Cosa succede quando scompare un pezzo di internet

Alcune decisioni di Twitter e Imgur hanno riportato l'attenzione sulla natura temporanea degli archivi di immagini e contenuti online

“L'Arciduca Leopoldo Guglielmo nella sua collezione di quadri a Bruxelles” del pittore fiammingo David Teniers il Giovane (1651).
“L'Arciduca Leopoldo Guglielmo nella sua collezione di quadri a Bruxelles” del pittore fiammingo David Teniers il Giovane (1651).
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Il sito Imgur, un servizio per la condivisione di immagini e video, ha annunciato che rimuoverà tutti i contenuti di natura sessuale o pornografica, oltre alle immagini più vecchie non collegate ad alcun profilo. Fondato nel 2009, Imgur nel tempo ha costruito il suo successo in particolare per via dello stretto rapporto con il social network Reddit, i cui utenti lo usano per caricare velocemente immagini da condividere online. Secondo le nuove condizioni del sito, gli utenti hanno tempo fino al 15 maggio per scaricare e salvare i contenuti vecchi o pornografici, prima che vengano cancellati dalla piattaforma.

La decisione ricorda quella presa da Tumblr nel 2018, quando bandì del tutto i contenuti pornografici, particolarmente diffusi sul social network, per non rischiare di essere espulsa dall’App Store di Apple (l’anno scorso Tumblr aveva rivisto la decisione, permettendo la condivisione di nudità). In entrambi i casi, insomma, un servizio molto utilizzato ha cambiato le proprie regole interne interrompendo l’accesso a vasti archivi di documenti digitali, e di fatto facendo scomparire un pezzo consistente del web.

Tra i siti che hanno criticato la decisione di Imgur c’è Something Awful, uno storico forum fondato nel 1999 sulle cui pagine sono nati, tra gli altri, diversi meme che hanno fatto la storia di internet e che è stato costruito in buona parte attraverso immagini e screenshot caricati su Imgur, che ora alcuni utenti stanno cercando di salvare prima che sia troppo tardi. Lo stesso proprietario del forum – noto con lo pseudonimo di Jeffrey of YOSPOS – ha spiegato a The Verge di aver scaricato molte di queste immagini, creando un archivio di tre terabyte in più copie.

Negli stessi giorni in cui Something Awful ha reagito alla “purga” di contenuti decisa da Imgur, il capo di Twitter Elon Musk ha annunciato la rimozione di profili «che non hanno avuto alcuna attività per diversi anni», con l’obiettivo di «liberare nomi utente» occupati ma non attivi. A inizio anno Musk aveva persino proposto di vendere all’asta i nomi utente più desiderati, nella continua ricerca di nuove entrate per rimediare all’enorme debito accumulato negli ultimi mesi dal social network. Anche alcuni degli utenti che normalmente simpatizzano per Elon Musk hanno criticato la decisione, perché tra le conseguenze avrebbe quella di cancellare i profili utente di molte persone morte senza offrire una possibilità di ricordarli sulla piattaforma (come invece è possibile fare su Facebook, ad esempio).

Per quanto motivate da ragioni diverse, le scelte di Imgur e Twitter confermano quanto la possibilità di accedere ai contenuti online sia legata alle fortune e alle difficoltà delle grandi piattaforme, che possono sempre decidere – o essere costrette – a cambiare le politiche interne o a chiudere.

È quello che successe nel 2016 quando Picturelife, un servizio di hosting di immagini, chiuse all’improvviso, lasciando i suoi utenti senza possibilità di accedere alle proprie foto (l’archivio di circa duecento milioni di file fu salvato da una società dello stesso settore, SmugMug, che lo rese accessibile). Picturelife apparteneva a un gruppo di applicazioni nate agli inizio degli anni Dieci che promettevano di ospitare le immagini degli utenti a un prezzo contenuto e con ottime funzionalità accessorie. Nel giro di pochi anni questa e altre realtà simili come Everpix hanno finito col chiudere o essere comprate da aziende più grandi, per far fronte alla concorrenza di aziende come Apple, Google e Amazon, che offrono servizi più basilari ma a prezzo ridotto (o addirittura gratuitamente fino a un certo numero di gigabyte).

Ospitare grandi quantità di documenti e immagini online ha un costo che può risultare proibitivo per startup e aziende minori. Il settore del cloud, il sistema di archiviazione esterno che consente di conservare dati su diversi server per renderli disponibili ovunque, prevede enormi investimenti iniziali in componenti (spazi, server) e nella loro manutenzione.

