioni di dollari: questa è la recensione della versione italiana distribuita da Asmodee, e non prende in considerazione le tante espansioni disponibili, che ampliano e diversificano il gioco.

 

All’inizio della partita, l’Egitto è un paese in cui il politeismo è in declino: il popolo venera ancora una molteplicità di divinità, ma alcune rischiano di essere dimenticate a favore di un credo monoteista. L’attenzione al dettaglio di Lang piacerà alle persone che da piccole erano particolarmente affezionate alla storia egizia: il quantitativo di divinità nel pantheon egizio si restrinse effettivamente col passare dei secoli e finì per essere rimpiazzato quasi totalmente dal cristianesimo imposto dagli imperatori romani. In questo contesto di progressiva evoluzione verso il monoteismo, in Ankh i giocatori devono assicurarsi che la propria divinità sia quella che “sopravvive”. Per farlo devono ottenere più “punti Devozione” degli altri.

La prima cosa da sapere approcciandosi ad Ankh è che, come succede non di rado, le istruzioni lo fanno sembrare un gioco molto più complesso, “da esperti”, di quanto non sia veramente. In realtà, una volta superato lo scoglio delle istruzioni – che può sempre essere parzialmente aggirato decidendo di guardare una spiegazione su YouTube, per esempio – le partite procedono molto spedite, anche giocatori piuttosto inesperti hanno la possibilità di individuare una strategia vincente, e il gioco rimane molto accattivante a prescindere dal numero di partecipanti.

All’inizio del gioco si sceglie quale Divinità interpretare: tutti hanno un potere diverso, ma i poteri sono molto ben bilanciati per impedire che ci sia un Dio evidentemente molto più forte di tutti gli altri. Ogni giocatore ha diritto a una miniatura Divinità e sei Guerrieri da evocare man mano sul tabellone: nel corso del gioco è possibile anche arruolare dei Guardiani, ovvero delle miniature con altri poteri speciali. Le miniature delle Divinità, dei Guerrieri e dei Guardiani sono bellissime sia da guardare che da maneggiare, anche se può essere noioso doverle tirare fuori dalla scatola e rimetterle via.

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A seconda del numero di giocatori e della loro esperienza pregressa con il gioco si sceglie uno scenario di partenza, ovvero la posizione in cui devono trovarsi le miniature, i monumenti e i confini tra i vari territori all’inizio di una partita. Il tabellone è diviso in esagoni e gruppi di esagoni formano più ampie regioni: alcune sono divise da confini naturali rappresentati dal fiume Nilo, altre da piccoli cammelli di plastica disposti lungo i lati degli esagoni. Durante la partita i giocatori avranno la possibilità di ridisegnare i confini delle regioni piazzando ulteriori cammelli.

In ogni regione ci sono alcuni monumenti – possono essere templi, obelischi o piramidi – già presenti all’inizio del gioco o costruiti dai giocatori durante la partita. I punti Devozione si ottengono vincendo (o, in alcuni casi, perdendo) battaglie, controllando monumenti e dominando regioni: tutte cose che si possono fare, però, soltanto durante un evento Conflitto, ovvero in uno specifico momento del gioco che coinvolge tutti i partecipanti.

La plancia delle azioni e degli eventi (il Post)

Per la maggior parte della partita, infatti, le divinità non combattono attivamente tra loro: piuttosto si preparano e si rafforzano facendo varie azioni per assicurarsi di essere nella migliore delle posizioni possibili al momento del Conflitto. Ogni volta che qualcuno svolge un’azione sposta un indicatore lungo un tracciato. Quando l’indicatore raggiunge l’ultimo spazio di un tracciato sblocca un evento. Dato che gli eventi sono piuttosto rari, essere la persona che li scatena è un grosso vantaggio: imparare a calibrare le proprie decisioni per riuscire a scatenare gli eventi che si vuole è parte del gusto, e della sottigliezza, del gioco.

Gli eventi Conflitto sono quelli in cui si fa il punto della situazione e, se in una regione si trova più di un giocatore, si combatte giocando delle carte: in questa fase si possono costruire nuovi monumenti, distruggere le miniature dei propri nemici ma, soprattutto, ottenere punti Devozione. Ed è questa, chiaramente, la fase di maggior scontro diretto.

Ci sono cinque eventi Conflitto. Alla fine del terzo, i due giocatori che hanno raccolto meno punti Devozione si fondono e giocano insieme il resto della partita: è forse il dettaglio più inedito di Ankh rispetto a titoli simili, e scatena alcune dinamiche psicologiche interessanti tra i giocatori, dato che fondersi con qualcun altro sicuramente migliora in modo significativo le proprie possibilità di vittoria, ma è vissuto al contempo con una certa vergogna dalle persone a cui capita. Alla fine del quarto evento, se nessuno ha ancora ottenuto un quantitativo sufficiente di Devozione il gioco termina e l’Egitto diventa un regno ateo. Vince immediatamente chi raggiunge per primo un determinato numero di punti Devozione.

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È vero che le regole, una volta imparate, finiscono per essere molto semplici. Ma è vero anche che ce ne sono tante: capita di frequente di dimenticarsi di attivare un proprio potere o di sottovalutare il potere di un avversario perché non si sono tenuti a mente alcuni aspetti del gioco. Tendenzialmente, queste dimenticanze diventano sempre più rare man mano che si gioca, ma sono senza dubbio uno dei principali elementi iniziali di frustrazione. La sensazione di imparare man mano a padroneggiare il gioco, comprendendo il modo in cui ogni regola interagisce con il gioco rendendolo più profondo, permette però di ottenere una sensazione estremamente appagante di controllo sul destino della propria divinità. Ed è, ripetiamo, una padronanza che è accessibile abbastanza velocemente a chiunque cominci a giocare: ad Ankh si può diventare bravi già durante la prima partita, sicuramente alla fine della seconda.

Come nelle migliori partite di Risiko! da ragazzini, capiterà probabilmente di mettersi a patteggiare animatamente con gli amici per assicurarsi che non interferiscano con la propria strategia o per impedire che un singolo giocatore vinca troppo velocemente. In ogni caso, quasi inevitabilmente capiterà che la partita finisca in modo improvviso, mentre gli altri giocatori stavano ancora imbastendo trame che avrebbero permesso loro di vincere a stretto giro. A fronte di un’esperienza di gioco tanto coinvolgente e animata, però, non è un risultato che provoca grosse insoddisfazioni: Ankh è bello anche solo da esplorare, facendosi trasportare in un’ambientazione estremamente dettagliata e colma di spunti per farsi delle gran risate tra amici. Anche grazie a frasi straordinarie come questa, il cui significato vi verrà rivelato soltanto se proverete, come da consiglio, questo gran bel gioco:

Ankh: Divinità Egizie si può comprare online a 80 euro su Amazon, a 92 su IBS e 100 sul sito di Feltrinelli.

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Disclaimer: con alcuni dei siti linkati nella sezione Consumismi il Post ha un’affiliazione e ottiene una piccola quota dei ricavi, senza variazioni dei prezzi. Ma potete anche cercare le stesse cose su Google. Se invece volete saperne di più di questi link, qui c’è una spiegazione lunga.