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  • Sabato 1 aprile 2023

In Bulgaria anche le quinte elezioni in due anni potrebbero essere inutili

Si vota domenica, in ballo ci sono l’ingresso nell’euro e le alleanze internazionali, in un paese in cui l'influenza russa è forte

Manifesti elettorali a Sofia a settembre (AP Photo/Visar Kryeziu)
Manifesti elettorali a Sofia a settembre (AP Photo/Visar Kryeziu)
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In Bulgaria si vota domenica per eleggere i 240 membri del parlamento: sono le quinte elezioni legislative in meno di due anni, le ultime si sono tenute a ottobre del 2022, ma non hanno portato alla formazione di un governo.

La Bulgaria vive un lungo periodo di instabilità politica da quando nel 2021 le prolungate proteste popolari contro la corruzione hanno portato alla caduta del primo ministro Boyko Borisov, di centrodestra, che governava dal 2009 quasi senza interruzioni. Da allora i bulgari sono andati a votare quattro volte (aprile 2021, luglio 2021, novembre 2021 e ottobre 2022) ma si è arrivati alla formazione di un solo governo politico, quello del centrista Kiril Petkov, durato poco più di sei mesi. Secondo i sondaggi anche queste elezioni daranno difficilmente un risultato chiaro e permetteranno la formazione di un governo stabile, se non con alleanze molto complesse.

La sostanziale immobilità legislativa degli ultimi anni, causata dalla situazione politica, ha reso impossibile attuare le riforme richieste dall’Unione Europea, soprattutto in economia e nella lotta alla corruzione. La Bulgaria fa parte dell’UE dal 2007, è il più povero dei 27 stati membri e da tempo ha fatto richiesta di entrare a far parte dei paesi che adottano l’euro come valuta. L’obiettivo dichiarato era riuscire a rispettare le condizioni richieste entro il 2024, ma è già stato deciso un rinvio di almeno un anno.

Nonostante la Bulgaria sia una repubblica parlamentare, l’impossibilità di formare un governo politico negli ultimi anni ha accresciuto molto centralità e poteri del presidente della repubblica, Rumen Radev, che è considerato piuttosto vicino alla Russia. Lo scorso agosto Radev ha nominato primo ministro Galab Donev, formalmente un indipendente, e poi lo ha confermato dopo le ultime elezioni quando sono falliti i tentativi di tre diverse forze politiche di formare un governo.

Il presidente bulgaro Rumen Radev a Bruxelles (AP Photo/Virginia Mayo)

Il governo ad interim di Donev ha riavvicinato la Bulgaria alla Russia e rinnegato le politiche filo europee e filo occidentali del governo precedente, facendo sì che l’approvvigionamento e il costo dell’energia – oltre al posizionamento internazionale del paese – diventassero le più importanti e controverse questioni della campagna elettorale: il governo ad interim ha rifiutato il gas liquefatto proveniente dagli Stati Uniti e ha riaperto invece le trattative con la russa Gazprom.

In vista di queste elezioni i due partiti che sono accreditati delle percentuali migliori (in coalizione con alleati minori), sono proprio quelli degli ultimi primi ministri: GERB (Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria) di Borisov e Continuiamo il Cambiamento (PP) di Petkov, entrambi dati intorno al 26 per cento. Sono due partiti considerati filo-occidentali: il governo di Petkov in particolare era stato risoluto nelle scelte economiche volte a isolare la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina e ha di recente rivendicato anche di aver inviato in segreto delle armi al governo di Zelensky. Nonostante le posizioni simili, però, un’alleanza è stata finora esclusa: Borisov ha una pessima reputazione a causa di accuse di corruzione, connivenza con la criminalità organizzata e razzismo, e la sua figura è molto polarizzante.

Il Parlamento, che sulla carta resta in carica quattro anni, sarà eletto con il metodo proporzionale e una soglia di sbarramento per i partiti o le coalizioni fissata al 4 per cento: i candidati sono 5.579, i partiti in corsa quindici, le coalizioni sette. Al momento solo cinque sono sicure di superare la soglia di sbarramento. Dietro ai due maggiori partiti i sondaggi attribuiscono quasi il 14 per cento dei voti al Movimento per i Diritti e le Libertà (DPS), centrista e popolare fra la minoranza turca, e a Rinascita, ultranazionalista e filorusso (13,6 per cento); i Socialisti sono la quinta forza, con poco più dell’8 per cento dei voti.

L’ex primo ministro Boyko Borisov (AP Photo/Valentina Petrova)

La campagna elettorale è stata molto animata e tesa, anche per la decisione delle televisioni di stato di ospitare nei dibattiti tutti i partiti candidati, anche quelli che alle ultime elezioni avevano raccolto poche migliaia di voti, rendendo i confronti caotici e pieni di insulti e minacce.

Gli elettori stanno inoltre mostrando una certa disillusione e stanchezza: le percentuali di affluenza al voto sono scese dal 52,7 per cento nel 2017 al 39 per cento lo scorso ottobre, la partecipazione più bassa da quando la Bulgaria ha adottato un sistema democratico, nel 1990.

La Bulgaria ha inoltre un serio problema di compravendita di voti, tanto che poco più di un anno fa era stata stabilita la possibilità di votare solo con voto elettronico; secondo alcuni studi il problema potrebbe aumentare in questa campagna elettorale, anche perché nel frattempo è stato reintrodotto il voto su schede cartacee. Secondo la stima dell’ong bulgara Anti Corruption Fund sarebbe a rischio il 30 per cento dei voti, mentre il costo di un singolo voto si aggirerebbe intorno ai 75 euro. La polizia bulgara ha già aperto 48 indagini relative a presunte compravendite di voti.