Alcune delle società digitali più grandi, come Amazon, Google e Microsoft, hanno puntato da tempo sull’infrastruttura per il web, creando servizi di hosting dai prezzi molto competitivi che hanno finito per dominare il mercato. Secondo il centro di ricerche Synergy Research Group, la sezione cloud di Amazon (Amazon Web Services) controllerebbe il 33% del mercato delle infrastrutture cloud, Microsoft Azure il 21% e Google Cloud il 10% (dati aggiornati alla fine del 2021). Di conseguenza le nuove startup del settore, come le applicazioni per l’hosting di immagini, finiscono per usufruire dei servizi delle società più grandi, in particolare AWS, che è diventata una piattaforma molto utilizzata dalle startup. Nel 2013 il giornalista Casey Newton raccontò la parabola di una di queste app, Everpix, considerata all’epoca «la migliore startup fotografica» ma in grande crisi proprio per gli alti costi infrastrutturali, in particolare quelli legati a AWS.

Quando un servizio di hosting entra nelle abitudini quotidiane di milioni di utenti la sua chiusura ha conseguenze profonde su tutta la rete, perché provoca quello che viene spesso paragonato a un “evento d’estinzione di massa” per contenuti digitali.

Nei primi anni Duemila, il sito Photobucket divenne uno dei sistemi più semplici di pubblicare e condividere immagini online, utilizzandole come avatar nei forum, sugli annunci di eBay o come immagine profilo di MySpace. Per dare un’idea dell’importanza strutturale raggiunta dal sito, nel 2006 il 2% del traffico internet totale negli Stati Uniti era rappresentato proprio da Photobucket.

Nel 2017, l’azienda proprietaria del servizio decise di cambiare le condizioni d’uso, soprattutto per quanto riguarda gli account gratuiti e il servizio di hosting per parti terze, lo stesso che permetteva di caricare immagini da usare poi su eBay e altri siti. D’un tratto agli utenti venne chiesto di pagare 399,99 dollari all’anno per visualizzare le proprie foto: in alternativa, al posto dell’immagine, veniva mostrato un banner che invitava l’utente ad «aggiornare il proprio account per permettere l’hosting per parti terze» (anche in questo caso, la novità durò poco e oggi Photobucket offre servizi ad abbonamento molto più economici).

Qualcosa di simile successe anche a social network come MySpace e Google+, entrambi chiusi dalle rispettive proprietà nel 2019, quando vennero cancellati tutti gli account e i contenuti che vi erano caricati. Nel farlo, MySpace eliminò per sempre le canzoni caricate dai suoi utenti, in particolare quelle caricate prima del 2015 (le cause della perdita sono state attribuite a un errore nel trasferimento di server). Poco prima della fine di MySpace la non profit The Internet Archive, fondata nel 1996 con l’obiettivo (all’epoca plausibile) di «salvare» tutto il web, riuscì a scaricare e mettere in salvo una parte dello sterminato archivio, condividendo online 490mila canzoni pubblicate tra il 2008 e il 2010.

The Internet Archive non è il solo progetto che si occupa di salvaguardare contenuti online e interi siti destinati all’oblio, rendendoli disponibili col servizio Wayback Machine: dal 2009 esiste anche l’Archive Team, «un collettivo libero di scrittori, sbruffoni, programmatori e archivisti ribelli» che nel corso degli anni ha contribuito a salvare contenuti da Google+ – prima della sua chiusura – e SoundCloud, quando nel 2017 rischiò di chiudere. In questi giorni Archive Team è anche al lavoro su Imgur per salvare più immagini e testimonianze possibili.

Secondo Wired, infine, il divieto di Imgur al porno sarebbe anche motivato da una nuova forma di pressione politica e culturale, soprattutto in ambito conservatore statunitense, che mira a delegittimare e a togliere forme di sostentamento ai lavoratori del sesso: secondo l’associazione Sex Workers Outreach Project USA, esisterebbe «un’agenda politica più ampia» intenta a rimuovere i lavoratori sessuali dalle piattaforme (il cosiddetto deplatforming). In questo senso, la scelta di Imgur sarebbe più in linea con quanto deciso da PayPal nel 2019, quando smise di supportare i pagamenti al sito pornografico Pornhub. La nuova politica di Twitter sembra invece mirare a un rinnovamento della piattaforma, alle prese con un ambizioso e controverso cambiamento.

Comunque sia, il nuovo rischio di estinzione di contenuti digitali ha convinto il capo di Something Awful a cambiare strategia per il futuro, spingendolo a pagare personalmente per l’hosting dei file: «I siti che promettono di ospitare le tue immagini gratis non smetteranno mai di finire i soldi, è impossibile monetizzare un sito in quel modo», ha detto a The Verge. Secondo Jeffrey, questa potrebbe essere l’occasione giusta per «uscire definitivamente da questo circolo vizioso».